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Prevenzione in sanità. Sì, ma solo quella appropriata

di A. Battaggia, A. Scalisi

13 MAR - Gentile Direttore,
entriamo nel merito dell’interessante dibattito sulle iniziative di prevenzione comparso di recente in QS. L’articolo “La prevenzione è una cosa seria” enfatizza il ruolo della Prevenzione e dell’inadeguatezza degli investimenti erogati in tal senso dal SSN. Tuttavia qualsiasi intervento in cui si allochino risorse pubbliche deve essere caratterizzato da un utile rapporto costo/efficacia.

Il nostro punto di vista è quello di operatori sanitari che hanno lavorato e lavorano per il Servizio Pubblico. Per fare un esempio ci riferiamo al programma di screening del carcinoma ovarico offerto da alcuni pacchetti diagnostici a donne oltre i 30 anni sane/asintomatiche

Il cancro ovarico è una malattia poco frequente. Al 1 gennaio 2012 il Registro Tumori del Veneto segnalava 3.613 donne con malattia nota1; a quella data la popolazione residente femminile corrispondeva a 2.503.819 unità2. La prevalenza della neoplasia nelle femmine di tutte le età può essere così grossolanamente stimata pari a 0,144%.

I dati di letteratura3 riportano per il Ca 125 una sensibilità dell’88,6% e una specificità del 72%: secondo il teorema di Bayes a una probabilità pre test corrispondente alla prevalenza indicata la probabilità di falsi positivi corrisponde quindi al 99,54% e quella di falsi negativi allo 0,2 per mille.

Si potrebbe obiettare che il test si potrebbe comunque usare come strumento per escludere la malattia. Il ragionamento, in teoria, è valido; ma il rapporto costo/efficacia di uno screening va indagato ragionando con un punto di vista non individuale ma collettivo.

Se le donne candidabili a uno screening annuale, come raccomandato dai pacchetti della Sanità integrativa, sono quelle di oltre 30 anni (ovviamente non affette da cancro ovarico), significa che l’82,31% dell’intera popolazione femminile4 è candidabile al test.

Ammettendo che in un approccio opportunistico le donne realmente raggiungibili dallo screening fossero quelle con almeno un contatto annuo con il medico di famiglia, la percentuale scenderebbe a 72,49%4.

In un medico con 1500 scelte le candidate sarebbero in ogni caso 564 (più di un terzo dei propri assistibili).
Tra queste meno di una (= 0,81 donne) sarebbe affetta da Cancro ovarico.
Ammettendo che il 100% delle donne candidabili aderisse a questo screening a questa probabilita’ di malattia il prezzo da pagare per intercettare un solo caso di cancro sarebbe costituito da 158 donne falsamente positive al test.

Resta quindi da stabilire in questo scenario chi sosterebbe i costi per gli accertamenti diagnostici di secondo livello (invasivi e non) per le donne non affette da cancro ma positive allo screening.  Inevitabilmente le donne positive al test entrerebbero in un circuito di secondo livello in cui il contributo del SSN sarebbe determinante.  

Ovviamente per valutare l’opportunità di un intervento occorre ragionare sia in termini di efficienza, sia in termini di efficacia. A nostra conoscenza, la letteratura internazionale sconsiglia senz’altro l’utilizzo di questa indagine per la diagnosi precoce di carcinoma ovarico in donne asintomatiche5.

Una recente revisione sistematica di studi randomizzati e controllati pubblicata su Jama6 non ha segnalato vantaggi in termini di mortalità specifica per donne asintomatiche a rischio medio di carcinoma ovarico sottoposte a screening, segnalando però il rischio di complicanze chirurgiche maggiori in donne non affette da cancro ma positive ai test di screening.

Pertanto se è vero che la prevenzione è una cosa seria, è altrettanto vero che il rapporto costo/efficacia di queste scelte andrebbe valutato adottando non un punto di vista individuale quanto quello societario, dato che inevitabilmente - qualunque attore proponga l’iniziativa - i costi maggiori legati ad accertamenti di secondo livello cadrebbero a carico del SSN.

Ovviamente la scelta dovrebbe essere anche avvalorata dalla miglior letteratura internazionale, perché non è solo una questione di costi, ma anche di efficacia nei confronti dell’interessata allo screening. Che in base ai dati citati, nell’esempio del carcinoma ovarico (nessun beneficio dimostrato, tanti rischi di danno) sembra allo stato dell’arte più che discutibile.

Alessandro Battaggia
Medico delle Cure Primarie, Comitato scientifico Fondazione Allineare Sanità e Salute

Andrea Scalisi
Medico delle Cure Primarie

 
Riferimenti
[1] Epidemiologia del carcinoma ovarico in veneto – Zorzi M Registro Tumori Veneto https://www.registrotumoriveneto.it/images/monografie/Epidemiologia_del_tumore_dell_ovaio_in_Veneto.pdf
[2] Sistema Statistico Regionale
http://statistica.regione.veneto.it/jsp/popolazione.jsp
[3] Moss EL et al - The role of CA125 in clinical practice. J Clin Pathol 2005; 58:308–312. doi: 10.1136/jcp.2004.018077
[4] dati Milleinrete non pubblicati (www.svemg.it)
[5] US Preventive Services Task Force (USPSTF). Final Recommendation Statement: ovarian cancer screening. JAMA 2018; 319(6):588-594.
[6] Henderson JT et al. Evidence Report - Screening for ovarian cancer – Updated evidence report and systematic review for the US Preventive Services Task Force - JAMA 2018; 319(6):595-606.


13 marzo 2019
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