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Coronavirus. Poca trasparenza su operato task force regionali

di Riccardo Tartaglia

08 MAR - Gentile direttore,
non è il momento delle polemiche o della ricerca delle responsabilità, tipica tendenza italiana. In questa fase non serve a nulla e, la ricerca del capro espiatorio, genera solo malessere e indignazione in chi si sta prodigando in questi giorni per trovare delle soluzioni organizzative o è in prima linea a curare i pazienti. Sono però utili e necessarie riflessioni e considerazioni in base alle cose che non hanno funzionato o funzionato poco, anche per poter modificare il tiro anche in corso d'opera.

Sicuramente la comunicazione pubblica va migliorata, ci si è mossi tra due estremi, il timore di creare il panico (dare il numero dei guariti fa obiettivamente sorridere, lo sappiamo che 80% guarisce senza complicazioni) o di non avere fatto comprendere bene la gravità della situazione (il collasso delle terapie intensive). In questo anche i medici di medicina generale giocano un ruolo importante, presentarsi a un PS candidamente con febbre e tosse e infettare dieci operatori è qualcosa che non deve e non può accadere. Si perdono per quindici giorni risorse fondamentali. In questo senso i primi a essere dotati di DPI dovevano essere proprio gli operatori dell'emergenza e urgenza. I medici di MG dovevano informare subito su come comportarsi i loro assistiti con email, per telefono, con il passaparola, forse molti l'hanno fatto senza aspettare le disposizioni ministeriali.

In questa fase i politici è bene che intervengano sempre con accanto il capo della loro task force regionale, è necessaria una presenza credibile sulla materia che viene trattata. Trump, forse non è un simpatico esempio, ma si presenta sempre con il direttore del CDC. Il livello governativo, a cominciare dal Ministro Speranza, a mio modesto parere sta operando molto bene. Vedo in genere in televisione per le comunicazioni ufficiali i tecnici di punta, Borrelli, Brusaferro, Ricciardi. La gente si fida di loro. Il Ministro Speranza è molto preciso, rassicurante ed in linea totalmente con i suoi tecnici.
 
Credo però che la comunicazione non debba lasciar passare troppo tempo tra la decisione e l'azione. La burocrazia non aiuta. Quando il tempo di latenza è troppo lungo succede, come avvenuto con il decreto di ieri, che la gente prende iniziative in modo autonomo basandosi sul sentito dire. In questo senso le unità di crisi devono essere strutture agili con poche persone e avere un alto livello di confidenzialità.
 
La trasparenza va bene ma non in fase di di elaborazione di soluzioni. I sistemi per la protezione civile, con una buona esperienza in terremoti, devono essere ripensati in relazione anche a questo tipo di emergenze biologiche. Una unità di crisi, se si riunisce raramente e i piani d'intervento si riferiscono a periodi molto antecedenti nel tempo, perde la sua efficacia, essendo cambiate le situazioni organizzative, le persone ecc. non è quindi rapida nella sua azione. E' per questo necessaria la simulazione. Quante simulazioni sono state fatte per questo tipo di emergenza, quando? L'ultimo piano a quando risale?

Va svolta quella che noi chiamiamo, nell'ambito del rischio clinico, l'analisi proattiva. Inoltre nella composizione delle task force va considerata l'autorità di fatto piuttosto che quella di stato. Sappiamo purtroppo bene che le due cose spesso non coincidono. In particolare nelle task force regionali dovremmo coinvolgere i professionisti con riconosciuta competenza, coordinati da un nome conosciuto che dia credibilità al sistema e rassicuri i cittadini.
Bene il Ministero nell'avere un comitato tecnico scientifico di riferimento di supporto alle decisioni. Ci sono anche a livello regionale? Bisogna dare un volto a chi lavora su queste cose.

Se non impariamo da tutto questo e ne perdiamo la memoria ci troveremo in futuro di nuovo a rincorre l'epidemia piuttosto che agire in anticipo, la caratteristica più importante delle organizzazioni molto sicure. Laddove non abbiamo procedure predefinite ed evidenze cliniche rispetto alle cose da fare, ed è il caso di questa epidemia, quella che conta è la grande esperienza di chi lavora in questo campo e dei professionisti delle grandi istituzioni sanitarie nazionali e internazionali. Bisogna ascoltarli.

Riccardo Tartaglia
Presidente Italian Network for Safety in Health Care joint with ISQua 

08 marzo 2020
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