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Retribuzione e produttività in sanità

di Francesco Lucà

11 MAR - Gentile Direttore,
con l’affermarsi del modello manageriale a partire dagli anni ’90 si è introdotta nel sistema pubblico la correlazione tra retribuzione e produttività vista più quantitativamente che qualitativamente. Il mondo medico non è sfuggito a questa visione, anzi ne è stato coinvolto ma in modo distorto. La fecero da padrone da quel momento storico in poi una serie di distorsioni che vanno dai processi di assunzione, allo sviluppo di carriera, alla remunerazione.
 
Diventarono vincenti logiche di appartenenza, politica, corporativa, di lobby invece che valutazioni oggettive delle capacità professionali e della cultura medica.
 
Ora, vista la fuga dei “cervelli”, la fuga dei giovani professionisti all’estero e la fuga dal pubblico verso il privato, si vorrebbe tornare a valorizzare i dirigenti medici pubblici cercando di recuperare il senso di appartenenza. La pandemia riscopre “gli eroi” che si sacrificano per gli altri. Riporta alla luce la mission dei medici e del personale sanitario tutto ma al tempo stesso, nello stesso periodo, si è costretti ad approvare una legge che tuteli gli operatori dalla violenza sconsiderata che esplode nelle corsie e nei prontosoccorsi da pazienti e parenti esasperati da infondate inefficienze.
 
Una indagine di pochi anni fa condotta dalla Fiaso dimostrava che il 25% dei giovani che uscivano dalle scuole di specializzazioni non prendeva in considerazione la sanità pubblica per proiettarsi subito nel sistema sanitario privato o convenzionato. A questo si è aggiunto un ulteriore fattore negativo ovvero l’abbandono degli ospedali da parte dei dirigenti medici più giovani e con meno anni di servizio. Le motivazioni di una tale fuga sono molteplici ed esasperate negli ultimissimi tempi.
 
Eccessivi carichi di lavoro; carenze di organico ormai croniche anche per mancanza di partecipanti alle modalità concorsuali; lavoro sempre più rischioso in tutti i sensi; evidenza del mancato coinvolgimento di chi è in prima linea con le decisioni organizzative; una sperequazione tra tutto questo con i valori economici erogati, legati troppe volte a logiche che premiano l’anzianità e non la competenza o la qualità degli interventi, finendo per creare un ulteriore divario insensato tra nuove e vecchie generazioni. Un sistema che soverchia i propri operatori, esige senza valutare correttamente, finisce per frustrare invece che premiare. Bilanci, standard, indicatori numerici con il fine di perseguire una efficienza che in medicina non può essere quella dell’economia ma solo quella della salute.
 
In questo contesto generale si inserisce l’attività specialista dei medici dell’area radiologica. Qui abbiamo assistito ad una crescita vertiginosa, e spesso inutile, della richiesta. Uno sviluppo tecnologico in evoluzione travolgente che continua senza permetterci di vederne i limiti. Una serie di cambiamenti normativi che non sempre ci hanno favorito. Una esposizione mediatica con una serie di messaggi spesso fuorvianti. La sostituzione dell’atto medico con quello radiologico.
 
Il medico non visita più e sostituisce la semeiotica medica con quella radiologica. Ma lo sviluppo tecnologico ha portato anche ad una visione spersonalizzante, soprattutto economica e con un falso senso di efficienza. Il mondo della radiologia si è trasformato in un sistema industriale tipo catena di montaggio di vecchia concezione, quasi che l’atto medico radiologico fosse un prodotto finito da immettere sul mercato. Non a caso l’attività radiologica dei vecchi studi si è trasformata in opifici in mano a sistemi privati versati solo al profitto ed in cui lo specialista radiologo è solo un operatore anonimo.
 
Tuttavia, nonostante questo, le regole del privato permettono contrattazioni dirette con i neospecialisti, flessibilità lavorativa, e permettono quello che il pubblico stenta a dare ad un neoassunto: la realizzazione professionale ed economica, permettendo di associare ad una attività routinaria, la possibilità di dedicarsi ad una specifica materia.
 
Da un parte i neoassunti nel pubblico vengono mandati al pronto soccorso, con assoluta rigidità di orari di lavoro, notti e festivi, aspettano anni prima di poter accedere alle alte tecnologie o poter far vedere le loro competenze specifiche, sono costretti a turni massacranti con basse retribuzioni di base, che cresceranno solo dopo i cinque anni e solo se scelgono l’esclusività, l’incarico lo avranno (se va bene), dopo cinque anni, l’eventuale attività libero professionale viene vista come un problema da molte aziende e la scelta di non esclusività diventa fortemente penalizzante dal punto di vista economico e della carriera.
 
Dall’altra i neoassunti nel privato (c’è da precisare non tutti), hanno la possibilità di poter contrattare orari flessibili, aver accesso alla tecnologia, fare attività extraistituzionale che viene incentivata.
Certo l’ospedale pubblico fornisce in alcuni casi ancora un’ottima formazione ed un bacino di utenza ed esperienza imparagonabile, ma non siamo sicuri per quanto questo potrà continuare, considerato l’alto turn-over che ci sarà nei prossimi anni con i pensionamenti.
 
E’ quindi difficile oggi portare argomentazioni ai neospecializzati che li convincano a scegliere senza indugi il pubblico, e più ne parliamo senza agire, più il tempo passa e meno saremo in grado di difendere il sistema sanitario pubblico semplicemente perché non riusciremo più ad attrarre le migliori professionalità, cosa ancor più vera nella Radiodiagnostica, dove i numeri sono impietosi. E’ ora di cambiare paradigma, di capire che i giovani Radiologi da sempre sono stati la linfa vitale di una specialità che più di tutte vive continue rivoluzioni legate all’evoluzione della tecnologia, che alcune logiche contrattuali nate negli anni novanta non sono più comprese dai neoassunti ma anche dalle direzioni che mal interpretano uno spirito che a distanza di vent’anni non può rispondere più alle necessità attuali.
 
Le battaglie per dimostrare le nostre prerogative sono state lunghe e spesso perigliose ma solo gli specialisti della nostra area possono esserne difensori e c’è bisogno di coraggio e di uno scatto di orgoglio insieme alla necessità di idee nuove da mettere in campo, che dipenderà anche dalla capacità delle nuove generazioni nel capire che devono essere parte attiva e propositiva in questa fase delicata, creandosi spazi anche attraverso organizzazioni sindacali e corpi intermedi come il nostro.
 
Francesco Lucà
Presidente della Fondazione Area Radiologica


11 marzo 2021
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