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Il Garante e la sanità privata

di Luciano Cifaldi

25 MAR - Gentile Direttore,
la mia trentennale attività professionale al servizio della tanto vituperata sanità pubblica può forse non bastare per argomentare su alcuni passaggi del documento “Proposte di riforma concorrenziale” dal presidente della Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato un documento che, forse per l’esigenza di un titolo ad effetto ma più probabilmente per la sapiente analisi che Ella Direttore ha saputo fare, ha avuto una sintesi a mio giudizio efficace con la frase “Alla sanità serve più privato”.
 
Tecnica editoriale quella di stimolare la lettura di un articolo o di un documento partendo da un titolo capace di attirare l’attenzione? Ci è riuscito ed ho iniziato l’ostica lettura. La mia attenzione si è focalizzata su un passaggio del documento quando si afferma che “Al fine di favorire la scelta del luogo di cura da parte degli utenti si rende altresì necessario incrementare l’informazione disponibile sulle performance delle strutture pubbliche e private in termini di efficienza gestionale e di qualità del servizio, procedendo a rendere ampiamente disponibili i bilanci delle Asl e delle strutture private e i dati sugli aspetti qualitativi del servizio (es. lunghezza delle liste di attesa per le prestazioni presso le diverse strutture pubbliche dello stesso territorio, nonché sugli aspetti relativi alla attività medica svolta”.
 
Parliamone allora. Svolgo la mia attività in una Asl della provincia di Roma, dove insistono cinque ospedali, uno dei quali riconvertito a struttura Covid, che vede un importante flusso in uscita di professionisti attratti dalle strutture sanitarie della Capitale, un insufficiente flusso in entrata di medici ed altri operatori ed una carenza cronica oltre che di personale anche di tecnologie e strumentazioni, ed anche con una condizione orografica complessa cui si aggiunge una viabilità ed una rete di trasporti non proprio di buon livello.
 
Con molta fatica, le direzioni che si sono succedute nel tempo hanno provato a dare risposte, ultima in questi giorni l’inaugurazione di una tac molto aggiornata capace di migliorare le performance diagnostiche con rischi inferiori di complicanze con la riduzione della dose di radiazione erogata e minore quantità di utilizzo del mezzo di contrasto. Ben poca cosa si dirà ed una tac non fa primavera visto che non è una rondine. Però a questa strumentazione si è arrivati dopo un lunghissimo percorso ad ostacoli che occorre di necessità affrontare quando si parla di appalti pubblici dove le regole sono, giustamente, stringenti e vincolanti.
 
Ben diverso l’acquisto da parte di una struttura privata, accreditata o meno, dove la scelta è in capo al management ed al consiglio di amministrazione che può essere anche identificabile nella proprietà stessa laddove non ci si avvalga della super consulenza di ex parlamentari, lobbisti, manager, ex magistrati, economisti, comunque tutti, o quasi, cresciuti nei vari settori dello Stato e del servizio pubblico dove hanno acquisito esperienze e contatti ora spendibili in modo ben remunerato nella sanità cosiddetta privata.
 
Vogliamo parlare degli "aspetti relativi alla attività medica svolta”? Da dove cominciamo, dal concetto stesso di dirigenza attribuito ad ogni medico al quale viene lasciato il compito di dirigere il traffico dei malati che si rivolgono ai pronto soccorso degli ospedali (pubblici) oppure vogliamo parlare dei medici che quotidianamente sono oggetto di ordine di servizio per andare a svolgere compiti assistenziali e non certo direttivi nei reparti Covid con i conseguenti rischi relativi alle problematiche assicurative e medico legali che ne conseguono? Vogliamo parlare di come questi medici vengono additati quali responsabili del prolungamento delle liste di attesa o possiamo fare una semplice considerazione: se devi coprire il tuo reparto e magari anche il reparto covid non puoi fare ad esempio l’ambulatorio di diabetologia e se poi concomita anche l’ubiquitaria carenza di personale all’interno degli ospedali (pubblici) la frittata è fatta.
 
Se per tenere in piedi il piccolo ospedale (pubblico), lontano 50 chilometri da un altro ospedale (pubblico) più grande di riferimento, devi fare ricorso ad ordini di servizio o a prestazioni aggiuntive va da sé che la giornata è fatta di 24 ore e l’orario settimanale diventa un multiplo della stessa e nessun direttore generale può deliberare, neppure durante l’emergenza Covid, il prolungamento a 36 o 48 ore della singola giornata. E questi medici sono tolti ad attività di reparto ed ambulatoriali che finiscono per rallentare.
 
"Rendere ampiamente disponibili i bilanci delle asl e delle strutture private”. Concordo e sottoscrivo non avendo mai avuto alcuna difficoltà a reperire le delibere contenenti i bilanci delle Asl e delle Aziende Ospedaliero-Universitarie (pubbliche) che hanno finalità dettate dall’essere Servizio Sanitario Nazionale, finalità tra le quali non mi risulta esserci ancora il profitto.
 
E allora, gentile Direttore, siamo sicuri che alla sanità serva davvero più privato? Una prima risposta potremmo anche trovarla nel vedere cosa sta accadendo in qualche regione dove la sanità parla di eccellenze ospedaliere e di abbandono pressoché totale dei servizi territoriali. Lei ha voluto lanciare la provocazione, io mi sono limitato a fare l’ex ragazzo di bottega e a buttare giù qualche semplice considerazione nell’auspicio che ben altri e più autorevoli commentatori e studiosi della materia possano scendere in campo argomentando a tutela di quell’universalismo del servizio sanitario pubblico che mi onoro di servire sin dal primo momento del mio essere medico.
 
Luciano Cifaldi
Oncologo, segretario generale Cisl Medici Lazio
 
Gentile dottore,
come ho scritto nell'articolo da Lei cortesemente citato, penso che le tesi del Garante della Concorrenza, seppur legittime (ci mancherebbe) siano alquanto fuori registro rispetto a quanto abbiamo verificato in quest'anno di pandemia.
 
Senza un Ssn, pubblico e universalistico saremmo andati a ramengo e laddove, vedi Lombardia, la ricetta (sperimentale) propugnata dalla riforma Maroni ha posto sullo stesso piano pubblico e privato, destrutturando contestualemnte tutto ciò che ospedaliero non è, abbiamo avuto grandi difficoltà nella gestione ordinaria e straordinaria della sanità in emergenza Covid.
 
Quindi più che di provocazione, per quanto riguarda le proposte del presidente Rustichelli, parlerei proprio di ricetta "sbagliata" senza se e senza ma.
 
Detto questo, le eccellenze (e ce ne sono) del privato ma anche quella rete standard (chiamamola così) dei tanti piccoli imprenditori della sanità privata che da sempre operano in Italia e che vogliono continuare a lavorare nell'ambito della sanità pubblica, ben vengano. Ma se a pagare è il Ssn, le regole non può che stabilirle lui, perché da che mondo è mondo le regole le stabilisce chi paga, altro che concorrenza.
 
Altra cosa è la cosiddetta sanità “privata-privata” che opera al di fuori dell'ambito del Ssn offrendo prestazioni e servizi direttamente al cittadino in forma di out of pocket o mutuate da assicurazioni o fondi vari. Siamo in un Paese che rispetta le regole di mercato e quindi se ci sono imprenditori che vogliono fare business nel campo della salute, liberi di farlo come liberi di ricorrervi sono i cittadini che possono permetterselo.
 
Ma anche qui lasciamo perdere la concorrenza. Quello che fa il Ssn e il suo ruolo nella società - che giustamente questa pandemia ci ha fatto capire essere “essenziali” - sono un’altra cosa che necessita di investimenti crescenti e costanti per il bene di tutti. Altro che tagli, come in qualche modo il nostro Garante della concorrenza sembra nuovamente adombrare.
 
C.F.

25 marzo 2021
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