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Tumori. Un microchip ‘riproduce’ la nascita di certe metastasi. E apre prospettive di ricerca per arrestarle

di Viola Rita

Le cellule di tumore della mammella si diffondono nell’osso in una percentuale doppia rispetto a quanto avviene in un tessuto di collagene-gel. La scoperta apre nuovi orizzonti di studio per il futuro, sia per capire il meccanismo che per trovare farmaci che arrestino le metastasi. Nel team di ricerca anche istituti italiani

07 FEB - In che modo e perché certi tumori, come quello della mammella, si espandono verso organi specifici, come ad esempio nelle ossa, e non verso altri organi? A chiederselo, un gruppo di scienziati, del Massachusetts Institute of Technology (MIT) insieme ad Istituti italiani e della Corea del Sud, che per imitare questo meccanismo di diffusione tumorale hanno messo a punto un ‘microchip microfluidico’ tridimensionale. Lo studio, pubblicato nel numero di marzo della rivista Biomaterials, è intitolato A microfluidic 3D in vitro model for specificity of breast cancer metastasis to bone.
 
“Attualmente, non capiamo perché alcuni tumori metastatizzano preferenzialmente in specifici organi”, spiega Roger D. Kamm, Professore al MIT e coautore dello studio. “Un esempio è che il cancro alla mammella formerà tumori metastatici nell’osso, ma non, ad esempio, nel muscolo. Perché avviene questo fenomeno, e quali fattori lo determinano? Possiamo utilizzare il nostro modello sia per capire questa selettività, che per vagliare dei farmaci che potrebbero ostacolare” il processo.
 
Il modello realizzato, più sottile di una monetina, contiene diversi ‘canali’, in cui i ricercatori hanno fatto crescere cellule endoteliali umane per mimare vasi sanguigni affiancati ad un ambiente osseo. In questo sistema, vengono iniettate cellule di tumore della mammella umane altamente metastatiche. I ricercatori, poi, iniettano queste cellule anche in una matrice di collagene-gel, che servirà per confrontare il risultato, non contenente cellule ossee. 24 ore dopo l’iniezione, i ricercatori hanno osservato che nel primo caso circa il doppio delle cellule tumorali erano fuoruscite, costruendo una via attraverso la parete del vaso, rispetto al caso della matrice di solo collagene-gel. Non è tutto, infatti anche la distanza di migrazione delle cellule nel primo caso era significativamente più alta (circa 51 micrometri contro i 32 della matrice). Inoltre, cinque giorni dopo l’iniezione, le cellule fuoruscite formavano microcluster composti anche da anche 60 elementi cellulari. Così “si può vedere quanto stanno crescendo rapidamente”, ha affermato Jessie Jeon, laureata in ingegneria meccanica al MIT. “Noi abbiamo aspettato solo fino al quinto giorno, ma se fossimo andati oltre  [la dimensione dei cluster] sarebbe stata di gran lunga maggiore”.    
 
Il gruppo ha inoltre identificato due molecole che sembrano incoraggiare le cellule tumorali  a formare metastasi: si tratta di CXCL5 e CXCR2, due proteine che giocano un ruolo nella formazione di metastasi, ma non è noto se le promuovono in specifici organi. I risultati preliminari suggeriscono che queste molecole possano essere potenziali bersagli per ridurre la diffusione del cancro. .
Secondo Jeon, inoltre, gli esperimenti dimostrano che il microchip può essere utilizzato in futuro per testare farmaci che potrebbero arrestare le metastasi, ma anche come piattaforma per studiare la diffusione del cancro ad altri organi.
 
Del gruppo che ha realizzato lo studio fanno parte anche ricercatori dell’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi,  Politecnico di Milano, Gruppo Ospedaliero San Donato Foundation (Milano), School of Mechanical Engineering della Korea University (Corea del Sud).
 
Viola Rita

07 febbraio 2014
© Riproduzione riservata

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