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Scoperti i geni che determinano la predisposizione al fumo e alle malattie polmonari

di Maria Rita Montebelli

Sarai un fumatore? Avrai problemi ai polmoni per questa cattiva abitudine? Uno studio inglese ha scoperto la risposta a queste domande andando a sbirciare tra le pieghe del DNA. Utilizzando l’enorme mole di dati della Biobank inglese (500 mila volontari), i ricercatori delle Università di Nottingham e di Leicester hanno scoperto i geni che predispongono al vizio del fumo e quelli che proteggono i polmoni dagli insulti della sigaretta.

30 SET - I poveri fumatori sono una delle categorie più bistrattate del pianeta, messi all’indice da tutti in quanto dediti ad un’abitudine per niente salutare e che può danneggiare anche chi sta loro vicino.
Ma oggi, per una strana nemesi scientifica, anche loro possono vivere un momento di gloria, grazie ad uno studio appena pubblicato su Lancet Respiratory Medicine e presentato in questi giorni al congresso della Società  Europea di Medicina Respiratoria (ERS), in corso ad Amsterdam.
 
I ricercatori delle università di Nottingham e di Leicester, autori di questo studio finanziato dal Medical Research Council inglese, sostengono infatti che nel DNA dei fumatori arrivati alla tarda età senza riportare danni, potrebbero celarsi preziose informazioni che, una volta decifrate, sarebbero di grande aiuto nel trattamento di malattie quali la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO).
La BPCO è una condizione che affligge milioni di persone in tutto il mondo e che molto spesso è messa in relazione causale con il fumo di sigaretta. Esiste però un’esigua minoranza di fumatori incalliti che arrivano ad  un’età veneranda senza presentare i danni polmonari tipici di questa malattia. Ed è su questa minoranza di eletti che si è appunto concentrata attenzione dei ricercatori inglesi.
 
Andando a cercare l’ago nel pagliaio tra i dati genetici dei partecipanti alla Biobank inglese, gli autori dello studio hanno individuato alcune differenze genetiche che influenzano la possibilità che una persona diventi o meno un fumatore, ma anche la predisposizione sia dei fumatori incalliti che dei non fumatori a sviluppare una patologia cronica polmonare. Una doppia scoperta questa che potrebbe da un lato aiutare a mettere a punto nuove strategie per smettere di fumare, dall’altra a ideare nuovi trattamenti per la BPCO.
 
Per arrivare a questi risultati i team di Ian Hall dell’Università di Nottingham e di Martin Tobin dell’Università di Leicester, hanno studiato la funzionalità polmonare degli oltre 500.000 partecipanti della Biobank. Il 10% di questi è stato selezionato in base al grado di funzionalità  dei loro polmoni (FEV1) e al fatto che fossero fumatori importanti (> 35pack-anni) o che non avessero mai fumato. A quel punto i ricercatori hanno messo in relazione queste caratteristiche con 28 milioni di varianti genetiche, per ogni partecipante. Un’impresa titanica, quasi unica nel suo genere. Da tutto questo lavoro sono emerse parti del genoma umano che non erano mai state in precedenza correlate alle patologie polmonari e 5 tratti del DNA correlabili col fatto di essere un forte fumatore, compresa una variante di NCAM1 (sul cromosoma 11) e una variante sul cromosoma 2 (tra TEX41 e PABPC1P2) che ha un effetto sull’espressione di NCAM1 nel tessuto cerebrale.
 
“I farmaci che utilizziamo per prevenire o per trattare le malattie hanno come bersaglio alcune proteine del nostro organismo e i geni influenzano la produzione delle proteine. Riuscire a comprendere quali geni sono coinvolti nelle malattie polmonari o nella dipendenza da fumo di sigaretta può dunque essere d’aiuto a progettare e sviluppare nuovi e più mirati trattamenti, che verosimilmente saranno più efficaci e gravati da meno effetti collaterali. La Biobank inglese è stato considerato un progetto visionario all’epoca della sua ideazione e questo tipo di studi sono la dimostrazione di quanto è possibile ottenere utilizzando questa risorsa. La nostra speranza ora è di entrare ancora più in dettaglio quando il prossimo anno avremo a disposizione le informazioni genetiche relative a tutti i partecipanti alla Biobank.”
 
“Il fumo – commenta il professor Martin Tobin – è il più importante fattore di rischio comportamentale per la BPCO. Moltissimi, anche se non tutti i fumatori sviluppano questa patologia. E la genetica gioca un ruolo importante, come visto anche per l’abitudine al fumo”. Questa ricerca aiuta a capire perché alcuni diventano schiavi delle bionde e allo stesso tempo apre la strada a strategie di prevenzione più efficaci e a trattamenti migliori. “Smettere di fumare – sottolinea l’esperto - resta tuttavia il modo migliore per prevenire le malattie correlate al fumo, quali BPCO, cancro e malattie cardiovascolari.”
 
Maria Rita Montebelli

30 settembre 2015
© Riproduzione riservata

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