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Screening mammografico: ora la qualità


Il Convegno nazionale GISMa 2010 propone un cambio di rotta. Dopo aver messo in primo piano per anni i dati quantitativi su estensione e adesione è il momento di puntare più in alto.

06 MAG - Per lo screening mammografico italiano comincia la fase 2. Nonostante ancora un terzo delle donne sia esclusa da questo servizio ricompreso nei Livelli essenziali di assistenza, i programmi italiani sono ormai maturi.
Nel biennio 2006-2007 quasi 2 milioni e 400 mila donne si sono sottoposte alla mammografia di screening. Cinquecentomila in più rispetto al biennio precedente con un’acquisizione di quote in quella parte della popolazione tradizionalmente poco interessata alla prevenzione. Un trend in crescita, che sembrerebbe confermato anche per il biennio in corso: i dati del 2009 danno infatti a quota 1 milione 300 mila le donne che hanno accettato di sottoporsi all’esame.

Tuttavia, al di là dei numeri - e grazie anche a questi numeri - i tempi sono ormai maturi per puntare più in alto. E prestare maggiore attenzione agli indicatori di qualità. Liste d’attesa, tipologia di tumori identificati dallo screening, tassi di impiego della chirurgia conservativa, per esempio.
È in questi dati che è possibile identificare le pecche del sistema, correggerle e puntare, attraverso un migliore servizio, a un’ulteriore ampliamento dell’accesso. 
È questo uno degli aspetti su cui si è concentro il convegno nazionale del Gruppo italiano screening mammografico (Gisma) in corso in questi giorni a Bologna, che ha rappresentato l’occasione per presentare i dati rilevati attraverso la Scheda sulla qualità della diagnosi e della terapia del carcinoma mammario (Sqtm), un software finalizzato alla raccolta di dati aggiuntivi rispetto a quelli normalmente rilevati nei programmi di screening. 
Diverse le criticità evidenziate dal sistema, attivo dal 1997 in alcuni programmi locali.
I tempi per ottenere la risposta sull’esito negativo del test mammografico, per esempio. Lo standard considerato accettabile è che almeno il 90% delle risposte negative sia smaltita in 21 giorni. In realtà ciò avviene soltanto in 45 programmi su 101.
Anche l’attesa tra il momento dell’esecuzione della mammografia e - qualora necessario - l’intervento chirurgico è piuttosto lunga: nel 60 per cento dei casi più di 60 giorni. Ciò si traduce in un aggravio di ansia per la paziente, in un maggiore ricorso a centri non dedicati, con bassi volumi operatori e capaci di smaltire con maggiore solerzie le richieste ma con potenziali ripercussioni negative sulla qualità del trattamento e sulla prognosi. Infine in una perdita di credibilità dell’intero percorso di screening.
Buono invece il ricorso alla chirurgia conservativa nei casi di tumori di piccole dimensioni (92% degli interventi), tuttavia, è ancora troppo basso il tasso di ricostruzioni immediata per le donne che subiscono una mastectomia: si sottopone all’intervento circa il 60 per cento di esse.

Alla luce di questi dati, ha commentato Livia Giordano, presidente Gisma, “è necessario individuare forme di accreditamento - istituzionale o scientifico - affinché si premino quei programmi che riescono a stare negli standard”.
Più difficile individuare meccanismi sanzionatori e correttivi per i programmi poco efficienti. Una soluzione, proposta nel corso del convegno, è la messa a punto di una task force di esperti che intervenga, su richiesta delle Regioni, per identificare i problemi e proporre soluzioni.
Una forma di intervento che ha già dimostrato di funzionare, ma che richiede una forte volontà di rimettersi in discussione.
In qualunque modo si intenda agire, il passo dalla quantità alla qualità - almeno all’interno della comunità scientifica - sembra essere stato comunque intrapreso.
Ora la palla passa alle istituzioni: “Ciò che dal punto di vista istituzionale potrebbe rappresentare una rivoluzione copernica è che la tendenza alla valutazione che si sta affermando in questo periodo e che ha visto il ministero della Salute pubblicare i dati sulle performance dei servizi sanitari regionali vanga applicata, nel caso degli screening, anche agli indicatori di qualità”, ha concluso Marco Zappa, direttore dell’Osservatorio nazionale screening. “Questo è il passaggio che istituzionalmente potrebbe far cambiare le cose”.

Antonino Michienzi 

06 maggio 2010
© Riproduzione riservata

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