Fibrosi del miocardio. Colpisce un atleta di thriathlon su 5, ma solo se è maschio
di Megan Brooks
Gli atleti maschi che si dedicano al triathlon corrono un rischio maggiore di soffrire di fibrosi del miocardio non ischemica. E il rischio aumenterebbe quanto più competono. Ma le donne sembrano esenti da questo problema. È quanto ha evidenziato uno studio tedesco che è stato presentato nell’incontro annuale della Radiological Society of North America (RSNA)
14 DIC -
(Reuters Health) –
Jitka Starekova e colleghi, dell’University Medical Center Hamburg-Eppendorf, in Germania, hanno preso in considerazione 55 atleti di triathlon maschi e 30 femmine. I ricercatori hanno rilevato la presenza di fibrosi miocardica non ischemica tramite risonanza magnetica in 10 uomini, pari al 18%, ma in nessuna donna. Inoltre, l’indice di massa ventricolare sinistra era significativamente più elevato nei maschi rispetto alle atlete femmine. Gli atleti maschi, però, avrebbero completato più gare Iron Man rispetto alle donne, uattro contro uno, e più triathlon di media distanza, cinque contro due, suggerendo un potenziale legame tra rischio di fibrosi e quantità di esercizio.
Le differenze di performance
In una seconda analisi dei dati, i ricercatori tedeschi hanno confrontato le differenze nell’attività svolta dagli atleti maschi con e senza fibrosi. Dai risultati sarebbe emerso che gli atleti con fibrosi avevano completato le prove ricoprendo distanze più lunghe, 5.610 chilometri di corsa contro 2.406 rispetto agli atleti senza fibrosi, 64 chilometri di nuoto contro 31 e 4.167 chilometri in bicicletta rispetto a 1.490. Inoltre, gli atleti con fibrosi avrebbero avuto un picco di pressione arteriosa sistolica più alto, 215mmHg, contro 194.
“Il significato clinico di queste cicatrici non è al momento molto chiaro, tuttavia potrebbero essere la base per futuri scompensi cardiaci e aritmie”, dice Jitka Starekova “Anche se non siamo in grado di dimostrare l’esatto meccanismo dello sviluppo della fibrosi miocardica negli atleti, l’aumento della pressione sistolica, la durata della gara e l’intensità dell’esercizio fisico potrebbero essere co- fattori nella genesi della condizione”, spiega la ricercatrice, secondo la quale la ripetizione di qualsiasi attività atletica estrema potrebbe non essere un beneficio per gli atleti con fibrosi. I ricercatori stanno ora eseguendo un follow-up sugli atleti con cicatrici a livello cardiaco per verificare se siano soggetti a eventi cardiaci e per vedere “se ci saranno cambiamenti o progressione della fibrosi”, ha concluso l’esperta.
Fonte: Radiological Society of North America (RSNA) annual meeting
Megan Brooks
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)
14 dicembre 2017
© Riproduzione riservata
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