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Cara Gimbe, non basta un “piano di rilancio” per salvare la sanità. Serve una vera riforma

di Ivan Cavicchi

Un piano come quello proposto da Gimbe è una lista di ciò che si vuole fare, degli obiettivi cui si mira e dei mezzi coi quali si ritiene di poterli raggiungere. Una riforma invece è un progetto di rinnovamento di una sanità per impedire che essa soccomba sotto il peso delle sue contraddizioni. Come posso pretendere che il piano funzioni se tutte le contraddizioni importanti della sanità restano invarianti?

04 APR -

Rispetto al conflitto di interesse vorrei dichiarami, nei confronti di Gimbe, apertamente di parte cioè sono un suo convinto estimatore ma anche un suo debitore dal momento che per il mio lavoro uso a piene mani regolarmente le sue analisi.

Gimbe è una fondazione di diritto privato con la quale a volte mi è capitato in passato di essere in disaccordo e che per me ha comunque il merito di non farci sentire la debolezza delle nostre massime istituzioni sanitarie che, nonostante la crisi, sono rese praticamente inutili dalle incapacità di chi istituzionalmente dovrebbe usarle al fine di tutelare il bene pubblico.

Strategia e piano
Mi ha fatto riflettere la critica di Cartabellotta che l’altro giorno ha presentato a Bologna il piano di rilancio del SSN (QS 31 marzo 2023). La sua tesi è chiara: senza una strategia politica in sanità alla fine tutto si riduce a contingenza per cui serve un piano di rilancio del SSN.

Da quel che capisco per il mio amico Cartabellotta la strategia è implicita nel piano cioè per lui, piano e strategia, sono la stessa cosa dal momento che il piano corrisponde ad un sistema sanitario dato a priori come invariante quindi che a priori viene comunque confermato in tutte le sue contraddizioni.

Il piano proposto infatti non cambia né la strategia di riforma varata quasi un mezzo secolo fa né il sistema sanitario di riferimento. Tutto resta, nonostante tutto, al suo posto: il privato/pubblico, i livelli istituzionali, i modi del finanziamento, l’organizzazione dei servizi, l’ospedale e il territorio, i lea, ecc.

Gimbe quindi non propone una riforma ma un aggiustamento in corso d’opera. Ribadisco ancora una volta che oggi in sanità, dopo tutto quello che è successo, ridipingere la casa per appigionarla meglio non basta.

Ripensare le strategie non è tabù

Dopo più di mezzo secolo di esperienze negative, di cambiamenti di tutti i tipi, di crisi una peggiore dell’altra, di errori e di cantonate, ma anche di forti limiti culturali nel pensiero riformatore, oggi le strategie compreso quelle implicite nell’art. 32 e nella 833 vanno ripensate.

Per me con i casini che abbiamo le strategie non possono essere un tabù. E poi c’è il resto, cioè la sfida della complessità che la 833 ha accuratamente evitato perché neanche sapeva in cosa la “complessità” consistesse: oggi non puoi fare one health restando dentro l’apparato concettuale della 833, come non puoi fare sostenibilità senza fare un discorso nuovo sulla salute intesa come ricchezza, come non puoi rivalutare il lavoro come se fosse un capitale se prima non cambi i vecchi presupposti che decidono il valore delle prassi e non puoi fare una nuova sanità se non si definisce contestualmente una nuova idea di scienza medica.

Tutte sfide che la 833 neanche si sognava ma che oggi bussano alla porta.

Sbagli e incapacità
Come ho scritto nel mio ultimo libro a monte del processo riformatore degli anni 70 c’è certamente un grande sogno ma anche un sacco di aporie, un sacco di limiti, di fraintendimenti, di sbagli e un sacco di inevitabile ignoranza. Si dice che non si nasce “imparati” ebbene mai come in sanità questo è vero.

Ribadire quindi una strategia come ha fatto Gimbe a Bologna che, alla prova dei fatti, si è dimostrata comunque fallace e aporetica, non mi pare una buona idea. Poi dedurne addirittura un piano pur apprezzando le buone intenzioni non mi sembra proprio il trionfo della razionalità.

Penso quindi, a differenza di Gimbe, che le strategie di riforma degli anni 70, a parità di valori sia ben chiaro, oggi debbano essere ripensate perché semplicemente non hanno funzionato o non hanno funzionato del tutto o sono state impostate male o sono state tradite come nel caso delle controriforme.

Sull’ enorme danno provocato dalle controriforme degli anni 90 quelle che hanno trasformato il diritto fondamentale alla salute in un diritto potestativo, Gimbe tace e non capisco francamente perché. Mi chiedo però come farà a rimuovere certe contraddizioni tra pubblico e privato.

In realtà non mi convince la linea di Gimbe che nel suo piano ritiene che le contraddizioni si disciplinano ma non si rimuovono.

Vengo da un’altra scuola. In sanità ci sono contraddizioni che si possono solo rimuovere e che non possono essere disciplinate ma solo perché non possono essere ammesse.

Effect size ed end point
Le cose sono andate storte quindi si tratta di capire cosa è andato storto e come si rimedia. Per noi che come mestiere pensiamo la sanità si tratta di misurare la forza delle relazioni che:

Usando il linguaggio della sperimentazione clinica che Cartabellotta conosce molto bene si tratta quindi di rapportare gli outcome delle scelte politiche decise con i ‘risultati’ conseguiti valutando due cose: la ‘dimensione dell’effetto’(effect size)di quelle scelte e i ‘punti di fine osservazione’ (end point).

Ebbene è innegabile che in questi anni la sanità ha fatto scelte dalle quali sono venuti fuori rilevanti effect size e end point molto contraddittori, (privatizzazione, aziendalizzazione, de-capitalizzazione del lavoro, definanziamento, autonomia differenziata, crescita delle ingiustizie e delle diseguaglianze ecc).

Ma se è così allora a che serve fare un piano quando in realtà si dovrebbe fare una riforma? Una quarta riforma.

Un piano non è una riforma
Un piano come quello proposto da Gimbe è una lista di ciò che si vuole fare, degli obiettivi cui si mira e dei mezzi coi quali si ritiene di poterli raggiungere. Una riforma invece è un progetto di rinnovamento di una sanità per impedire che essa soccomba sotto il peso delle sue contraddizioni.

Come posso pretendere che il piano funzioni se tutte le contraddizioni importanti della sanità restano invarianti?

E’ per questo che da anni anziché parlare di un piano per salvare la sanità pubblica preferisco parlare di una quarta riforma.

Cioè si tratta di chiudere con gli errori del passato e di aprire un nuovo capitolo all’insegna di un nuovo riformismo. Quello che la 833 oggettivamente non poteva immaginare e che da quello che vedo per Gimbe non è ancora accessibile.

Conclusione
A me pare che Gimbe alla quale confermo la mia stima e il mio debito intellettuale cada suo malgrado in una grossa contraddizione: non si può dire che non c’è una strategia politica in sanità e tutto si riduce a contingenza e proporre un piano che più in là della contingenza non riesce ad andare

Ricontrollate l’elenco delle misure proposte e vedrete a parte qualcosina se non è così.

Ivan Cavicchi



04 aprile 2023
© Riproduzione riservata


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