Partiamo dalla costatazione che I sistemi sanitari europei, tra i meglio finanziati e più equi al mondo, si trovano ad affrontare una raffica di minacce alla loro stabilità nel medio e lungo termine, evidenziando la difficoltà di raggiungere e mantenere una copertura sanitaria universale anche nelle regioni più ricche del mondo. Non è economicismo è evidente principio di realtà.
Esperti e leader politici provenienti da tutta la regione europea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) si sono riuniti all’incontro annuale del Forum Europeo sulla Salute nell’idilliaca località turistica di Bad Hofgastein, in Austria, per discutere su come orientare l’Europa, nonostante il periodo critico di guerre e minacce all’umanità, per garantire l’assistenza sanitaria universale di cui gode la maggior parte dei suoi cittadini.
Il rapido invecchiamento della popolazione, la crescente carenza di personale sanitario, gli investimenti insufficienti nei sistemi sanitari e gli shock esterni come il cambiamento climatico e l’inflazione guidata dall’invasione russa dell’Ucraina stanno sottoponendo i sistemi sanitari europei, usciti già pesantemente stressati dalla Pandemia di covid-19, di fronte ad interrogativi profondi sulla loro tenuta.
Ecco, non è vero che non c’è cultura innovativa e riformatrice, Penso anche a Federico Spandonaro Professore, straordinario presso l'Università Telematica San Raffaele di Roma , Presidente del Comitato Scientifico di C.R.E.A. Sanità (Centro per la Ricerca sanitaria), con cui ho lavorato e ricercato a partire dal 2001 quando insegnava a Tor Vergata ed io ero sottosegretaria alla Sanità con Umberto Veronesi, sull’andamento della spesa sanitaria pubblica e privata in Italia, fino alla costruzione dell’Anagrafe dei fondi sanitari integrativi, proponendo strumenti regolativi poi rimasti lettera morta in tutti i governi succedutisi dal 2006 in poi.
Penso a Sabina Nuti che insegna Economia e gestione delle imprese presso la Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa e dirige il Laboratorio Management e Sanità, costituito in collaborazione con la Regione Toscana. Cultrice della valutazione delle performance in sanità. Studiosa di sistemi e criteri di misurazione dei risultati in sanità e dove il governo della spesa è integrato con le misure di risultato, al fine di evidenziare il valore prodotto per il cittadino. Oggi utilizzato per supportare i processi di programmazione regionale e aziendale, integrato con il sistema di incentivazione delle direzioni generali delle aziende sanitarie, esso si basa sul monitoraggio di 130 indicatori, raggruppati in 50 indicatori di sintesi a loro volta classificati in sei dimensioni di valutazione. La performance conseguita viene rappresentata in target (bersagli) con cinque fasce di valutazione ed è basata su processi di benchmarking tra le aziende. Tale confronto dei risultati è fondamentale per attivare i processi di innovazione, per crescere e migliorare come sistema, ma è utile anche per valorizzare i risultati ottenuti e porli a confronto con alcune tra le più significative esperienze internazionali nel settore.
Penso al mio amico e collega Cesare Cislaghi che ha insegnato Economia Sanitaria presso la facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Milano. È stato presidente dell’Associazione Italiana di Epidemiologia. Ha diretto l’Osservatorio di Economia Sanitaria dell’Agenzia regionale di sanità della Toscana. È stato dirigente della sezione di monitoraggio dei LEA e della spesa sanitaria dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali AGENAS. Attualmente cura un blog sui temi della sanità pubblica, ospitato nella home page della rivista Epidemiologia e Prevenzione, messo su con molti di noi ricercatori e soprattutto epidemiologi durante il Covid, che ci ha consentito di monitorare passo dopo passo l’andamento della Pandemia studiandone i trend a livello regionale.
Penso ai professori Garattini e Remuzzi dell’Istituto Mario Negri, colonne portanti della storia e dello sviluppo del nostro servizio pubblico e tanti che ho incontrato e frequentato fino al pensionamento e che tutt’ora leggo e studio perché la sanità e stata grande parte della mia vita professionale, politica, istituzionale e nonostante gli anni resta una passione che continuo a coltivare.
Non mi accanisco quindi nel dare le pagelle e non mi rassegno a vedere la sanità solo, come settore ma lo metto come è giusto che sia, nel sistema paese e per questo non mi arrendo all’idea che solo una quarta riforma sia la salvezza o che, se non vogliamo giocare sulla significativa assonanza dei sinonimi, solo la compossibilità potrebbe salvarci. Si apre una certa questione epistemologica con cui non gareggio, essendo una economista di formazione, ma oggi in presenza di crisi di sopravvivenza dell’intero sistema, potremmo parlare anche di ecocompatibilità di ecosostenibilità o come già stiamo facendo di economia circolare. Il riformismo che non c’è bisogna costruirlo, ma con tutta l’onestà intellettuale di cui sono capace:
Perché non dire che tutta la politica è in crisi profonda, che la democrazia vive una crisi di rappresentanza mai vista, che la società sceglie il più delle volte senza accertata conoscenza. Che c’è un livello di disumanizzazione dei rapporti e del fare politica che appare eternamente come una sfida all’O.K. Corral, che la crescita civica che pur c’è nella società italiana, fatta di volontariato, di associazionismo diffuso, penso a cio che accade nei nostri reparti di oncologia, che senza l’azione quotidiana dei volontari sarebbero asettiche corsie di dolore e di solitudine. Bene, questa ricchezza della nostra società è tenuta in conto nelle scelte di sistema? Credo di no, perché la politica ha smarrito la sua funzione ed alcuni comportamenti incoerenti e a volte illeciti ne hanno smarrito il senso di utilità per il bene comune ed ha fatto crescere un senso di distacco per cui il fai da te è la strada migliore. Ma governare i processi che investono le nostre odierne società complesse e cosa difficile inedita, ardua.
Non bastano i conservatorismi di ieri e nemmeno la cultura socialdemocratica di un tempo che non c’è più. Bisogna riprendere una marcia che vedo molto in salita ma non impossibile, se e solo se ci dicessimo in verità e giustizia le cose da fare davvero, anche a costo di essere impopolari.
“I bilanci che gli Stati membri presenteranno alla Commissione [UE] nell’ottobre di quest’anno stanno già iniziando a riflettere questo”, ha affermato Fearne. “La spesa pubblica dovrà ridursi drasticamente e, naturalmente, la salute sarà uno dei settori che ne risentirà”. Ma Fearne e i suoi colleghi ministri sostengono che esiste una soluzione chiara: considerare la salute come un investimento, non come un costo per i bilanci nazionali.
Io concordo, la nuova Europa dovrà, nel rivedere le regole, fare questa scelta.
I tagli al bilancio degli stati provocano uno shock al settore sanitario, che è già alle prese con i nuovi costi del cambiamento climatico e con l’attuale crisi del costo della vita. È probabile che anche gli sforzi per decarbonizzare i sistemi sanitari nazionali vengano privati della priorità poiché i governi già si trovano a fare i conti con finanziamenti sempre più scarsi. Abbiamo già visto con i definanziamenti provocati dalla crisi finanziaria del 2008 cosa è successo ai sistemi sanitari italiano e inglese: un potente definanziamento le cui conseguenze abbiamo pagato con impoverimento dei servizi per i cittadini, mancati rinnovi contrattuali adeguati e crisi di sistema durante la pandemia con aggravio di costi.
Gli esperti sanitari avvertono che i tagli potrebbero avere un impatto devastante sulla qualità dell’assistenza sanitaria per gli europei. Tempi di attesa più lunghi, accesso ridotto ai servizi e un calo della qualità dell’assistenza sono tutte probabili conseguenze dei tagli. Se la spesa pubblica per la sanità in tutta Europa dovesse crollare, ha avvertito Fearne, la porta sarà totalmente aperta all’industria privata per colmare il vuoto nel settore sanitario europeo, con risultati imprevedibili.
I bilanci considerano ancora la salute un costo, non un investimento. E’ questo l’errore. Con la pandemia tutti in Europa hanno iniziato a credere un po' di più nel concetto 'investire nella salute e che la salute non è un costo, ma è un investimento". Ora, credo che una buona parte degli attori europei, quelli che alla fine decidono sappiano benissimo che occorre un cambio di paradigma.E’ vero che La disciplina di bilancio è disciplina di bilancio, che nella cassetta degli attrezzi si deve trovare presto la sostenibilità, o se si vuole la “compossibilità” cioè la fattibilità economica, tra economia e diritto universale alla salute, che sia positiva per i bilanci degli Stati membri”.
L’Europa deve trovare un modo per bilanciare la necessità di sostenibilità finanziaria con il mantenimento di un sistema sanitario pubblico di alta qualità che è, e dovrebbe rimanere, un pilastro fondamentale dell’identità dell’UE. Ora l’Europa si rinnova nelle sue istituzioni in primavera con 2 guerre, che ci riguardano come valori di civiltà e come democrazia e partecipazione dei cittadini alle scelte per il futuro, è il momento giusto per riprendere con vigore il tema della salute per tutti. Il dottor Hans Kluge, direttore della regione europea dell’Organizzazione mondiale della sanità, ha avvertito che lo storico aumento della disuguaglianza economica, accompagnato dai profitti record di alcune aziende private, sta minando la resilienza dei sistemi sanitari in Europa e nel mondo.
“Non abbiamo mai visto che la povertà estrema e la ricchezza estrema siano aumentate simultaneamente e in modo brusco”, ha affermato Kluge. “Vediamo aziende giganti che pagano quasi nessuna o poche tasse, ottenendo benefici inimmaginabili, mentre per la prima volta nella storia recente, abbiamo sempre più bambini che vanno a letto la sera con lo stomaco vuoto anche nei paesi più ricchi della nostra regione. "
“La nostra regione non è più quella resiliente ai disastri di una volta”, ha affermato. La crisi del personale sanitario Nonostante abbia più medici, infermieri e operatori sanitari di base che mai, l’Europa si trova ad affrontare un paradosso: la carenza di operatori sanitari sta crescendo, è più grande di quanto non sia stata negli ultimi decenni e sta ancora peggiorando. Oggi, nella regione europea mancano circa 1,8 milioni di operatori sanitari. Si prevede che tale numero salirà a 4 milioni entro il 2030 se non si farà nulla per correggerne il corso. “Il problema numero uno è la crisi in Europa: è una “ bomba a orologeria”.
La pandemia di COVID-19 ha messo in luce ed esacerbato i problemi profondamente radicati che affliggono il personale sanitario europeo. Il burnout, la retribuzione bassa e le condizioni di lavoro pericolose stanno allontanando in massa gli operatori sanitari dagli ospedali di tutto il continente. Secondo il rapporto “Time to Act” dell’OMS Europa pubblicato lo scorso anno, circa il 40% degli operatori sanitari è alle prese con depressione e ansia, mentre il 70% riferisce di sentirsi esaurito. I tassi di abbandono tra gli operatori sanitari stanno aumentando e, di conseguenza, maggiore stress viene posto su coloro che restano.
"Alcuni passi sono stati compiuti, ma non è stato fatto abbastanza", ha affermato Alvaro Cerame, presidente del comitato del personale medico dell'Associazione europea dei medici junior. “Dobbiamo essere una priorità politica”. Quasi 50.000 operatori sanitari europei hanno perso la vita a causa del COVID-19. Coloro che sono sopravvissuti alla pandemia continuano a lottare contro pesanti oneri derivanti dalla salute mentale, dall’esaurimento fisico e dalla morte di colleghi – per COVID o suicidio – che rendono insopportabile per molti la permanenza in prima linea. "Ricordiamo che queste sono le anime coraggiose che hanno salvato la società in prima linea nella pandemia", ha detto Kluge. "Gli operatori sanitari che incontro amano ciò che fanno." "Non è un lavoro, è una vocazione", ha detto. “Le persone che lasciano il mondo del lavoro semplicemente non hanno scelta, e la disperazione che vedo è – davvero, come medico io stesso – davvero straziante”.
Ho scritto diversi articoli sugli scioperi degli operatori sanitari nel Regno Unito contro il governo conservatore di Sunak che intende aumentare di una miseria, gli stipendi del personale medico ed infermieristico. Sono un campanello d’allarme da non sottovalutare medici anziani e giovani, per la prima volta insieme
in una lotta comune per il loro posto di lavoro Che succederà in prossimità della stagione invernale, in cui tra crisi influenzali e varianti covid di ritorno, i sistemi sanitari saranno come al solito presi d’assalto nonostante le campagne vaccinali siano già partite, con un tasso di diffidenza inasprito dalle vicende Covid.
Gli scioperi in tutto il servizio sanitario nazionale del Regno Unito hanno portato fino ad oggi alla cancellazione di oltre un milione di appuntamenti medici.
Retribuzioni scadenti e condizioni di lavoro pericolose hanno scatenato scioperi degli operatori sanitari in tutta Europa. Gli scioperi in corso nel Regno Unito, che si sono trasformati in una crisi incontrollabile che ha appena superato il triste traguardo di un milione di visite mediche annullate , sono un avvertimento per gli altri paesi europei sulle conseguenze dell’abbandono del proprio personale sanitario.
Anche i medici europei stanno invecchiando senza lavoro a un ritmo allarmante , e il continente non sta producendo abbastanza nuovi medici per sostituirli e per mantenere il glorioso NHS. In media, il 30% dei medici in Europa ha più di 55 anni e in 13 paesi almeno il 40% dei medici ha più di 55 anni e andrà in pensione entro il prossimo decennio. L’Italia ha il personale medico più anziano d’Europa, con quasi il 60% dei medici di età superiore ai 55 anni. Se oggi un numero maggiore di operatori sanitari se ne andasse, il divario si trasformerebbe in un abisso, con conseguenze potenzialmente disastrose per la qualità e l’accesso all’assistenza sanitaria. Dobbiamo innanzitutto concentrarci sul mantenimento degli operatori sanitari che già abbiamo perché ci vuole molto tempo per produrne di più. Quindi tratteniamo e motiviamo le persone che abbiamo migliorando le loro condizioni di lavoro e rendendo la professione più attraente. L’invecchiamento della popolazione europea ci pone una sfida per l’assistenza sanitaria senza precedenti. Poiché le persone vivono più a lungo, hanno maggiori probabilità di sviluppare malattie croniche, che possono mettere a dura prova le risorse sanitarie.
Il cambiamento demografico ha già spinto molti paesi europei, tra cui la Francia, ad aumentare l’età pensionabile per correggere gli squilibri di bilancio che emergono quando troppo pochi lavoratori sostengono un sistema di assistenza sanitaria e pensioni socializzate. E la Francia non ha il nostro livello di evasione fiscale.
Sebbene l'evoluzione demografica dell'Europa verso una società più anziana sia inevitabile, la soluzione a lungo termine, dicono gli esperti, deve essere in primo luogo quella di ridurre la pressione creata da richieste evitabili sul sistema sanitario. Ciò significa garantire che un numero maggiore di persone goda di più “anni di vita sana” durante la mezza età e l’invecchiamento. Ciò può essere raggiunto promuovendo l’alfabetizzazione sanitaria e combattendo in modo proattivo problemi sanitari evitabili come l’obesità attraverso l’educazione e la sensibilizzazione, nonché politiche fiscali, ambientali e alimentari che consentano scelte e stili di vita più sani. il luogo in cui vogliamo vivere è una Europa sostenibile per tutti, in cui non vi sia disuguaglianza all’interno dei paesi o degli Stati membri, perciò l’Europa non può più essere quella dei tagli dei bilanci, ma quella degli investimenti in salute ed equità per i propri cittadini. Questo declina la bontà della nostra cultura occidentale.
Questi io credo debbano essere i principi ispiratori di un nuovo ciclo riformatore, in cui l’autorevolezza dello stato si misura con il soddisfacimento nell’uso dei beni comuni e dei diritti da parte dei cittadini, il sistema istituzionale decentrato funzioni senza ulteriori sovraccarichi fiscali per i cittadini e senza l’ossessione del recinto autonomistico, ma secondo una visione unitaria del paese e dell’esercizio dei suoi diritti, che la sanità e il lavoro sanitario siano in cima ai pensieri di chi ci governa e che la cultura della programmazione e dell’organizzazione e gestione delle strutture sanitarie, sia il vero obiettivo di merito su cui si verifica la bontà e la capacità di governance del SSN.
Grazia Labate
Ricercatrice in economia sanitaria già sottosegretaria alla sanità