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Io, Basaglia e la polenta ancora da mangiare

di Ivan Cavicchi

Con Basaglia la psichiatria avrebbe dovuto iniziare un percorso riformatore che sarebbe dovuto andare al di là della 180 cioè diventare una “scienza politica”. In realtà a vedere le cose meglio da vicino essa in molti casi si è fermata proprio dopo Basaglia alla ideologia non riuscendo a diventare ancora oggi né politica e né scienza

14 MAR -

Conobbi Basaglia nel 1980 quando si trasferì a Roma lasciando Trieste per fare il coordinatore dei servizi psichiatrici della Regione Lazio. A quel tempo ero giovane lavoravo in ospedale ed ero allo stesso tempo il responsabile della sanità della camera del lavoro di Roma.

Conoscerlo per me fu come incontrare il “maestro” quello che mi aveva indicato la strada da seguire e che avevo nel cuore in ogni manifestazione in ogni convegno in ogni riunione fatta nella mia città per la chiusura del S. Maria della Pietà.

Lo incontrai in realtà poche volte perché dopo la sua venuta a Roma lui si ammalò. Gianni De Plato mio amico e amico a sua volta di Basaglia fu praticamente colui che dalle prime avvisaglie comprese la grave malattia di Basaglia. Più tardi mi confidò che quando Basaglia si senti male per la prima volta, lui era con lui e non poté fare a meno di sospettare che egli avesse qualcosa di brutto. Basaglia mori a 56 anni a causa di un cancro cerebrale. Gianni purtroppo ci aveva visto giusto.

Che Basaglia morisse in questo modo a parte rattristarmi mi turbò profondamente. Colui che ci aveva insegnato a ridefinire la malattia mentale era morto a causa di un cancro al cervello. La sua era una morte tragicamente metonominica. Come se il cervello si fosse preso la rivincita su colui che l’aveva così tanto radicalmente riformato.

Basaglia contesta la psichiatra biologistica del ‘900 contrapponendogli una psichiatria politica molto più avanzata. E lo fa quando ancora non era approdata nel nostro paese la teoria della complessità. “La sfida della complessità” [1] arriva in Italia 5 anni dopo la morte di Basaglia. Quindi Basaglia senza il supporto della teoria della complessità di fatto destrutturò la psichiatria manicomiale anche se l’idea di antipsichiatria che tutti gli attribuiscono alla fine non gli è mai piaciuta così tanto. Lui riteneva di avere una propria idea originale di “altra psichiatria” che con Cooper, come dichiarò lui stesso, aveva poco a che fare.

La psichiatria ancora oggi soprattutto quella accademica mostra soprattutto attraverso certi psichiatri di non aver gradito questa idea di “altra psichiatria”. Ancora oggi Basaglia è assente dai programmi di formazione delle scuole specialistiche in psichiatria. Il problema del famoso “cane morto” di cui parlo nel mio libro.[2]

Se Minsky molti anni dopo la morte di Basaglia scriveva che “la mente è semplicemente quello che fa il cervello”[3] Basaglia molto tempo prima della teoria della complessità scriveva che la mente è quello che fa il cervello ma dentro una società che non può essere rimossa o negata ma che al contrario deve essere esplicitata denunciata criticata perché interdipendente. Basaglia come è noto non aveva una grande considerazione per la psicologia. A quel tempo la complessità era prevalentemente politica.

Quindi da Basaglia in poi i problemi di salute mentale anche senza la teoria della complessità, vanno letti in un ambito più largo la cui estensione coincide con l’intera società e con le sue contraddizioni.

Con Basaglia la psichiatria avrebbe dovuto iniziare un percorso riformatore che sarebbe dovuto andare al di la della 180 cioè diventare una “scienza politica”. In realtà a vedere le cose meglio da vicino essa in molti casi si è fermata proprio dopo Basaglia alla ideologia non riuscendo a diventare ancora oggi ne politica e ne scienza. Oggi ce la passiamo male molto male secondo me anche per questo. Ma vedo che l’intero settore fa un po’ orecchio da mercante. Si tira a campare.

Questa è sostanzialmente la tesi che anche in questo ricordo di Basaglia mi sento di riproporre e che ho chiamato, nel libro citato prima, il problema della “sinfonia incompiuta”.

La 180 è senz’altro il “primo tempo” di una sinfonia che Basaglia aveva iniziato a suonare sfidando il suo tempo ma che non è ancora finita e che rischia per le ragioni note di restare incompiuta

La svolta politica di Basaglia se noi restiamo prigionieri della ideologia che fino ad ora ha dominato quasi interamente sul settore della salute mentale, se non la sosteniamo con un nuovo rinnovato moderno pensiero politico e scientifico quindi dentro una più avanzata teoria della complessità, rischia di essere vanificata.

Basaglia ha lanciato una sfida epistemologica che per me è stata accolta solo in parte.

La lezione di Gramsci su rapporti inesplicati tra ideologia scienza politica è chiara. Ma anche Gramsci viene prima della complessità. L’ideologia serve ed è utile ma deve diventare politica e può diventare politica solo se è sostenuta da una scienza adeguata.

A tutt’oggi nella salute mentale c’è ancora molta ideologia poca scienza e pur giunta biologistica ma soprattutto non c’è politica. Quanto a complessità lasciamo perdere.

Ancora oggi a partire dalla legge 180 il DSM resta indefinito.

La Dirindin nel 2017 per compiacere proprio l’ideologia e la pura apologia della 180, propose una inutile quanto ridicola 180 bis (QS 19 settembre 2017) una scopiazzatura dell’ultimo progetto obiettivo (Gazzetta Ufficiale n. 274 del 22.11.1999) ma a sua volta senza definire il DSM. Per lei la 180 bis non doveva toccare la 180 per cui il DSM restò indefinito.

Quando Basaglia venne a Roma agli inizi degli anni ‘80 in CGIL avevo messo in piedi un gruppo di lavoro per definire il DSM. A quel tempo il DSM era solo una concezione generica e fumosa e per giunta molto ideologica.

Alla fine del gruppo di lavoro organizzammo un convegno invitando tutti i servizi, proprio per connotare e denotare il DSM. Basaglia non poté partecipare proprio per ragioni di salute. Ricordo che vennero tutti ma alcuni con molte riserve soprattutto quelle avanzate dai responsabili di dipartimento (ricordo ancora quelle di Lo Savio, di Antonucci, di Piccioni). Il tono era: grazie tutto molto interessante ma…

Soprattutto i responsabili di dipartimento si sentivano in qualche modo espropriati delle loro competenze e psichiatra democratica un po’ declassata. In fin dei conti che c’entrava il sindacato. C’era psichiatra democratica e i servizi e poi loro i capi dei dipartimenti. A quei tempi psichiatria democratica pretendeva semplicemente che il sindacato si limitasse a sostenerla e a seguire le sue politiche. Ma la linea non era il sindacato che doveva darla.

Alcuni giorni dopo il convegno raccontai per telefono a Basaglia come era andata lui si mise a ridere divertito e ricordo ancora la sua battuta “tutti bravi prevosti ma di polenta da mangiare ne hanno ancora tanta”.

E aveva ragione lui. Ancora oggi c’è ancora tanta polenta da mangiare. La sinfonia incompiuta, per l’appunto.

Al contrario dei “prevosti” Basaglia apprezzò tantissimo la proposta al punto tale che due anni dopo la sua morte in un libro il cui titolo era “trasformazioni socio sanitare”[4] la pubblicai integralmente tale e quale, dedicandole il capitolo 3 “Il dipartimento per la salute mentale (DSM). La parte conclusiva di questo capitolo si chiudeva con un paragrafo molto polemico che a Basaglia era davvero piaciuto molto, il cui titolo era “Il servizio manicomiale su base dipartimentale”.

Ancora oggi dopo circa 50 anni da quella proposta di DSM per me essa resta ancora la definizione migliore di DSM. Ancora oggi la provocazione del “servizio manicomiale su base dipartimentale” è ancora attuale. Secondo Basaglia il manicomio era stato chiuso ma era anche rispuntato sotto svariate forme”. Cioè il problema della “sinfonia incompiuta” non era per niente campato per aria.

Dopo di lui proprio questa neo-manicomialità di ritorno sembrerebbe dimostrare che nessuno oggi ha i numeri per continuare il lavoro di Basaglia cioè completare la stesura della sinfonia E questo pur me, pur con tutte le giustificazioni sui cambiamenti del mondo, sui cambi di governo, sulle guerre e sulle crisi finanziarie, sul definanziamento della sanità, dopo anni di governo soprattutto da parte della sinistra sulla sanità, quindi da parte di chi ha sempre sostenuto il pensiero di Basaglia, è enormemente triste.

La grande lezione di Basaglia lo ribadisco per me è il suo grande coraggio riformatore ma i “prevosti” come li ha chiamati lui da quel che sembra di coraggio ne hanno poco molto poco forse è per questo che la salute mentale sta andando come il resto della sanità pubblica a “ramengo”. Davvero peccato.

Ivan Cavicchi

[1] G.Luca Bocchi M.Ceruti La sfida della complessità Feltrinelli 1985

[2] I. Cavicchi Oltre la 180 Castelvecchi 2022

[3] di Marvin Minsky La società della mente Adelphi, 1989

[4] I. Cavicchi Trasformazioni socio- sanitarie Bulzoni editore 1082



14 marzo 2024
© Riproduzione riservata


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