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Verso le elezioni. Cozza (Fp Cgil Medici): “Il pericolo di una sanità per ricchi e una per poveri”


Negativo il bilancio del segretario nazionale delle Fp Cgil Medici sulla politica sanitaria del Governo Monti, che è consistita per lo più in "drastici tagli al finanziamento pubblico” con ricadute sulla qualità del servizio e sulle condizioni di lavoro dei professionisti. "Sia ribadita la centralità del Ssn". Gli altri articoli dello speciale "Verso le elezioni: Mele (Fimp)Testa (Snami)Cassi (Cimo)Gigli (Fesmed)Mandelli (Fofi).

08 GEN - C’è poco ottimismo nella parole di Massimo Cozza, segretario nazionale della Fp Cgil Medici, secondo il quale, sulla spinta della convinzione che il servizio pubblico sia insostenibile, si stanno facendo strada ipotesi di privatizzazione e di creazione di due sanità - una per ricchi e una per poveri - che vanno invece assolutamente contrastate. “Il privato e i fondi integrativi non vanno demonizzati, ma non devono diventare sostitutivi né competitivi del Ssn, bensì essere funzionali e realmente integrati al Ssn, che deve restare universale e di tutti”.
Al prossimo Governo Cozza chiede “sia chiarita definitivamente la centralità del servizio sanitario pubblico e l’universalità del sistema, e che vengano messe in campo tutte le risorse necessarie per garantire il suo funzionamento, ma anche per riprendere a valorizzare la professionalità di chi vi lavora”.

Dottor Cozza, qual è il suo bilancio sulle politiche per la sanità del Governo Monti?
Negativo. Perché il concetto di spending review è condivisibile, non può esserlo il modo in cui è stata attuata dal Governo, che nella pratica ha proceduto a tagli drastici al finanziamento pubblico. È chiaro che poi il sistema non sia più sostenibile. La sensazione è che il Governo Monti abbia voluto “affamare la bestia”, cioè impoverire il Ssn per poi dire che non ci sono risorse e vanno trovate strade alternative, individuate nel pilastro privato, nei fondi integrativi e in nuove forme di finanziamento che tendono, però, a scardinare il servizio sanitario pubblico e universale così come lo conosciamo.
La Fp Cgil Medici non è contraria a una riforma del sistema, ma tale riforma deve avere come obiettivo il rilancio dell’attuale servizio sanitario, non deve tradursi nella creazione di due sanità, una per ricchi e l’altra per poveri.
Bene, dunque, la spending review se significa rivedere la spesa per evitare gli sprechi, riqualificare i servizi per ottenere risparmi, spostare alcune prestazioni dall’ospedale al territorio, ma diciamo no a una spending review di tagli netti considerato anche che tutti gli indicatori dicono che l’Italia spende per la sanità meno degli altri Paesi europei.

Il Decreto Balduzzi si proponeva come un’importante opera di miglioramento del sistema. Ritiene che questo obiettivo sia stato conseguito?
Più nelle intenzioni che non nei fatti. Ad esempio, il potenziamento dell’assistenza territoriale è assolutamente indispensabile, ma non è possibile pensare di realizzarla a costo zero, come pretende il Decreto. Anche perché, oltre che valorizzare i medici di famiglia, una riforma della medicina territoriale che voglia essere davvero efficiente deve prevedere anche la creazione e l’adeguamento strumentale di strutture h24 in grado di dare risposte che le renda davvero alternative alle funzioni ospedaliere. Tali strutture dovranno quindi garantire prestazioni come il primo soccorso, analisi e diagnostica di primo livello e così via. Non è sufficiente lasciare aperti più a lungo gli attuali ambulatori medici.
Giudizio negativo anche per quanto riguarda la fallita regolamentazione dell’intramoenia. Di fatto il Decreto pone le basi istituzionali per la definitiva autorizzazione della libera professioni negli studi privati in circa metà della Regioni italiane. Questo allontanerà ancora di più i medici e i cittadini dal servizio pubblico. Inoltre, non è stato dato neanche un buon insegnamento al Paese, dal momento che ad avere i maggiori vantaggi saranno le Regioni inadempienti, che non hanno speso risorse per adeguare gli spazi e ora saranno autorizzate a delegare l’applicazione delle nuove regole agli studi medici privati. Le Regioni adempienti, per costruire spazi ad hoc come previsto dalla normativa, alla fine hanno speso risorse che potevano essersi risparmiate.

Un altro capitolo del Decreto molto criticato è stato quello sulla responsabilità professionale. Lei cosa ne pensa?
Va riconosciuto che c’è stato un piccolo passo in avanti, anche se insufficiente, perché per la prima volta è stato affrontato un tema delicato che riguarda e preoccupa i medici, ma anche i cittadini e tutto il circuito economico del sistema sanitario. Sicuramente si tratta di un tentativo apprezzabile, ma tanto limitato da rendere necessari nuovi interventi, anche dal punto di vista legislativo. Quello della responsabilità professionale è tra i capitoli più urgenti della sanità, a cui va trovata una risposta il prima possibile, sia per offrire ai medici e agli altri operatori sanitari migliori garanzie professionali, ma anche affinché il cittadino abbia i dovuti risarcimenti in tempi giusti. In questo modo sarà possibile fermare quel fenomeno pericolo che ci vede tutti in balìa di campagne strumentali e aggressive che speculano sul sistema sanitario e che, così facendo, danneggiano medici, cittadini e sistema stesso.

Quali sono i suoi auspici per il 2013?
Principalmente uno, che però è alla base di tutti gli altri, e cioè che il prossimo Governo chiarisca definitivamente la centralità del servizio sanitario pubblico e l’universalità del sistema, senza se e senza ma. E quindi che vengano messe in campo tutte le risorse necessarie per potere garantire il suo funzionamento e i livelli essenziali di assistenza, ma anche per riprendere a valorizzare la professionalità dei medici e degli altri operatori sanitari. Il contratto dei medici è fermo al 2010 e questo non incide solo sull’aspetto economico, ma anche su quello normativo che servirebbe a migliorare la qualità del lavoro e delle condizioni di lavoro, sia nel servizio pubblico che nel privato, che sta anche peggio di quello pubblico.
Si tratta anzitutto di una scelta politica. Che è quella che chiediamo di compiere al prossimo Governo. La scelta di un’unica sanità per tutti, che significa che ciascuno ha il sacrosanto diritto di usufruire del Ssn per ricevere la risposta di salute di cui ha bisogno, contribuendo al sostentamento del sistema in proporzione a quel che ha. Sicuramente vanno messe in campo le azioni più efficienti per garantire una maggiore appropriatezza nel ricorso alle prestazioni sanitarie, ma la sanità deve restare un servizio a disposizioni di tutti, escludendo qualsiasi ipotesi di staccare una parte dei cittadini dalla contribuzione del servizio pubblico e dall’utilizzo dello stesso.
Un’altra criticità a cui speriamo sia presto data una risposta, anche in considerazione della sua scadenza, è il precariato. È un cerino che brucia, mentre si continua ad andare avanti per proroghe, l’ultima delle quali stabilita per il 31 luglio 2013. Il problema è che la norma contenuta nella legge di Stabilità prevede la possibilità, e ripeto ‘possibilità’ di prorogare al 31 luglio i contratti. Questo significa che potrebbe anche non essere fatto e che ci saranno colleghi che perderanno il lavoro. Un dramma, forse il più urgente da affrontare a livello nazionale e regionale.
Quello che chiediamo è che sia chiarito una volta per tutte che se un medico è essenziale per garantire un servizio essenziale, allora va bandito un concorso e assicurato che quei medici abbiamo un contratto sicuro. Non è possibile che chi lavora a un servizio essenziale debba farlo in condizioni di lavoro così insicure.

Questi sono gli auspici. E i timori?
Che il 2013 sia un anno addirittura peggiore di quello che ci siamo appena lasciati alle spalle, perché le le reali ricadute dei tagli e delle normative si vedranno solo ora. Sarà un anno di grande difficoltà e di enormi sacrifici, non solo per la sanità ma per il Paese intero.
Per quanto riguarda il nostro specifico campo di azione, il 2013 rischia di essere drammatico, con 1 miliardo in meno di finanziamento reale, con il taglio di oltre 7 mila posti letto in meno, con il termine del precariato e con la bomba pronta ad esplodere dei 2 miliardi di ticket che, se introdotti, saranno devastanti. Ma anche in questo caso si tratta di una questione politica ed è fuorviante far credere che sia invece una necessità tecnica. Il Governo Monti avrebbe potuto eliminare il ticket, ma ha invece utilizzato quelle risorse per aumentare i finanziamenti alla difesa. Ora chiediamo che i nuovi ticket non siano introdotti e che quei 2 miliardi non vengano fatti pagare alla sanità, ma siano presi altrove, ad esempio alla difesa.
La verità è che ogni anno sarà peggiore del precedente se non si investono nuove risorse per il Ssn.

Siamo in periodo di campagna elettorale. Qual è la sua opinione sui primi interventi dei leader politici e quali le sue preoccupazioni rispetto alla loro visione della sanità?
Temo che possa prendere piede, all’interno della politica, una visione generale di insostenibilità del servizio pubblico e che questo possa diventare un pretesto per non cercare risposte efficienti ad invertire la rotta. In questo modo, nell’opinione pubblica, che non troverà più risposte nel Ssn, si determina la convinzione che il Ssn sia finito.
In questo contesto, ci preoccupa molto l’avanzata delle ipotesi di introduzione del privato e dei fondi integrativi. Con questo non intendo demonizzare il privato, che se accreditato e funzionale a una logica pubblica è sicuramente un importante risorsa. Ma sono contrario a lasciare la sanità in mano ai privati e alla creazione di due canali: quello della sanità pubblica per poveri e quello della sanità privata per ricchi.
Credo, inoltre, che si debba fare molta attenzione anche a quei programmi di project financial che, alla fine, si traducono in vera e propria speculazione da parte del privato. Quindi diciamo no a un privato sostitutivo o competitivo del pubblico, mentre diciamo si a un una logica di reale integrazione pubblico-privato.
Lo stesso vale per la partita dei fondi integrativi, che va giocava all’interno della salvaguardia del Ssn e non come sostitutivi delle prestazioni del servizio pubblico. Sicuramente i fondi integrativi possono svolgere un ruolo importante in alcuni settori, quale l’odontoiatria e la non autosufficienza, ma senza tornare alla logica delle mutue, peraltro molto costose per la collettività.
Quanto ai programmi dei leader politici in materia di politica sanitaria, di sanità si è parlato poco e niente. Anche l’Agenda Monti p molto vaga.
Mi sembra si possa affermare che in generale ci sia poca attenzione, nonostante la sanità sia uno di quei campi particolarmente importanti, che dovrebbe essere al centro del dibattito politico e su cui andrebbe chiesto di fare estrema chiarezza. Mi stupisce, infatti, che dopo l’allarme sulla sostenibilità lanciato nei mesi scorsi da Monti, non se ne sia più parlato. Forse verrà ripreso successivamente, ma ora è impossibile comprendere dove si intenda andare a finire. Probabilmente si tratterà di un tema che riguarderà soprattutto di elezioni regionali. In ogni caso, c’è ancora tempo. E speriamo che i nostri leader politici si rendano conto che salvaguardare la sanità è una priorità, per i cittadini e per il Paese.



 

08 gennaio 2013
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