Gentile Direttore,
mentre si svolge il dibattito sui cambiamenti necessari al SSN dopo la vicenda pandemica si rivela sempre più urgente adeguare il Codice Deontologico. Basta un sommario elenco di problemi: il concetto di planet health, la sanità come sicurezza sociale, il recupero della medicina della collettività, gli obblighi vaccinali e, poi, la governance del sistema, i rapporti interprofessionali, la medicina digitale e, ancora, il concetto di morte e le scelte tragiche, infine la valutazione dei risultati e il rapporto tra autodeterminazione del paziente e consumerismo, insomma una mole ingente di questioni.
Forse per una simile consapevolezza la Fnomceo ha riproposto al Parlamento l’annosa questione del ruolo medico. E’ ovvio non confondere questo (termine di solito usato per indicare la funzione che qualcuno esercita nell’attuarsi di un fatto) con l’atto (in questo contesto, azione come manifestazione di una volontà).
Se si intende atto compiuto dal medico o spettante al medico non è possibile definirne i confini di fronte all’embricarsi di molteplici professioni tutte ugualmente protette. Semplificando la norma dell’art. 3 c. 2 del Codice Deontologico si potrebbe dire che il medico svolge qualsivoglia prestazione volta alla tutela della salute purché conforme alla deontologia e considerata appropriata dalla comunità scientifica, il che poi mi sembra implicito nel diritto.
Tuttavia, prima di tradurre in norme qualsiasi ipotesi sulla professione, occorre definire prioritariamente alcune problematiche emergenti in un contesto politico e sociale in grande trasformazione. Il segno unificante è la volontà di mantenere il sistema sanitario come paradigma di civiltà: un servizio universale che sia argine alle disuguaglianze. Quindi una critica unanime a ogni forma di privatizzazione e un diffuso desiderio di cambiamento e di radicali riforme.
Una questione fondamentale, e non solo sul piano deontologico, è che il medico, che svolge un ruolo importante, autonomo e individuale in un contesto complesso e burocratizzato come la moderna sanità, vincolato dalle regole della scienza e da una sofisticatissima tecnologia, vive una condizione di disagio (il celebre burn out) cui si vuol porre rimedio mediante una rinnovata centralità della relazione tra medico e persona e una riaffermata indipendenza che si confronta con l’autodeterminazione del cittadino.
L’intendimento è condivisibile con alcune premesse. Una prima considerazione riguarda i giovani che eserciteranno nei prossimi decenni. Rinviando ai testi di sociologia la descrizione del professionalismo ottocentesco, non v’ha dubbio che finora i medici si sono formati, sia sul piano individuale che dell’attese sociali (l’hidden curriculum), alla morale del lavoro come sacrificio e dovere. Mi sembra che i giovani oggi, ottimi professionisti sul piano scientifico e etico, considerino il lavoro come una delle componenti della loro identità che coinvolge più sfere ed è meno totalizzante. Ciò influisce sul “clima” professionale e dovrebbe favorire una medicina più sobria e aderente a “best practices” condivise.
Una seconda considerazione nasce dalla rivendicazione di autonomia del medico, ispirata ai principi di libertà e responsabilità. Nel periodo aureo della cosiddetta “dominanza medica” il medico esercitava una professione individuale e indipendente che non rispondeva a nessuno perché non v’era nessuno a cui rispondere; l’incidenza della sanità sul PIL era veramente modestissima. Il medico allora, mancando altri controlli, aveva offerto la propria coscienza e la propria scienza a misura della sua opera professionale. Il medico esercita tuttora in base alla sua responsabile autonomia ma non può esimersi dalla valutazione dei risultati; chi guida la Ferrari ha più obblighi di chi va in bicicletta.
Un’ultima considerazione: la medicina deve prendere coscienza da un lato che la salute non può più essere meramente antropocentrica ma che collega in un’unica visione la biodiversità, il rispetto dell'ambiente, la vivibilità del mondo per le future generazioni; dall’altro che la preparazione alle calamità, la promozione della salute, la medicina preventiva e sociale sono l’altra faccia della medicina moderna che deve trovare sintesi tra la tutela della salute individuale, nel rispetto dei diritti della persona, e gli interessi della collettività.
Nella sua straordinaria vicenda la medicina non è soltanto storia della relazione coll'individuo e della tutela dei suoi diritti (la centralità del paziente) ma anche storia dei grandi interventi sociali volti alla comunità dei cittadini anzi all'intera umanità. La sanità tutela un diritto individuale, la salute, ma è bene comune perché fruibile da chiunque e rappresenta un fondamentale elemento di sicurezza e di uguaglianza.
Rispetto all’evoluzione di professioni assimilabili, quali il sacerdozio o l’avvocatura, la medicina ha subito trasformazioni assai più radicali. Oggi la medicina non soccorre soltanto bensì cura e queste cure sono costosissime e complicatissime; in sintesi il medico, da sempre al servizio di chi chiede aiuto, ora serve tre padroni: il paziente, la scienza e l’amministrazione.
I progressi della tecnica hanno ulteriormente favorito quel processo di disgiunzione e riduzione della scienza medica di cui ha scritto su QS Giuseppe Belleri. Vi è una deriva che trasforma la valutazione dei risultati in ottusa burocrazia e l’EBM in obbligo professionale. Ma la lotta contro le prevaricazioni non può arrestare il mutamento del contesto che ancor più cambierà con il pieno dispiegamento della medicina digitale che prospetta una sanità diversa, fatta di app e di strumenti affidati allo stesso paziente.
Tornando alle “condizioni d’uso” della medicina, la pandemia ha definitivamente chiarito che la sanità sia pubblica che privata coinvolge molteplici stakholders, tra i quali primeggiano il medico e il cittadino, ma che comprendono gli amministratori, i finanziatori e i produttori di beni. Tutti influiscono sulle scelte del medico, perché la medicina è inserita a pieno titolo nella catena produttiva del paese.
La sanità oggi, e quindi la medicina, subisce il condizionamento del mercato, non può ignorare i costi dell'innovazione e dei farmaci e deve orientare l’organizzazione sia sulla transizione epidemiologica, la cronicità, sia sulle possibili urgenze pandemiche presenti e future. Nella celebre isola deserta, in cui si incontravano medico e paziente, ha fatto irruzione il terzo pagante con le conseguenze che conosciamo. Ma negli ultimi tempi si è consolidato il ruolo del “quarto lucrante” cioè di chi immette capitali nella sanità, negli strumenti e nei servizi, e si aspetta un guadagno e quindi non può non voler influire sulle decisioni del medico.
La lunga vicenda dei farmaci ha prodotto normative di contenimento sulle attese del capitale di rischio ma le stesse recenti vicende vaccinali hanno mostrato l’intrinseca debolezza dei sistemi pubblici. Quelli privati, all’americana o come si appresta a diventare la Lombardia, sono ancora più fragili e le disuguaglianze aumentano drammaticamente: il contrario della mission del servizio sanitario. Ma quando avremo a che fare anche con gli oligarchi dell’informatica e con chi offrirà soluzioni chiavi in mano alle difficoltà sempre maggiori del servizio pubblico, la fetta di finanziamento che andrà a questo “quarto lucrante”, cioè ai fornitori di irrinunciabili beni innovativi, inciderà su quel che resta dei LEA.
Nessuno può pensarsi al di fuori del mondo collocando in un’astratta bolla l’agire professionale e il rapporto con la persona. La stella polare ci dice di mantenere l’antica rotta di aiuto all’uomo che soffre ma di essere consapevoli che la navigazione è irta di scogli che non possono essere ignorati.