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Legge Gelli. Apportare cambiamenti significativi nelle parti sul lavoro dei risk manager

di Riccardo Tartaglia e Francesco Venneri

13 DIC -

Gentile direttore,
è auspicabile che la Commissione per lo studio e l’approfondimento delle problematiche relative alla colpa professionale”, prenda attentamente in esame anche quanto stabilisce la legge 24/2017 (sicurezza delle cure e responsabilità professionale) riguardo all’attività dei Centri per la Gestione del Rischio Sanitario e la Sicurezza del Paziente e alle funzioni e competenze del risk manager. Crediamo che ciò stia già accadendo ma vorremmo dare al suo Presidente, Prof. Adelchi D’Ippolito, ulteriori motivazioni, presentando i dati di due recenti pubblicazioni scientifiche.

Solo mediante una efficace attività di gestione del rischio clinico in sanità si potrà infatti prevenire e contenere gli eventi avversi in sanità che sono molti di più rispetto agli eventi avversi per i quali è richiesto un risarcimento. Il più recente studio sugli eventi avversi in sanità, pubblicato quest’anno sull’autorevole “The New England Journal of Medicine” (N Engl J Med 2023;388:142-53) ha identificato, su 2809 ricoveri, un evento avverso nel 23,6% degli accessi in ospedale (un paziente su quattro), giudicato prevenibile nel 22,7% dei casi. Ben il 32,3% di questi eventi aveva un livello di gravità giudicato serio. Gli eventi avversi legati ai farmaci sono stati gli eventi avversi più comuni (rappresentando il 39,0% di tutti gli eventi), seguiti dagli eventi chirurgici o altri eventi procedurali (30,4%), eventi legati all'assistenza al paziente (definiti come eventi associati alle cure infermieristiche, inclusi cadute e ulcere da pressione) (15,0%), e infezioni associate all'assistenza sanitaria (11,9%).


Questi risultati, corroborati da decine e decine di studi pubblicati (anche italiani) su riviste scientifiche accreditate e dalla stessa Organizzazione Mondiale della Sanità, evidenziano l'importanza della sicurezza del paziente e la necessità di miglioramenti continui alla pratica clinica e assistenziale.

È stato sulla base di queste ricerche e, in particolare, del report “To err is human” dell’Institute of Medicine (1999) che l’attenzione sul problema ha ottenuto un rinnovato interesse in tutto il mondo e in Italia ha contribuito a portare all’approvazione della legge 24/2017 quasi 18 anni dopo. Questo fa capire il tempo, in alcuni casi troppo lungo, che intercorre tra risultati della ricerca scientifica e l’approvazione di leggi che tentano di dare delle soluzioni normative ai problemi.

Per chi si occupa di gestione del rischio, l’innovazione più rilevante della legge italiana, evidenziata dal British Medical Journal nel 2017 (BMJ 2017, May 22;357: j2277) è l’aver introdotto con l’art. 16 nel nostro sistema sanitario il concetto conosciuto a livello internazionale come “just culture”; intendendosi con questi due termini inglesi una cultura della sicurezza attraverso la quale viene facilitata la segnalazione spontanea di inconvenienti, errori e mancati incidenti, al fine di adottare misure correttive volte a prevenire qualsiasi tipo di evento avverso. Una cultura volta maggiormente a prevenire piuttosto che a criminalizzare e che facilita la conoscenza dei fattori causali d’incidenti e disastri e ha lo scopo primario di mettere in sicurezza in tempi rapidi la struttura interessata.

L’art. 16 della legge 24/2017, stabilendo che «I verbali e gli atti conseguenti all’attività di gestione del rischio clinico non possono essere acquisiti o utilizzati nell'ambito di procedimenti giudiziari», ha tentato di dare un grande impulso ai sistemi di segnalazione e apprendimento promossi dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dal Consiglio dell’Unione Europea (Raccomandazione 2009/C 151/01). A livello internazionale, questo è forse l’aspetto di questa norma che ha interessato maggiormente chi opera nell’ambito della sicurezza delle cure. Purtroppo, non è avvenuto così nel nostro paese dove l’attenzione si è concentrata maggiormente sulle questioni giuridiche e assicurative, in gran parte incomprensibili a chi si occupa in altri paesi di sicurezza del paziente e che peraltro sino ad oggi sono state motivo di una discussione infinita che non è stata capace di giungere all’approvazione del decreto attuativo di quanto stabilisce l’art. 10 della legge. Intanto la ricerca per migliorare la qualità delle cure va avanti.

Purtroppo, una visione eccessivamente burocratica della sicurezza delle cure (concentrata sulla sinistrosità/risarcimenti, sulla responsabilità professionale e senza una definizione chiara delle competenze dei responsabili del rischio sanitario) rischia di determinare un approccio sempre più difensivistico e amministrativo piuttosto che ridurlo. Due degli obbiettivi principali della norma, tentare di ridurre “la medicina difensiva” e migliorare la qualità delle cure, potrebbero non essere ottenuti se non creiamo le condizioni per far operare meglio e con maggiore serenità i professionisti.

Infine, in una recente survey che valutava l’impatto della legge 24/2017 a cinque anni dalla sua approvazione (Healthcare 2023 Jun 26;11(13):1858), il 25% dei clinical risk manager intervistati ha affermato che gli è stato chiesto dalla magistratura inquirente di consegnare la documentazione prodotta nell’ambito di audit per eventi avversi. In alcuni casi non si sono potuti opporre alla richiesta nonostante si trattasse di una palese violazione di quanto stabilisce l’art. 16.

È evidente che queste situazioni, anche se non frequenti, hanno fortemente destabilizzato i sistemi di segnalazione e apprendimento, nonostante la raccomandazione del Consiglio d’Europa del 9 luglio 2009, in linea con l’Organizzazione Mondiale della Sanità, stabilisca di “sostenere sistemi di segnalazione e di apprendimento relativi agli eventi avversi, privi di carattere punitivo e che incoraggino il personale a segnalare gli eventi avversi mediante un ambiente equo e non punitivo”.

La survey inoltre evidenzia le criticità derivate da una legge così importante ma che non ha avuto alcun sostegno economico. È chiaro che le ripercussioni sono state sulla carenza di risorse umane dedicate a queste funzioni ma anche economiche sul contenzioso e sull’applicazione di buone pratiche. Si sarebbe, inoltre, potuto incentivare con delle premialità le strutture sanitarie con i migliori risultati in termini di riduzione della sinistrosità e miglioramento della qualità delle cure. I risk manager inoltre sembrano, in base ai risultati di questa survey, molti impegnati sul versante della gestione dei risarcimenti ma meno sulla valutazione dell’appropriatezza dei percorsi clinici e di analisi mediante audit clinici dei dati del Programma Nazionale Esiti. Burocrazia, resistenza al cambiamento e anche la mancanza di leadership orientate al miglioramento della qualità delle cure rappresentano alcune delle principali barriere che i risk manager dichiarano di incontrare nell’espletamento dei loro compiti e che rappresentano problemi importanti da risolvere per rendere la norma più efficace.

Concludiamo con la speranza che possano essere apportati alla norma dei cambiamenti significativi nelle parti che riguardano il lavoro dei risk manager, considerando che la maggior parte di loro ritiene, sulla base dello studio citato, che la legge abbia avuto un importante ruolo nel migliorare la qualità e sicurezza delle cure nel nostro Paese.

Riccardo Tartaglia
Gestione Rischio Clinico
Università Marconi
ISQua Expert

Francesco Venneri
Clinical Risk Manager
USL Firenze



13 dicembre 2023
© Riproduzione riservata

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