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Toscana. Meno infermieri, meno qualità

di Carmelo Rinnone

27 FEB - Gentile Direttore,
quando ho letto la lettera del presidente Rossi in risposta al dott. Anastasio, sono rimasto letteralmente stupito sia per un totale disconoscimento delle realtà sanitarie e per le normative che regolamentano le varie attività professionali, sia per alcune importanti incoerenze in ciò che ha scritto.

Rossi inizia, infatti, la sua lettera affermando che crede fermamente nella Sanità pubblica. Mi domando, però, come fa a dire ciò quando in seguito riporta un’affermazione sconvolgente che riporto testualmente: “almeno in parte sarà possibile sostituire il gran numero di infermieri, che potranno andare in pensione, con un certo numero di giovani Operatori Socio Sanitari preparati, pieni di voglia di fare, e non ancora colpiti da quel fenomeno serio, come il burn out, che in sanità fiacca molte energie che tanto hanno dato, e stanno dando, al Servizio Sanitario”.

Come fa a credere a un Servizio sanitario pubblico quando la Sua intenzione è quello di distruggerlo, riducendo in modo drastico attori fondamentali della sanità? Sono comprensibili i tagli che, in questo periodo, coinvolgono anche il settore sanitario ma, riduzione di spesa non vuol dire ridurre competenze, conoscenze e abilità del personale che opera nel sistema sanitario pubblico. Così facendo non vuole, evidentemente, perseguire obbiettivi di efficacia ed efficienza ma, anzi, ridurre nettamente la qualità dell’assistenza erogata. Gli infermieri, ormai dal lontano 1994, svolgono una professione intellettuale e autonoma, il cui ambito scientifico, le scienze infermieristiche, sono riconosciute dallo Stato Italiano. E, come afferma il D.M. 739/94, il nostro profilo professionale, l’infermiere si avvale dove necessario dell’opera del personale di supporto. Non viene, difatti, indicato che l’operatore socio sanitario può essere un fac simile dell’infermiere ma, bensì, un suo collaboratore, prezioso senza dubbio, ma non di certo un professionista sanitario autonomo. Come crede, pertanto, che aumentando il numero degli operatori socio sanitari e riducendo, contemporaneamente, il numero degli infermieri possa mantenere il livello qualitativo desiderato nel nostro sistema sanitario pubblico? Crede di riuscire a garantire ai cittadini un accesso a cure sicure, efficaci ed efficienti?

Tengo a sottolineare, proprio per dimostrare l’infondatezza di tale dichiarazione, che uno studio osservazionale retrospettivo, pubblicato su The Lancet a Febbraio del 2014, ha dimostrato come per ogni paziente in più di cui gli infermieri devono prendersi cura, il rischio per i pazienti di morire entro 30 giorni dal ricovero aumenta del 7 %. Al contrario, tale rischio si riduce del 7% se viene aumentato del 10% il personale infermieristico in possesso di laurea.
Sono in totale accordo con Lei, sul fatto che il personale sanitario debba essere motivato e aggiornato ma, in quest’ultimo caso, le norme a livello nazionale ci sono già, basta farle rispettare. Ad ogni modo, ci sono moltissimi infermieri ben preparati e che si aggiornano con regolarità per garantire un’assistenza di elevata qualità ai propri assistiti. Per quanto riguarda, invece, il fatto che molti infermieri siano vittime di burn out, dovrebbe indurLa a fare un ragionamento ben più ampio e non semplicistico come ha fatto sulle reali motivazioni di tutto ciò e sulle possibili soluzioni pratiche in questo ambito. Quante volte vengono calpestati i diritti dei sanitari tutti? Quante volte gli infermieri sono demansionati? Quante volte i sanitari si trovano ad affrontare dei carichi di lavoro eccessivi? Quante volte i sanitari si trovano a dover gestire situazioni stressanti?

Nella sua intervista, inoltre, Rossi parla della realtà Europea e Americana ma, quando si tratta di illustrare i rapporti infermieri – cittadini, non si rivolge più verso l’Europa e gli Stati Uniti d’America.
L’ Italia si pone ai gradini più bassi della graduatoria per quanto riguarda le risorse infermieristiche: 6,2 infermieri per 1.000 abitanti (dato OCSE), ben poca cosa a fronte degli 8,5 della Francia, dei 12,2 della Germania e in generale dei Paesi del Nord-Europa che contano 15-20 infermieri per 1.000 abitanti. La media Ocse è di 8,7 infermieri per 1.000 abitanti. Al contrario, il numero dei medici è ben superiore alla media Ocse: ben 4,1 per mille abitanti contro 3,2.

E’ giusto, per risparmiare, iniziare a premiare e a scegliere la meritocrazia come modo di gestione del personale perché, ci sono molti medici preparati, giovani e motivati che rivestono un ruolo di “secondo piano”. Lo stesso si può dire per gli infermieri. Iniziamo, a cambiare punto di vista e atteggiamenti, proprio per raggiungere cambiamenti organizzativi volti al risparmio, come da Lei auspicati, ma che non tralascino la qualità.

Mi meraviglio come una persona che ricopre quel ruolo possa fare affermazioni cosi gravemente lesive del diritto alla salute costituzionalmente garantito, oltre che delle norme che regolamentano l’operato del professionista infermiere e, di cui, non voglio soffermarmi in questa sede anche perché, contrariamente da quello che si evince dalle Sue dichiarazioni, sono sicuro che siano di Sua conoscenza. Se il suo impegno, come dice, è quello di mantenere e migliorare il Servizio Sanitario Pubblico di questa Regione, sono convinto che ci siano altre modalità di riorganizzazione.
 
Dott. Carmelo Rinnone 
Infermiere

27 febbraio 2015
© Riproduzione riservata

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