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Infermieri poco “professionisti”? Non è certo colpa nostra

di Luca Sinibaldi

18 SET - Gentile direttore,
le scrivo in riferimento all’articolo del dottor Fabio Stanga.  Apprezzando in parte la sua analisi, le citazioni legislative e del Codice Deontologico dell’Infermiere (in particolare il suo soffermarsi sull’Art. 1 e sulla parte relativa al Patto col cittadino) riscontro però una singolare assenza di valutazione circa il fenomeno del demansionamento, richiamato invece più volte e in diversi articoli e lettere a lei indirizzate, anche da personaggi esterni al mondo dell’inferieristica ma interessati alle sue problematiche e al dibatito interno.
 
Cito in  questo senso ad esempio la Dott.sa Marcella Gostinelli; la dott.sa Francesca Bufalini;  la dott.sa Chiara D’Angelo; il dott. Ivan Verzilli;  il dott. Ivan Cavicchi (in numerose prese di posizione), notoriamente esterno alla nostra professione e le assicuro che potrei ripercorrere decine e decine di interventi di infermieri e non che denunciano come causa della mancata applicazione di quella legislazione citata dal Dottor Stanga, una certa politica (o non politica) da parte della federazione IPASVI, distintasi  a partire da D.L. 739/94 e soprattutto  all’emancipazione a professione sanitaria con la Legge 46/2006.
 
Vuole forse riferirsi, il collega Stanga, quando provocatoriamente afferma che “dovremmo smettere di sventolare la patente e iniziare a guidare l’auto” soprattutto a quella parte di dottori in infermieristica che costituiscono il nostro corpo dirigenziale all’interno delle aziende pubbliche e private? Quando essi, davanti ad un altro articolo del codice deontologico (il famigerato art. 49) coniugano la necessità di dispiegare la risorsa infermieristica in modo da risolvere direttamente, unità per unità, il bisogno di igiene al posto di quelle figure di supporto che l’azienda risparmia pagando uno e comprando due? (un infermiere può fare quello che fa un OSS e non viceversa).
 
E le famose vecchie sette funzioni dell’infermiere, parte fondante di quella figura istituita col profilo professionale, che fine hanno fatto nel computo di risorsa aziendale? E che ci stanno a fare allora i Dirigenti aziendali Infermieristici se non a garantire, nel quadro di gestione generale delle risorse aziendali, quello spazio di autonomia tanto agognato?
 
Perché se è vero che gli infermieri italiani hanno una certa tendenza ad “ingobbirsi” davanti ai poteri forti, dispiace dover rilevare che questi poteri forti sono fantasmi che animano la proria casa! Un giovane laureato che si trovasse per il rotto della cuffia a lavorare finalmente in una azienda pubblica assunto per 4 mesi attraverso agenzia interinale, con i tempi che corrono, davanti ai dictat di dirigenti e coordinatori infemieristici che gli impongono di passare “di padella in padella” forse…tende ad “ingobbirsi” non tanto per vile senso servilistico ma per uno squisito senso pragmatico! Ed ho citato il caso più sfortunato tra i fortunati.
 
Ma ci sono anche i vecchi infermieri, quelli che non avrebbero mai abdicato a quell’idea di “professionista di alto profilo, una figura di prestigio, in grado di esprimere professionalità e competenza” (per citare il Dott. Stanga) che si sono ingobbiti a suon di brucianti delusioni, perpetrate proprio da quella “parte nobile” del nostro corpo professionale. Sfoderare la spada quando si è a cavallo è fin troppo facile. Inviterei chi insiste a dare responsabilità dei propri mali agli Infermieri italiani, da anni colonne stabili di questo vacillante SSN, a scendere nella mischia, venire a “respirare l’asbesto” nelle corsie degli ospedali!
 
Luca Sinibaldi
Infermiere di Medicina Generale

18 settembre 2015
© Riproduzione riservata

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