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I medici non si fidano più. Ecco perché diffidiamo del “cambiamento”

di Ornella Mancin

15 GIU - Gentile Direttore,
da lettrice attenta che cerca di capire i fenomeni che la circondano, in particolare per ciò che concerne la professione medica, gli articoli del prof. Cavicchi  sul “dopo Rimini” e in particolare l’ultimo (“I medici: rivoluzionari o conservatori”) suscitano un profondo interesse.
 
Il professore ha scritto molto sulla questione medica e sulla necessità di un cambiamento di paradigma della professione pena il suo declino; ha anche molto argomentato su come sia possibile il cambiamento, proponendo la figura di medico “attore”, in cui viene salvaguardata l’identità e l’autonomia  del professionista e ne può essere rivalutato il valore retributivo.
 
Antonio Panti (presidente dell’Ordine di Firenze), secondo quanto riportato dal professor Cavicchi, ritiene che tutto questo sia utopistico perché i medici “non sono idonei” al cambiamento.
 
Ecco questo è un punto che mi induce a riflettere, perché credo di rappresentare, per età e situazione lavorativa, la condizione di una buona parte  dei colleghi, in massima parte  iscritti a un sindacato e desiderosi  di fare  al meglio il proprio lavoro  con competenza  e in modo deontologicamente corretto.
 
Veramente non siamo idonei al cambiamento? Negli ultimi 20 anni la professione medica è stata investita di tali e tanti cambiamenti da renderci probabilmente, questo sì, refrattari al cambiamento.
I cambiamenti  a cui siamo stati sottoposti, senza alcuna preparazione e preavviso, hanno rivoluzionato il nostro modo di lavorare. Basti per tutti,  i cambiamenti avvenuti nell’ambito della medicina territoriale (parlo di questi perché fanno parte della mia esperienza, ma certo anche i colleghi ospedalieri non sono stati immuni dal fenomeno).
 
Pensiamo all’informatizzazione. Dalle ricette fatte a mano si è passati in breve tempo alla dematerializzata, ai certificati di malattia o di invalidità  telematici, fino al, permettetemi il termine, “demenziale” invio dei dati delle fatturazioni per il 730.
 
Pensiamo alla riorganizzazione della medicina del territorio, che sta portando tutti dal lavoro solitario nel proprio ambulatorio, dove ognuno è padrone di sé, alle forme più o meno complesse di lavoro di gruppo, che nelle forme avanzate di medicina integrata portano a un lavoro di equipe multidisciplinare complesso e articolato.
 
Non siamo idonei al cambiamento? In questi ultimi anni non abbiamo fatto altro che “subire” cambiamenti, per lo più imposti, e lo abbiamo fatto  con fatica ma anche con dignità, perché convinti che avrebbero migliorato la nostra professione.
 
In effetti qualche piccolo vantaggio c’è stato: la gestione della cartella clinica è più semplice, la ricettazione (quando tutto funziona) richiede meno tempo, resta sempre traccia di quello che facciamo. Ma in massima parte il cambiamento ha permesso un maggior controllo sul nostro operato.
 
Si pensi all’invio dei Flussi che le Regioni ci impongono: sanno quante visite facciamo, se in ambulatorio o a domicilio; con la dematerializzata possono  conoscere in tempo reale quanto stiamo spendendo e quante visite specialistiche o quanti  esami  stiamo chiedendo. Il cambiamento che ci ha messi a dura prova sconvolgendo il nostro modo di lavorare,  alla fine, anziché produrre un miglioramento della nostra professione, ha favorito una medicina amministrata.
 
Ecco non credo che i medici siano “non idonei” al cambiamento, credo che i medici siano stanchi e si fidano meno.  “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi” conclude Tomasi di Lampedusa nel suo famoso “Gattopardo”. Ecco forse siamo diventati un po’ più disincantati e facciamo fatica a credere a un cambiamento che non sia solo di facciata.
 
Quello che chiediamo è un cambiamento che tuteli la nostra professione affinché non perda autorevolezza e prestigio, un cambiamento che ci permetta di lavorare con serenità, dedicando tempo al malato, senza l’assillo di adempimenti   burocratici, senza  dover rispettare regole e norme imposte in nome di una  presunta appropriatezza, in un contesto organizzativo che ci tuteli.
 
Chi ci rappresenta ha l’obbligo morale di difendere  la nostra professione scegliendo  per noi  il modello di lavoro che ci tuteli di più, che ci renda più autonomi, che valorizzi il nostro operato.
 
Se il cambiamento andrà verso questa direzione, sono sicura che i medici saranno “idonei” al cambiamento.
 
Ornella Mancin
Medico di famiglia
Cavarzere (VE)

15 giugno 2016
© Riproduzione riservata

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