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Tumori. Una terapia genica può essere efficace contro la malattia

di Viola Rita

Una ricerca dell’IRCCS Ospedale San Raffaele ha bloccato il cancro nei topi, anche in quelli ‘umanizzati’, cioè in cui è stato ricreato un sistema ematopoietico umano. Lo studio sfrutta un gene anti-tumorale, l’interferone alpha, opportunamente veicolato nei macrofagi

03 GEN - Una tecnica di terapia genica, finora utilizzata per trattare alcune malattie genetiche rare, può essere efficace anche nella cura dei tumori. Ad affermarlo, oggi, è l’IRCCS Ospedale San Raffaele, che mostra come i macrofagi, cellule del sangue normalmente richiamate nel tumore, possano essere convertiti in veicoli di geni anti-tumorali per combattere la neoplasia.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Science Translational Medicine, che gli ha dedicato la copertina, ha dimostrato che la nuova strategia consente di bloccare la crescita del tumore mammario e delle sue metastasi in modelli murini. Per verificare la sicurezza ed efficacia della terapia genica applicata alle cellule staminali umane è stato creato un topo “umanizzato” ricreando un sistema ematopoietico umano nell’animale (mediante il trapianto di cellule staminali ematopoietiche umane -cellule madri di tutti gli elementi del sangue- modificate). Utilizzando questo modello è stato possibile dimostrare che la terapia è sicura ed efficace nell’inibire la crescita anche di un tumore umano.
 
Ma in pratica cosa hanno fatto i ricercatori? “In questo nuovo lavoro abbiamo adattato la tecnica di trasferimento genico e ingegnerizzazione delle cellule del sangue al trattamento dei tumori”, ha spiegato Luigi Naldini, direttore dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica (TIGET) e docente presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, uno dei coordinatori dello studio. “Nel caso delle malattie genetiche, le cellule staminali ematopoietiche del paziente vengono corrette mediante l’introduzione del gene funzionante con l’uso di vettori virali (lentivirali) - un metodo biotecnologico per trasferire materiale genetico in una cellula - in modo da ripristinare una funzione originariamente difettosa. Nel nuovo lavoro abbiamo inserito nelle cellule staminali, con lo stesso metodo, un gene che svolge attività anti-tumorale nella loro progenie”.
 
Il gene terapeutico in questione è l’interferone alpha, una molecola prodotta normalmente dal nostro organismo in risposta a infezioni ma per la quale è stata dimostrata anche potente attività anti-tumorale. L’uso clinico dell’interferone è però stato finora limitato da una elevata tossicità, se somministrato per via sistemica. Per rendere la terapia selettiva contro le cellule tumorali, il vettore lentivirale, già utilizzato nelle recenti sperimentazioni cliniche, è stato modificato in modo da assicurare che il gene anti-tumorale si attivi solamente in una specifica frazione di cellule differenziate del sangue, appunto i monociti/macrofagi (figli delle staminali), che sono normalmente richiamati dal circolo sanguigno ai tumori dove svolgono un’azione che ne favorisce la crescita.  
 
L’originalità della strategia consiste proprio in questo: nell’aver scelto come veicolo cellulare dell’interferone una popolazione, quella dei macrofagi, normalmente presente nel sangue a bassa frequenza, ma fortemente arricchita nei tumori. Veicolato in maniera specifica, il gene terapeutico si accumula solo nel tumore dove può esercitare la sua funzione anti-tumorale, evitando gli effetti tossici della somministrazione sistemica sull’organismo.“Una volta nel tumore l’interferone agisce ri-programmando il micro-ambiente tumorale da una condizione che favorisce la crescita ad una condizione ostile”, spiega Roberta Mazzieri, ricercatrice del San Raffaele recentemente trasferitasi all’Università del Queensland in Australia, che insieme a Naldini ha coordinato lo studio.“Questo può avvenire grazie a molteplici meccanismi mediati dall’interferone: dall’induzione della morte delle cellule tumorali e dei vasi sanguigni del tumore, essenziali per fornire nutrimento, alla stimolazione della risposta immunitaria contro il tumore”.
 
“I nostri risultati”, proseguono i ricercatori, “forniscono una prova incoraggiante dell’efficacia e della sicurezza della strategia nei modelli sperimentali. È ora necessario effettuare ulteriori studi preclinici con lo scopo di valutare di quali tipi di tumori possano meglio beneficiare di questa terapia genica e a preparare la sperimentazione clinica che potrebbe cominciare tra qualche anno”.
Luigi Naldini ha anche coordinato due studi di terapia genica in bambini affetti da gravi malattie genetiche (la leucodistrofia metacromatica e la sindrome di Wiskott-Aldrich) pubblicati lo scorso luglio su Science. Questo studio, condotto nell’Unità di Angiogenesi e Targeting Tumorale e nell’Istituto San Raffaele Telethon di Terapia Genica – Tiget, è stato possibile grazie a finanziamenti dell’European Research Council (ERC) e dell’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro, grazie a Michele De Palma e Luigi Naldini.
 
Viola Rita

03 gennaio 2014
© Riproduzione riservata

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