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Speciale ESMO. Giovani oncologi travolti dal burnout. I risultati di una ricerca europea

di Maria Rita Montebelli

Da oggi fino al 30 settembre prossimo Madrid diventa la capitale mondiale dell’oncologia. Una vetrina d’eccellenza per le tante novità terapeutiche del campo ma anche l’occasione per un momento di riflessione sulle criticità che medici e pazienti si trovano ad affrontare quotidianamente.

26 SET - Si inaugura oggi a Madrid uno dei congressi di oncologia più importanti dell’anno, quello della European Society of Medical Oncology. E’ prevista la partecipazione di circa 20 mila oncologi da tutto il mondo. Tema di quest’anno: ‘Precision Medicine in Cancer Care’.
 
Una ricerca presentata oggi, la più importante del genere mai effettuata, rivela che ben il 70% dei giovani specialisti oncologi presenta segni di burnout. Un risultato di fronte al quale gli oncologi chiedono una reazione tempestiva per prendere seri provvedimenti a diversi livelli.
 
“L’oncologia – commenta Susana Banerjee, primo autore dello studio e oncologa del Royal Marsden NHS Trust di Londra (UK) – è una specialità estremamente interessante e gratificante, ma può diventare molto stressante e assorbire enormi energie. Gli oncologi devono prendere decisioni complesse riguardanti la gestione del tumore, supervisionare l’impiego di terapie tossiche, fare dei turni di molte ore e relazionarsi continuamente con pazienti sofferenti o moribondi. Oltre a tutto ciò, le giovani leve sono chiamate oggi a confrontarsi con problemi burocratici di complessità sempre crescente, questioni medico-legali, aspettative sempre maggiori, a fronte di risorse ridotte. Mettendo insieme tutto questo, non sorprende che gli oncologi siano a rischio di burnout, una sindrome caratterizzata da esaurimento emotivo, depersonalizzaizone (trattare le persone come se fossero oggetti), perdita di interesse e di finalità nel lavoro”.
 
Il lavoro fatto dalla Banerjee e da altri membri dell’ESMO Young Oncologists Committee ha coinvolto 595 oncologi europei under 40; il 71% di loro presenta segni diburnout.
Questa condizione può portare a serie conseguenze per il medico, quali ansia, depressione, abuso di alcool o di sostanze, fino al suicidio. Si può arrivare anche ad abbandonare il lavoro precocemente, con potenziali conseguenze sulla ‘forza lavoro’ oncologica e dunque sull’assistenza dei pazienti.
 
I tassi più alti di burnout sono stati riscontrati in Europa centrale (84% dei partecipanti alla survey), mentre i più bassi appartengono alle nazioni del nord Europa e alla Gran Bretagna (52%). Tra i principali fattori di rischio per burnout un inadeguato equilibrio tra vita privata/attività lavorativa e poco tempo da dedicare alle vacanze. Pesano anche fattori personali, quali l’essere single, non avere figli, vivere da soli. Tra i fattori legati all’ospedale sono importanti il fatto di lavorare in un piccolo team, un elevato numero di pazienti e il non avere accesso a servizi di supporto.
 
Non sono state riscontrate differenze di genere importanti nei tassi di burnout, ma i maschi presentano tassi depersonalizzazione maggiori delle femmine (60% contro 45%).
 
Cosa fare dunque di fronte a questa realtà? “Il primo passo – riflette la Banerjee – è riconoscere le dimensioni del problema e le implicazioni che potrebbe avere per le attuali e le future generazioni di oncologi. Ritengo che i medici abbiano il dovere di affrontare a tutti i livelli la soluzione del problema, nelle università, nei singoli ospedali e in ambito di società scientifiche come l’ESMO.
Il burnout non va stigmatizzato e considerato come una ‘debolezza’. Dobbiamo sostenere questi colleghi e farli focalizzare sulla prevenzione e sulla ripresa da questa condizione.
Di certo è vitale – prosegue la ricercatrice – trovare un giusto equilibrio esistenziale e coltivare interessi al di fuori dalla pratica clinica, dalla ricerca, al mentoring degli studenti, ma anche hobby, attività fisica e trascorrere tempo con la famiglia e gli amici. Un oncologo soddisfatto con il suo lavoro è un medico che si prende meglio cura dei pazienti e sviluppa buoni rapporti con i suoi colleghi.
 
“I risultati di questa ricerca – ammonisce Raffaele Califano, Presidente del Committee - non devono però per nessuna ragione scoraggiare i giovani che vorrebbero abbracciare questa specialità, che rimane una delle più affascinanti e appaganti; gli oncologi possono fare un’enorme differenza in termini di risultati delle cure per i pazienti e per la loro qualità di vita”.
 
Maria Rita Montebelli

26 settembre 2014
© Riproduzione riservata

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