Se l’olfatto si deteriora, la fine potrebbe essere vicina
di Maria Rita Montebelli
Uno studio pubblicato oggi su PLOS ONE suggerisce che chi non sente gli odori ha un rischio di morire entro 5 anni tre volte superiore ad un adulto con un olfatto normale. L’integrità dell’olfatto sarebbe cioè un indicatore di buona salute.
02 OTT - Non riuscire più a distinguere gli odori potrebbe essere segno che qualcosa di importante si è deteriorato nell’organismo e che la vita si avvicina al termine. Lo suggerisce uno studio di
Jayant Pinto e colleghi dell’Università di Chicago, finanziato tra gli altri dai
National Institutes of Health e dal
National Institute on Aging e pubblicato oggi su
PLOS ONE.
I ricercatori hanno dimostrato con un semplice test olfattivo l’esistenza di una correlazione tra la comparsa di disfunzioni dell’olfatto, un sistema chimico ancestrale, e mortalità per tutte le cause 5 anni. Per questo l’anosmia si candida a diventare un importante biomarcatore di fragilità, nonché predittore di mortalità.
Lo studio è stato condotto tra il 2005 e il 2006 su oltre tremila americani di età compresa tra i 57 e gli 85 anni, facenti parte del
National Social Life Health and Aging Project. Ai partecipanti veniva richiesto di annusare dei ‘bastoncini’ impregnati di cinque diversi odori: menta, pesce, arancia, rosa, cuoio.
Tra il 2010 e il 2011 è stata determinata la loro mortalità: nell’arco di 5 anni era deceduto il 12,5% dei partecipanti, cioè 430 soggetti.
I risultati sono molto significativi: gli adulti anosmici a 5 anni presentano una mortalità 3 volte superiore a quella degli adulti dall’olfatto conservato (i tassi di mortalità sono stati rispettivamente il 39% e il 10%). Negli iposmici (quelli che riconoscevano solo 2-3 odori), la mortalità è risultata su livelli intermedi (19%), come se ci fosse una vera e propria correlazione ‘dose-effetto’ tra deterioramento di questo senso ancestrale e mortalità.
L’olfatto – concludono gli autori – è dunque uno dei più forti predittori di mortalità a 5 anni e potrebbe essere una ‘spia’ di rallentata rigenerazione tessutale o un marcatore di esposizione cumulativa a tossici ambientali. “Un senso dell’olfatto che si va deteriorando – ha dichiarato
Pinto all’agenzia Reuters - va considerato dunque un campanello d’allarme per i medici che si prendono cura di quelle persone”.
Maria Rita Montebelli
02 ottobre 2014
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