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Fibrillazione atriale. Non sospendere l’anticoagulazione nelle procedure di ablazione

di Will Boggs

Questo dato giunge dallo studio VENTURE-AF, condotto su 248 pazienti, da Andrea Natale del St. David’s Medical Center di Austin (USA), secondo il quale l’anticoagulazione ininterrotta dovrebbe rappresentare la pratica assistenziale standard durante le procedure di ablazione per fibrillazione atriale.

20 MAG - (Reuters Health) La mancata interruzione dell’anticoagulazione appare sicura nei pazienti sottoposti ad ablazione con catetere per fibrillazione atriale non valvolare. Questo dato giunge dallo studio VENTURE-AF, condotto su 248 pazienti, da Andrea Natale del St. David’s Medical Center di Austin (USA), secondo il quale l’anticoagulazione ininterrotta dovrebbe rappresentare la pratica assistenziale standard durante le procedure di ablazione per fibrillazione atriale. Secondo l’autore, comunque, il rivaroxaban in questi casi è alla pari con l’antagonista della vitamina K, noto come warfarina.

Tradizionalmente, nelle ablazioni con catetere, l’anticoagulazione è stata effettuata interrompendo l’antagonista della vitamina K ed introducendo un bridging con eparina, ma recenti studi suggeriscono una maggiore efficacia e sicurezza non interrompendo affatto l’anticoagulazione. Lo studio VENTURE-AF è stato intenzionalmente progettato come indagine esplorativa a causa del basso tasso previsto di eventi, e quindi non è stata effettuata alcuna indagine formale di superiorità o di non-inferiorità. L’autore si dice a favore dell’impiego del rivaroxaban piuttosto che dell warfarina per via dei suoi effetti maggiormente stabili, e del fatto che a differenza della warfarina, esso non necessita di test ematici o di evitare elementi che potrebbero modificarne gli effetti.

Secondo alcuni esperti, comunque - benché i risultati di questo studio suggeriscano che gli eventi emorragici maggiori e minori siano minimali - passare definitivamente ai nuovi anticoagulanti orali durante la fibrillazione atriale sarebbe prematuro, specie in mancanza di un potenziale antidoto, e sarebbero necessari ampi studi randomizzati di potenza adeguata per dirimere la questione.

Sinora gli studi effettuati hanno dimostrato che sia i nuovi anticoagulanti che la warfarina sono associati a tassi similari di eventi tromboembolici, emorragie importanti ed ictus. I medici possono scegliere fra l’impiego di antagonisti della vitamina K e rivaroxaban in base a fattori correlati al paziente, come il rischio di emorragie, la necessità di effettuare un monitoraggio dell’INR, la presenza di precedenti terapie anticoagulanti e problemi legati ai costi.

Fonte: Eur Heart J online 2015

Will Boggs
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science) 

20 maggio 2015
© Riproduzione riservata

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