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Cancro al fegato: efficace la radioterapia interna


La somministrazione mirata al fegato di microsfere radioattive consente di aumentare la sopravvivenza anche in quei pazienti in cui il cancro è inoperabile.
 

07 LUG - La radioembolizzazione - o radioterapia interna selettiva - è un approccio terapeutico efficace e, in alcuni casi preferibile, nei pazienti affetti da cancro al fegato non operabile.
È questo, in sintesi, il risultato di uno studio (ENRY) pubblicato oggi on line Hepatology, il periodico specializzato della American Association of the Study of Liver Diseases. La sperimentazione ha coinvolto 325 pazienti trattati con radioterapia interna SIR-Spheres in otto centri in Germania, Italia e Spagna.
La tecnica prevede la somministrazione mirata al fegato di microsfere radiattive di resina del diametro di poche decine di micrometri contenti Ittrio 90 attraverso un catetere impiantato nelle arterie femorali ed epatiche.
Dall’analisi dei dati è emerso che la somministrazione del trattamento (nella maggior parte dei casi in procedura singola) consentiva di ottenere una sopravvivenza totale di 12,8 mesi, con variazioni significative a seconda dello stato di avanzamento della malattia (dai 24,4 mesi ai 10 mesi).
"I nostri risultati devono essere interpretati con cautela", ha spiegato Bruno Sangro, professore di epatologia nel reparto epatico della clinica universitaria di Navarra, Pamplona (Spagna) e coordiantore del gruppo di studio. “Ciò che possiamo affermare, sulla base delle nostre valutazioni su un esteso campione di pazienti con epatocarcinoma cellulare trattati con pratica clinica di routine, è che la radioembolizzazione che utilizza SIR-Spheres va a colpire direttamente i tumori e risparmia i tessuti epatici vitali. Questo ci permette di ridurre il carico della malattia e di aumentare potenzialmente sia la sopravvivenza del paziente che la sua qualità di vita. La sopravvivenza maggiore si verifica in quei pazienti che hanno mostrato di rispondere meglio alla terapia, che hanno minori noduli tumorali e in assenza di occlusione della vena porta”.
“Risulta anche chiaro dall’analisi - ha aggiunto Sangro - che la radioembolizzazione può essere particolarmente d’aiuto in quattro tipi specifici di categorie di pazienti: in primo luogo, quelli che possono usufruire della chemioembolizzazione epatica (Tace) ma che possono ottenere maggiori benefici da SIR-Spheres; quelli che non sono adatti al trattamento Tace a causa dell'alto numero di noduli tumorali (>5) o della loro diffusione in entrambi i lobi del fegato; quelli che non hanno ottenuto in precedenza risultati con la Tace; e, infine, pazienti che non possono essere sottoposti alla Tace a causa ostruzione della vena porta. Tutti questi pazienti hanno poche altre possibilità di trattamento”.
Dallo studio è inoltre emerso che la radioembolizzazione risulta ben tollerata: più della metà dei pazienti (52,5%) accusava spossatezza; circa un terzo (32.0%) accusava nausea o vomito; mentre poco più di un quarto (27.1%) accusava dolori addominali e un decimo accusava febbre leggera. Sintomi, in tutti i casi, passeggeri. Il 3,7 per cento dei pazienti, invece, ha sofferto di ulcera gastrointestinale, che può verificarsi quando alcune microsfere passano accidentalmente attraverso l'arteria gastrica.
"In base alla valutazione ENRY - ha concluso Sangro - riteniamo che la radioembolizzazione meriti un utilizzo di routine in pazienti con cancro primario del fegato. La radioembolizzazione può anche essere impiegata in combinazione con i più recenti trattamenti farmaceutici, quali l’inibitore della tirosin-chinase sorafenib". 

07 luglio 2011
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