Immerso nella lettura di “Sanità pubblica addio. Il cinismo delle incapacità”, ultima fatica di Ivan Cavicchi, ho seguito con attenzione il Forum di Quotidiano Sanità che dal 13 marzo scorso ha offerto sinora 25 contributi, tutti interessanti e stimolanti.
Una delle metafore utilizzate da Cavicchi già nell’introduzione del libro (pagina 12) è quella della morte dell’albatros, episodio centrale de “La Ballata del Vecchio Marinaio” di S. T. Coleridge, che Ivan ha “ribadito” nell’intervento su QS dello scorso 8 aprile:
“I marinai di un tempo credevano che l’uccisione di un albatros attirasse la malasorte sulla nave che ricordiamo per un marinaio resta a priori la peggiore nemica, molto più delle tempeste. Per la sinistra aver ucciso il diritto fondamentale alla salute, l’albatros, non ha portato fortuna come dimostra chiaramente la sua crisi sia politica che di consenso che gli è costata la perdita del governo. Per la sanità che la sinistra abbia ucciso l’albatros ha significato la sua fine come dimostrano ormai le tante inchieste, le tante denunce, che raccontano in tempo reale la sua dissoluzione irreversibile. Oggi la sventura, prima della sinistra, poi della sanità pubblica, si abbatte sul paese e sui cittadini, anche grazie ad una super crisi. Questa super crisi coincide con la conquista del governo da parte delle destre (…) La partita vera è l’albatros. Se il popolo vuole un nuovo albatros il governo di destra anche se di destra non può far finta di niente. Quanto meno si aprirebbe uno scontro politico. Ma ribadisco il problema vero è che la sinistra almeno fino a prova contraria per prima sembra non volere un nuovo albatros. A noi per risuscitare l’albatros in cambio di una sanità controriformata servirebbe una sanità davvero riformata. Oggi quindi la sinistra deve decidere, o sta con l’albatros o sta contro l’albatros”.
Incuriosito dalla citazione, sono andato a riprendere il testo The Rime of the Ancient Mariner che racconta la vicenda fantastica di una maledizione che cade su una nave e il suo equipaggio dopo l’uccisione di un albatro da parte di un marinaio.
La nave intrappolata nel profondo Sud, immersa nella nebbia e sferzata dalla neve. Irrigidita dal freddo eccezionale, insostenibile, la ciurma tremante, circondata da ghiaccio, ghiaccio e ancora ghiaccio, che s’allunga verso il cielo inclemente in vere e proprie montagne galleggianti e abbaglianti. Uno sterminato deserto bianco e gelido, privo d’ogni forma di vita: una trappola mortale. Ma ecco che un albatro, in tutta la sua regale eleganza e bellezza, compare dal nulla, apparizione divina, guidando la nave fuori dall’inferno glaciale. Favorevole è il vento, esulta la ciurma, scampato il pericolo, e gioca, grata, con il miracoloso uccello.
Ma ecco che contro il provvidenziale volatile il vecchio marinaio, senza ragione, leva la sua minacciosa balestra, scocca la freccia e abbatte l’albatro, che precipita, morto. Si noti che, a fronte della gratuita ed inspiegabile uccisione dell’albatro, i compagni prima lo rimproverano, ma subito dopo, col levarsi del sole e la scomparsa della nebbia, ne approvano il gesto, quasi a significare che il comportamento degli altri non ha importanza, la colpa e la storia non è di un equipaggio, ma del solo vecchio marinaio. A questo breve momento di quiete segue la tempesta, ovvero l’avverarsi della terribile maledizione, la malasorte.
La Morte e la Vita-in-Morte si giocheranno l’intera ciurma ai dadi: la seconda vincerà solo il vecchio marinaio (assassino e unico protagonista umano), che vede perire uno per uno i suoi compagni di sventure ed è condannato a raccontare a chiunque incontri la sua tragica storia.
Questa poesia continua a essere letta, studiata, imparata a memoria. E più ci chiediamo perché una finta ballata popolare, con il suo linguaggio aulico e la struttura chiusa delle stanze, continui a emozionarci, più quella continua a riaffiorare in mille letture contemporanee ispirate alla religione, all’ecologia, alla storia contemporanea e ai suoi molteplici traumi, dappertutto: interessa perché racconta di un trauma che richiede la narrazione continua. Una storia di una dannazione e di una salvezza, caotiche entrambe, che richiede l’empatia dell’ascolto, con una disperazione folle e romantica che continua ad affascinarci.
Rocco Coronato, che ha curato una convincente e competente traduzione (Marsilio, 2018) ricorda che Primo Levi utilizzò proprio la Ballata per descrivere sé stesso che, reduce dai lager, tornato a Torino, cercava vanamente di raccontare l’incomprensibile: «Mi sentivo simile al Vecchio Marinaio di Coleridge, che abbranca in strada i convitati che vanno alla festa per infliggere loro la sua storia di malefizi».
L’episodio di Primo Levi mi ha incuriosito e in un commento alla ballata sul sito della Treccani (curato da Mariagrazia Coco) ho potuto leggere: “In un punto particolare del racconto avviene un incontro/scontro metaforico fra immaginario e immaginifico, nel dialogo fra il vecchio Marinaio e un invitato al matrimonio: il primo crea e racconta, il secondo ascolta e riceve. Posti l'uno di fronte all'altro, l’immaginario e l’immaginifico – l'immaginazione collettiva e l’immaginazione individuale – si completano e si compenetrano. La società e l’individuo sono due facce del Romanticismo che si scontrano a più riprese in diversi ambiti, in particolare nell’ambito letterario e politico. Il mondo esterno è rappresentato dalla società, il mondo interno dal poeta ed essi entrano in relazione secondo quello che Attilio Brilli definisce “principio della reciprocità”.
Superando la filosofia sensistica e le regole stilistiche settecentesche del Neoclassicismo, la mente del poeta non si limita a percepire ma, scrive Brilli, «ribellandosi al ruolo di inerte ricezione, rivendica quello attivo del percepire e del plasmare essa stessa il mondo che le è d'intorno». (…) Ad ogni modo, l'immaginifico resta forza appena creata e che non smette di ricreare a sua volta: l'immaginifico non è una realtà statica e immodificabile, ma viene accolta all'interno dell'immaginario, che si reinventa e si ricrea. Il vecchio Marinaio è simbolo della forza dell'immaginifico, che viene trasmessa all'invitato al matrimonio, espressione dell'immaginario, attraverso il racconto di una storia circolare a cui l’invitato prenderà parte nel finale con un certo turbamento”[1]
A me pare che non sia solo l’immagine dell’assassinio dell’albatros (che Cavicchi definisce la “partita vera”), ma che l’intera questione sollevata e disvelata nella narrazione di “Sanità Pubblica Addio” sia la Ballata del Vecchio Marinaio e che Ivan (piuttosto che il protagonista narratore), sia (quasi come Primo Levi), l’immaginifico poeta che ci propone la “vera” storia. Il racconto termina descrivendo lo stato d’animo dell’invitato, che suo malgrado era stato costretto ad ascoltare il vecchio marinaio:
«He went like one that hath been stunned,
And is of sense forlorn:
A sadder and wiser man,
He rose the morrow morn» [2]
Anche noi siamo più tristi (e storditi) nell’aver appreso come sia andata veramente, ma dovremmo da oggi stesso diventare più saggi o comunque migliori rispetto a ieri.
Dopo essermi improvvisato critico letterario e aver condiviso con i lettori questo spunto che mi sembrava particolarmente significativo ed interessante (ennesimo merito da ascrivere alla penna di Ivan), ecco alcune mie riflessioni e contributo al Forum che ho potuto redigere grazie alla preziosa collaborazione di Aurelio Rispettoso, specializzando in Igiene a L’Aquila e medico di Direzione Sanitaria all’INMI.
Preliminarmente e in continuità con il discorso dell’albatros, “cuore del problema”, condivido in pieno quanto scritto dal Presidente Anelli il 27 marzo scorso: “Di tutti i capitoli del libro, quello che mi ha colpito di più è il primo, nel quale si analizzano i problemi dell’art. 32 della Costituzione. Un articolo che lo stesso autore definisce un “tabù”, o forse un “totem”. È vero, del resto, che per noi medici, per noi professionisti sanitari, per noi ordinisti la Costituzione è la nostra guida strategica. Eppure, anche in questo caso, il bisturi affonda senza inutili e controproducenti pietismi. L’analisi che fa Ivan dell’art. 32, per noi preziosissima, è rivolta alla politica ma anche a noi tutti, colpevoli di aver ridotto in qualche modo, anche per profondi limiti culturali, un articolo fondamentale (il diritto alla salute) a diritto potestativo, trasformando dunque un diritto forte in un diritto debole. Incapaci di interpretare questo diritto forte come un “meta-valore”, dal quale dedurre il cambiamento e le azioni per realizzarlo, per inverarlo. Ha ragione, Ivan: di fatto, l’art. 32 è come se fosse stato banalizzato e depotenziato. E questa sua banalizzazione è stata la premessa per la sua privatizzazione e, quindi, per la sua negazione (…) “anziché riformare per realizzare il nostro sogno costituzionale abbiamo controriformato il sogno”.
In merito alla “controriforma del sogno” vorrei soffermarmi su di un particolare aspetto. Questa “storia” inizia con il DL.vo 502/1992 (e s.m.i. in particolare il 229/1999) di “Riforma del SSN” che segna un’importante svolta dell’assetto organizzativo-gestionale del SSN. È solo a partire da questo testo infatti che la riflessione su prestazioni e tariffe diviene esplicita, proponendo un nuovo modello “aziendalizzato” (sull’esempio del NHS inglese): tutti i soggetti erogatori, pubblici e private (IRC), sono riconosciuti “accreditati” in un “simil-mercato”, con regole esplicite e comuni; si definiscono formalmente gli “scambi interni” che avvengono con l’erogazione di prestazioni all’uopo riconosciute e valorizzate.
È la traduzione operativa del principio del pagamento a prestazione, di cui ci interessa in particolare la prima ed originale enunciazione, all’art. 8, comma 5 che recita:
L’unità sanitaria locale assicura ai cittadini la erogazione delle prestazioni specialistiche, ivi comprese quelle riabilitative, di diagnostica strumentale e di laboratorio ed ospedaliere contemplate dai livelli di assistenza secondo gli indirizzi della programmazione e le disposizioni regionali. Allo scopo si avvale dei propri presidi, nonché delle aziende di cui all’art. 4, delle istituzioni sanitarie pubbliche, ivi compresi gli ospedali militari, o private, ad integrazione delle strutture pubbliche, e dei professionisti con i quali intrattiene appositi rapporti fondati sulla corresponsione di un corrispettivo predeterminato a fronte della prestazione resa, con l’eccezione dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta (…).
Si sa che quell’enunciazione è stata superata dal ripensamento “contro-contro-riformista” (per dirla alla Cavicchi) a cui ha contribuito non poco il babelico caos della regionalizzazione del SSN, ciò non di meno l’enunciazione originale del comma 5 dell’art. 8 del 502/1992 apre alcune questioni su cui vale la pena di riflettere:
Mi fermo qui e ringrazio Quotidiano Sanità per l’ospitalità e Ivan per la preziosa opportunità di poter riflettere sul futuro del nostro SSN.
Marino Nonis
Note:
[1] https://www.treccani.it/magazine/chiasmo/lettere_e_arti/Frontiere_confini/frontiere_sgl_Il_confine_tra_immaginario.html
[2] Se n'andò come chi sia stordito, / caduto fuori dai sensi: / e più triste e più saggio / si levò al mattino seguente (traduzione di Tommaso Pisanti, Roma, Newton Compton, 1995).
Leggi gli altri interventi al Forum: Cavicchi, L.Fassari, Palumbo, Turi, Quartini, Pizza, Morsiani, Trimarchi, Garattini e Nobili, Anelli, Giustini, Cavalli, Lomuti, Boccaforno, Tosini, Angelozzi, Agnetti, Quici, Agneni, Doni, Sampietro, Garattini e Nobili (2), Mancin, Belleri, Montibeller, Papini, Gandini.