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Ancora sull’eccellenza in sanità. Una “carta vincente” per le professioni

di Ivan Cavicchi

Lo è perché con i problemi finanziari che abbiamo puntare sugli atti eccellenti  adeguati e convenienti potrebbe anche far accrescere la loro retribuzione. Ma a condizione di garantire una risposta adeguata e conveniente tanto alla domanda sociale che alla gestione delle risorse

30 APR - Acuto e stimolante l’articolo di Florianello: il diritto alla salute dovrebbe essere  per definizione “eccellente”, il diritto  non è tale senza qualità, la diseguaglianza che lo nega non è solo un problema di quantità di prestazioni,eccellenza non è sinonimo di complessità; sarebbe meglio  parlare di “eccellenze”  e non di “eccellenza”, essa non è sintetizzabile in qualche “criterio oggettivo” ecc. Eccellenza, dice giustamente Florianello, è “adeguatezza” con i predicati della domanda.
 
Ma cosa è “l’adeguatezza”? Per rispondere è necessario aggiungere  alle componenti strutturali e sovrastrutturali  dell’eccellenza (struttura, apparecchiature, personale, procedure ecc) le modalità  che  per me sono i modi di agire dentro le relazioni con gli altri ,con le cose e i  contesti di riferimento e non  proceduralmente riducibili. L’eccellenza così sarebbe funzione sia  “dell’essere delle cose”  che del  “modo di essere delle persone” che quelle cose usano. Questo vuol dire che: è possibile  che a struttura  invariante si possa  accrescere l’eccellenza cambiando i “modi di essere” delle professioni,che la struttura, cioè le cose, non è automaticamente garanzia di eccellenza, perché  cose, tecnologie, personale si possono usare in  modi più o meno adeguati,che le procedure  non bastano perché nelle situazioni e nelle contingenze la loro razionalità deve integrarsi con la ragionevolezza e il buon senso,che si possono cambiare un mucchio di cose cambiando i comportamenti delle professioni più che riorganizzando inutilmente le strutture nelle quali operano.
 
Una organizzazione sanitaria  esprime eccellenza se i “modi di essere” delle professioni sono adeguati cioè più “convenienti” nel senso pragmatico del termine: trovare le  migliori soluzioni possibili nei confronti delle domanda nelle situazioni e nei contesti nei quali si opera. Quindi “eccellenza, adeguatezza e convenienza” sono la stessa cosa. Le implicazioni di questo ragionamento sono strategicamente importanti:,cambiare i “modi di agire”  costa molto meno anche se più difficile che cambiare  delle strutture, sbagliano coloro che riducono l’eccellenza solo a ottimizzazione dei fattori produttivi, l’eccellenza non è una questione che riguarda solo l’ospedale ma un intero sistema sanitario,anche con  una struttura ben organizzata non si ha eccellenza se sussistono modi di agire professionali inadeguati,l’inadeguatezza dei modi di agire è una questione di epistemologie nei confronti soprattutto dei cambiamenti sociali della post modernità,i problemi   dei modi di agire spiegano perché le professioni sono costrette ad andare  in tribunale e a difendersi dai loro malati con comportamenti opportunistici ecc.
 
Cosa vuol dire un operatore eccellente adeguato e conveniente? Secondo Florianello vuol dire un operatore che regola i suoi modi di essere  con procedure e protocolli, secondo me è un operatore che regola i suoi modi di essere con auto-nomia e re-sponsabilità(auto-re) e misurando la propria eccellenza attraverso gli esiti che produce e che, se serve si avvale naturalmente  anche di procedure e protocolli. E’ il senso  richiamato da Antonio  Ciofani nel suo bell’articolo  citando sia la sentenza della  Suprema Corte di Cassazione (n. 1873/2010) che assume i principi dell'autonomia e della responsabilità del medico, quali condizioni di garanzia del malato; sia  la sentenza (n°11493/2013),che ha condannato un ginecologo che a sua discolpa aveva dichiarato di essersi attenuto alle procedure regionali. Quindi per me l’eccellenza/adeguatezza/convenienza non è solo una questione di  strutture ben organizzate ma anche  di “impegno adeguato perché  conveniente”. Oggi  le professioni, entrando tra loro in conflitto, stanno spingendo, anche se in forme diverse, per ridefinire i loro atti professionali perché sentono forte tanto l’esigenza di essere adeguati alle sfide della post modernità quanto il pericolo di  essere stritolati dalle restrizioni del post welfarismo. Ma un atto eccellente adeguato conveniente  è  definibile a prescindere dai “modi di agire dell’agente”? Se i modi di agire dell’agente per ovvie ragioni non sono riducibili ad una procedura, quale modo, oltre l’autonomia e la responsabilità, esiste per definirli? E come misurarne l’eccellenza, l’adeguatezza, e quindi il valore retributivo, se non attraverso l’esito?
 
Oggi  con i problemi finanziari che abbiamo l’idea, per le professioni, di puntare sugli  atti eccellenti  adeguati e convenienti, potrebbe essere una carta vincente. In questo modo si potrebbe accrescere la loro retribuzione ma a condizione di garantire una risposta adeguata e conveniente tanto alla domanda sociale che  alla gestione delle risorse. Un atto o un profilo professionale non sono mai adeguati  in quanto tali, anche se fossero descritti nel modo più analitico, lo sono solo dentro delle  relazioni tra agente, atto, malato  quindi rispetto ad organizzazioni ripensate in tal senso. Gli infermieri   desumono compiti  da un profilo, ma altra cosa è desumere atti da un auto-re in relazione con altri auto-ri. L’atto medico è una idea interessante purchè non sia il prodotto burocratico di un ruolo inteso come un profilo, ma senza prima definire l’auto-re cioè colui che agisce l’atto in  auto-nomia e re-sponsabilità. Gli “operatori eccellenti” sono tali  per il loro modo di impegnarsi  per i risultati  che producono dentro organizzazioni a loro volta adeguate. L’eccellenza? Impegni e risultati e una organizzazione adeguata ai problemi della domanda e a quelli dell’offerta.
 
Ivan Cavicchi
 
 

30 aprile 2013
© Riproduzione riservata


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