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Perché è sbagliata la rincorsa frettolosa alla Fase 2

di Grazia Labate

Prima che il tema della riapertura diventi una specie di eccitazione collettiva, vale la pena di dare un'occhiata a quello che sta succedendo a Singapore, che è stata portata ad esempio come modello per una risposta al coronavirus

17 APR - In questa settimana quasi tutti nel mondo, sembrano pensare a riaprire paesi e continenti all'economia.
I governatori di quasi tutti gli stati degli USA ne parlano. Così come il presidente Trump, i leader di gran parte dell'Europa ed anche noi.
Oggi, Trump ha dichiarato che sta lavorando ad un programma per annunciare nuove linee guida sul distanziamento sociale, che porteranno il Paese verso la riapertura.
 
Ma prima che il tema della riapertura diventi una specie di eccitazione collettiva, vale la pena di dare un'occhiata a quello che sta succedendo a Singapore, che è stata portata ad esempio come modello per una risposta al coronavirus.
 
L'approccio di Singapore è stato certamente più aggressivo e più efficace di quello americano. A gennaio, mentre il virus si diffondeva all'interno della città cinese di Wuhan, i funzionari di Singapore hanno iniziato a controllare i viaggiatori che arrivavano nel loro paese e a mettere in quarantena chiunque fosse risultato positivo.
 
Singapore ha messo in quarantena anche alcuni viaggiatori che non presentavano sintomi ma che erano stati esposti al virus. Singapore ha testato i propri residenti, ha rintracciato le persone che erano venute a contatto con qualcuno che era risultato positivo.
 
Il risultato è stato di soli 10 morti, su una popolazione di 5,6 milioni di abitanti, nonostante gli stretti legami del Paese con la Cina.
"Non hanno mai avuto una grande epidemia, perché sono stati “pronti e veloci", ha dichiarato Aaron Carroll, professore della scuola di medicina dell'Università dell'Indiana e collaboratore del Times.
 
Grazie a questa risposta, Singapore era riuscita a evitare il tipo di serrata che altri Paesi avevano messo in atto. I ristoranti e le scuole erano aperti, anche se con persone che si tenevano a distanza l'una dall'altra. I grandi raduni non ci sono stati. Singapore, insomma, sembrava ed è apparsa agli Stati Uniti e al mondo il modello di riapertura parziale che molti hanno cominciato a immaginare.
 
Ma Singapore non sembra più così. Anche lì, nonostante tutti i riusciti sforzi di contenimento, il virus non è mai scomparso del tutto.
Ora è in corso una nuova epidemia. Il numero di nuovi casi è aumentato, ed in risposta, il Paese ha annunciato un blocco di due settimane. Il passaggio alla riapertura ha ancora un senso. Ma dovrà essere fatto con estrema cura. Anche se, come a Singapore, la gente dovrebbe essere preparata a una serie di riaperture parziali - che variano da un luogo all'altro e che a volte saranno seguite da nuovi blocchi.
 
L'unica possibilità è giocare a whack-a-mole, schiaccia la talpa, un gioco per grandi e piccini molto in voga negli USA, che consiste nello stanare dalla buca la talpa e schiacciarla cosicchè non ricompaia più alla superfice. Insomma ricondurre nella tana il coronavirus, sopprimendolo, fino a quando non si potrà produrre e distribuire un vaccino valido.
 
Con un po' di fortuna, ci vorranno dai 18 ai 24 mesi. Durante questo periodo, probabilmente sorgeranno nuove epidemie. Molto di questo periodo non è chiaro, ma gli esperti concordano sul fatto che la vita, come la maggior parte della gente la conosceva, non può tornare più come prima.
 
"Penso che la gente non abbia capito che non si tratta delle prossime due settimane", ha detto Michael Osterholm, un epidemiologo delle malattie infettive dell'Università del Minnesota. "Si tratta dei prossimi due anni".
 
Se volete capire meglio quali sono le politiche che possono ridurre al minimo il numero di blocchi futuri, basta leggere gli articoli di Yong e Carroll, le cui migliori opzioni prevedono test aggressivi, tracciamento e quarantena, oltre a forme continue di allontanamento sociale anche dopo la ripresa di alcune attività.
 
Ci aspetta un lungo periodo di tempo. La risposta dell'amministrazione Trump continua ad essere tardiva. La maggior parte del Paese non sta conducendo test sufficienti per tracciare il percorso e la penetrazione del coronavirus in modo da permettere agli americani di tornare al lavoro in sicurezza, riferiscono Abby Goodnough e Katie Thomas in un lungo servizio di domenica scorsa sul Times.
 
Lotta al coronavirus e lotta alla pandemia: il distanziamento sociale, unico e solo modo fino ad ora con cui evitare contagi e morti, passa anche dallo stop alle attività produttive. Un’economia “sospesa”, che per molti – istituzioni, analisti e industriali, naturalmente – dovrebbe essere riattivata prima possibile.
 
È così? No, tutt’altro. Parola dell’economista americano Paul Krugman: “Attenti a riaprire prima del tempo le attività economiche, non solo potrebbe provocare più morti, ma anche un crollo dell’economia peggiore del previsto”, dice il premio Nobel per l’Economia in un’intervista.
 
L’avvertimento è rivolto al presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Ma vale per tutte le istituzioni impegnate nel mondo a fare delle scelte in questo momento storico di lotta al virus.
 
“Meglio tenere le imprese chiuse più a lungo piuttosto che riaprirle prematuramente”, dice Krugman. L’economista porta un esempio di peso, quello della pandemia influenzale di un secolo fa, la Spagnola, scoppiata nel 1918. “Le città che fecero più distanziamento sociale e lo lasciarono in vigore per più tempo, non solo ebbero meno morti, ma fecero meglio dal punto di vista della ripresa economica”, dice Krugman.
 
“Tutto in questo momento dice che non è l’ora di preoccuparsi del Pil e dei dollari”, aggiunge. “Quello che serve ora è dare soccorso alle aree più colpite e aiutare la gente che non ha più un reddito, e lo dobbiamo fare finché è necessario”.
 
La perentorietà ma anche l’autorevolezza di Krugman hanno sortito un qualche effetto se Scott Gottlieb, un funzionario di Trump, ha detto alla CBS News: “ Possiamo iniziare a considerare la potenziale riapertura del paese o a maggio o a giugno". "Ma sarà un processo lento, vogliamo farlo gradualmente e vogliamo valutare lungo il percorso per essere sicuri che, tornando al lavoro, non si verifichi un picco di nuovi casi".
 
Come per la SARS nel 2002-3 e la MERS nel 2012 anche per il recente coronavirus, che sviluppa COVID19 non c’è un vaccino e non c’è una cura specifica. C’è però la possibilità di una diagnosi rapida (più rapida che in precedenza) sia per aver isolato e sequenziato rapidamente il virus, che per le iniziative di controllo e sicurezza adottate.
 
Ma nella speranza che la forma grave della sindrome respiratoria si esaurisca con un numero limitato di decessi, che fare nel frattempo?
Per sviluppare un vaccino ci vuole tempo ed accelerando tutto l’accelerabile, comunque ci vogliono mesi. Si sono sprecati gli elogi, per il lavoro che hanno svolto e svolgono tutti gli operatori, dall’ospedale al territorio, e di tutti coloro che si sono prodigati nel corso dell’emergenza, ma risulteranno inappropriati e un poco ipocriti, se non confortati dalle necessarie risorse pubbliche, che comunque occorre investire in ricerca, sviluppo, innovazione e assistenza, soprattutto nel territorio, nel settore malattie infettive e nei dipartimenti di prevenzione a tutela della salute pubblica.
 
L’igiene delle mani è un elemento fondamentale per prevenire la diffusione delle infezioni sia per l’OMS che per il Center for Disease Control and Prevention (CDC) di Atlanta. Lavarsi bene le mani è un gesto semplice e poco costoso che, per essere efficace, deve durare dai 40 ai 60 secondi. Una procedura che l’OMS ribadisce il 5 maggio di ogni anno promuovendo la Giornata mondiale per il lavaggio delle mani. Se a tanto si è costretti, vuol dire che il lavarsi le mani è ancora una pratica largamente disattesa.
 
“Fare meglio con meno” non è solo il paradigma dell’economia circolare, parte essenziale di uno sviluppo più sostenibile, capace di superare la triplice crisi economica, sociale e ambientale, che stiamo vivendo. Ma anche, scegliere con saggezza, (choosing wisely) deve entrare nel nostro modo di pensare e di comportarci, perché proprio la pandemia del Coronavirus ce lo sta dicendo quanto è ricco di significato e di valore e sempre più ne acquisterà col passare del tempo, un mondo che ha consumato molto più tempo e risorse materiali sul superfluo e sull’effimero.
 
Ecco scegliamo con saggezza di lavare spessissimo le mani, osserviamo le regole di distanziamento sociale, portiamo la mascherina per noi e per gli altri, non facciamoci cogliere dalla frenesia dell’apertura di maggio. Test sierologici, tamponi si certo, ma a quanti, a chi, a quale campione, quanta popolazione dobbiamo proteggere, come si rendono più sicuri gli ambienti di lavoro e di vita per combattere le insidie del nemico invisibile?
 
Sono queste le domande alle quali dobbiamo rispondere in maniera appropriata, senza ritardi, carenze o lentezze. Usiamo la saggezza per fare meglio, per garantire una uscita e una andata al lavoro in sicurezza garantendo ciò che fin’ora ci è apparso ed è stato per molti di noi un grande sacrificio, ma che ha dato e sta dando i suoi frutti in termini di contenimento.
 
Siamo ancora alla fase 1, per la fase 2 ci vogliono ancora modalità e tempi appropriati, spendendo il giusto possibile, per raccogliere i frutti del sacrificio di un intero paese, di ognuno di noi, dei tanti che hanno pagato con la loro vita, sottovalutazioni, impreparazioni, egoismi, superficialità e la virulenza letale di un aggressore subdolo, che non guarda in faccia nessuno, non ha confini e può anche far finta di non esserci, ma in realtà può rimanere silente e attaccare ed aggredire di nuovo. Scegliere con saggezza e competenza, solo così ne possiamo venir fuori in attesa del vaccino.
 
Grazia Labate
Ricercatrice in economia sanitaria già sottosegretaria alla sanità

17 aprile 2020
© Riproduzione riservata


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