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I Forum di QS. Quale ospedale per l’Italia? Labate: “5 priorità per la salute e la cura, ovvero la strada del rinnovamento del Ssn”

di Grazia Labate

È giunto il momento di rinnovare le priorità alla luce di ciò che abbiamo vissuto abbracciando l’apprendimento ovunque si trovi e cogliendo le opportunità per creare un cambiamento positivo a lungo termine. Il nuovo Governo ha deciso di rendere il SSN una priorità chiave, promettendo di risolvere alcuni dei suoi grandi problemi entro il 2026, per dare a ogni persona la dignità e la sicurezza che merita e per una sua maggiore equità in ogni parte del Paese

06 LUG - Il Covid-19 è stata la più grande sfida che il sistema sanitario e assistenziale ha dovuto affrontare a memoria d’uomo. Come non trarre lezioni da questa esperienza?
 
Sia per gli straordinari contributi di milioni di dipendenti e volontari, sia per i rapidi progressi compiuti dalla scienza e dalla tecnica, sia per l’aiuto che la digitalizzazione ci ha fornito per la trasformazione nell’erogazione dei servizi, sia per le carenze e per le disuguaglianze, che sono emerse prepotenti.
 
La pandemia da COVID-19 ci ricorda che oltre al nostro dovere fondamentale di “prenderci cura, abbiamo anche il dovere di migliorare e imparare”.
Abbiamo un'opportunità unica, sfruttare le informazioni attuali su ciò che ha avuto un impatto positivo sull’assistenza ai pazienti durante la pandemia per trasformare il modo in cui lavoriamo e mitigare i futuri rischi sanitari.
 
Quando la pandemia sarà finalmente finita, dovremmo essere in grado di guardare indietro e concludere che assumere una visione critica è una condizione impellente per rendere resiliente e rinnovare nel profondo il nostro SSN. Ora, non abbiamo solo l’imperativo di ripristinare la fornitura di tutti i servizi sanitari, rimanendo preparati per possibili future ondate di virus, ma di basarci sull’esperienza compiuta, per fare cambiamenti e innovazioni positive in modo che al sistema sanitario e assistenziale si possano apportare i maggiori miglioramenti possibili per la salute e il benessere di tutti, ben oltre questa crisi.
 
Da qui voglio partire per avanzare cinque priorità che ci aiutino ad individuare il giusto approccio al rinnovamento:
• mettere la forza lavoro al centro della scena;
• un cambiamento radicale per combattere le disuguaglianze e la salute della popolazione;
• avviare una riforma duratura per un SSN integrato con l’assistenza sul territorio;
• incorporare e accelerare a tutti i livelli del sistema il cambiamento digitale;
• rivedere il rapporto tra comunità e servizi pubblici.
 
Questi temi dovranno avere la priorità da parte del Governo, se desidera fornire servizi sanitari e assistenza di qualità, migliorare la salute della popolazione e mantenere le sue promesse di "superare le disuguaglianze nella salute".
 
A che punto siamo adesso? L'epidemia da Covid-19 ha mostrato molti aspetti critici del nostro sistema sanitario e assistenziale.
Gli operatori sanitari e dell’assistenza hanno risposto con eccezionale dedizione e competenza; medici e manager sono andati ben oltre, per sviluppare nuovi modi di fornire servizi in sicurezza. Gli ospedali hanno unito le forze per offrirsi vicendevolmente aiuto e garantire la continuità nella fornitura di servizi essenziali; in alcune aree del paese il SSN e altri servizi locali hanno lavorato insieme, come mai prima d’ora, per coordinare le loro risposte e supportare le comunità. La crisi ha anche sottolineato il sostegno dei cittadini al SSN e al personale di assistenza. Nella mia breve permanenza al Ministero della Sanità dal 2000 al 2001, con Umberto Veronesi, ministro ed io sottosegretaria con deleghe alla programmazione, al personale ed agli investimenti, ci mettemmo subito al lavoro con una apposita commissione per riconsiderare il concetto di ospedale come struttura e come luogo di cura, da cui far emergere un certo tipo di organizzazione ed una nuova cultura della salute.
 
Una Commissione ministeriale di esperti guidata dall’architetto Renzo Piano, per la realizzazione di un nuovo modello di ospedale, lavorò per un semestre, non senza difficoltà, in un Ministero che aveva varato da poco la Riforma Bindi con la legge 229 e che riteneva che nulla poteva essere fatto o pensato fuori da quella riforma, anche se la realtà ospedaliera italiana richiedeva già a quell’epoca un ripensamento rispetto alla legge Mariotti, che era rimasta in sostanza la matrice dell’ospedale, anche dentro i principi ispiratori della 229, senza alcuna rivisitazione rispetto a questioni nodali delle strutture ospedaliere italiane.
 
Ai principi guida della relazione finale di quella Commissione che lavorò dal luglio all’ottobre 2000 a cui si sono negli anni ispirati molti ospedali di nuova costruzione in tutto il Paese, ricordo che Enrico Rossi, allora presidente della Regione Toscana, impegnato in un’opera di vera riforma strutturale per la sanità del suo territorio, vi fece riferimento, comprese il valore di quelle indicazioni e ci lavorò su, per costruire il nuovo ospedale di Massa-Carrara.
 
L’umanizzazione delle cure era il pallino di Umberto Veronesi ed infatti il primo principio su cui ripensare l’ospedale era proprio questo:
1) Umanizzazione: il malato deve essere posto in un ambiente a misura d’uomo, sicuro e confortevole, in cui sia garantita la privacy. Deve essere informato e guidato. Non deve vivere a stretto contatto con gli altri malati. Deve avere la possibilità di ricevere le visite di parenti e amici a qualsiasi ora.
 
2) Urbanità: l’ospedale non deve essere avulso dal centro cittadino, ma piuttosto diventare un prolungamento della città, cioè essere un “ospedale aperto”.
 
3) Socialità: all’interno dell’ospedale si riscoprono valori ormai considerati del passato, come solidarietà, senso di appartenenza e interdipendenza. Su questi occorre costruire le relazioni tra soggetti in una nuova organizzazione del lavoro.
 
4) Organizzazione: costruita per ottenere un’elevata efficacia della diagnosi, della terapia e della riabilitazione, e un diffuso senso del benessere all’interno dell’ospedale, mentre si viene curati fino alle dimissioni.
 
5) Interattività: dal territorio all’ospedale e viceversa. Il percorso clinico-diagnostico inizia con la prima visita presso il medico di famiglia e continua lungo le diverse componenti del sistema sanitario, secondo una logica di continuum assistenziale, che può portare alla fine al ricovero in ospedale.
 
6) Appropriatezza: le cure devono rispondere alle reali esigenze del malato e il ricovero va riservato ai pazienti acuti e non autosufficienti. Per tutti gli altri si deve ricorrere al day hospital o al day surgery o ai poliambulatori territoriali.
 
7) Affidabilità: da questo principio, che contempla la capacità diagnostico-terapeutica, la sicurezza ambientale, tecnico-costruttiva, impiantistica e igienica, dipendono la tranquillità e la fiducia dei cittadini verso l’ospedale.
 
8) Innovazione: l’ospedale deve essere flessibile, pronto a cambiare a seconda delle esigenze sotto tutti i punti di vista: terapeutico, tecnologico, organizzativo e formale.
 
9) Ricerca: l’ospedale deve essere centro di ricerca clinico-scientifica che, favorendo il continuo aggiornamento e adeguamento alle ultime conoscenze, moltiplica le capacità assistenziali.
 
10) Formazione: l’ospedale deve essere un luogo di aggiornamento continuo, professionale e culturale, per medici interni ed esterni, infermieri, tecnici e di chi si occupa della gestione.
 
Tutti principi ancor oggi validi, che impattano di gran lunga su come invece è venuto strutturandosi il nostro parco ospedaliero. Sulla scia del Covid, dei fondi messi a disposizione dalla Commissione europea per Next Generation Eu e dei nuovi fondi a disposizione per la salute nel programma Eu 2020/24, in tutta Europa, e nel mondo, medici e architetti stanno discutendo e riflettendo per adattare radicalmente il loro pensiero su cosa può essere un ospedale e cosa dovrebbe offrire oggi un ospedale, proprio perché lo scatenarsi della pandemia ne ha rivelato l’inadeguatezza.
 
Da noi non si apre un dibattito pubblico, si dice solo come si vorranno appostare i circa 20,2 miliardi della Missione 6 sulla salute fino al 2026. Leggo che a Londra, l'ospedale ST Mary's, il principale ospedale di emergenza specializzato che serve il nord-ovest di Londra e aveva previsto una ristrutturazione da 1 miliardo di sterline prima che la pandemia colpisse, ha cambiato radicalmente i suoi progetti. Lo afferma James Kinross, un primario chirurgo che lavora al St Mary's e che fa parte del Comitato di pianificazione e della riqualificazione ospedaliera. Prima della pandemia, afferma Kinross, “l’obiettivo era migliorare l’efficienza dei percorsi di cura esistenti; ora si tratta di ripensare completamente quei percorsi”.
 
George Mann, architetto e pioniere della progettazione ospedaliera basata sull'evidenza presso la Texas A&M University di Kingsville paragona la prossima trasformazione a quella degli aeroporti commerciali del passato.Proviamo a pensare ai cambiamenti che la pandemia ha già imposto.
“I cinesi hanno costruito un ospedale in 10 giorni, mentre in molti paesi le consultazioni mediche si sono spostate online.
 
Nel frattempo, gli ospedali esistenti, anche e forse soprattutto nel ricco nord globale, hanno ceduto sotto l’improvviso, immenso sforzo che hanno dovuto affrontare. L’ospedale Xiaotangshan di Pechino, costruito in soli 10 giorni, ha tutte le installazioni mediche altamente adattabili e modulari, per ogni emergenza futura”. Mentre le nostre immagini, dall’Italia in piena pandemia, hanno fatto il giro del mondo, con i pazienti Covid fuori dall’ospedale Cotugno, seduti in macchina con le bombole d’ossigeno per respirare e la lunga fila d’attesa delle autoambulanze, stipate ai pronto soccorso in attesa che si liberassero posti letto e terapie intensive.
 
Niente di ciò sorprende, afferma l’architetto ospedaliero Thomas Schinko di Vasconi Architectes a Parigi, perché i paesi più ricchi del mondo sono entrati in crisi, perché da tempo non erano più attrezzati, poiché le malattie infettive non sono più state il grande killer. “Abbiamo perso quel riflesso di proteggere il personale dai pazienti o i pazienti da altri pazienti”, afferma Schinko. Risultato? “i sistemi sanitari sono completamente inadatti a questo tipo di malattia”.
 
Da un giorno all'altro siamo passati dalle consultazioni faccia a faccia alla stragrande maggioranza di videochiamate, tablet, sms, cartelle cliniche elettroniche. Ci sono ostacoli reali all’adozione della fornitura di salute digitale, afferma Saira Ghafur, un medico pneumologo, responsabile della politica sanitaria digitale presso l’Institute of Global Health Innovation dell’Imperial College di Londra. Questi ostacoli includono la disuguaglianza di accesso all’IT e le preoccupazioni sulla sicurezza informatica.
 
Con il passaggio al digitale, afferma Schinko, vedremo la medicina diventare più preventiva, oltre che più personalizzata e precisa. I pazienti con asma e diabete sono già abituati a monitorare il loro picco di flusso e glicemia (rispettivamente) tramite app dedicate, ad esempio. E l’adozione di un approccio più “salutogeno”, che metta in risalto la salute piuttosto che la malattia, è visibile in Cina e negli Stati Uniti, che hanno investito molto nella digitalizzazione.
 
Kinross afferma che, prima della pandemia, il comitato di pianificazione di St Mary stava considerando di spostare le risorse dai pazienti ricoverati a quelli ambulatoriali. Ora stanno pensando con più coraggio. “Forse possiamo semplicemente eliminare alcuni aspetti dei percorsi dei pazienti ambulatoriali e fornire tutte queste cure al di fuori dell'ospedale”, a casa. “Forse possiamo sfruttare il digitale in un modo radicalmente nuovo”.
Kinross prevede che i medici di base si assumeranno maggiori responsabilità (aiutati dalla tecnologia di supporto alle decisioni), le cure secondarie affidate ai medici specia-listi saranno organizzate nella comunità e ci sarà un’espansione dell’assistenza domici-liare.
 
Gli ospedali come entità fisiche diventeranno centri specializzati, con ogni specializzazione concentrata in uno o pochi centri all’interno di una regione, piuttosto che replicata in molti ospedali generalisti.
 
In un recente podcast John Mazziotta, che gestisce il sistema sanitario dell'Università della California, Los Angeles (UCLA), ha affermato “Questa pandemia è un evento di vittime di massa che si evolve al rallentatore nella direzione opposta e continua a peg-giorare fino al picco, ed era più difficile da pianificare”.
 
Tutte le stanze dei pazienti dell’ospedale Ronald Reagan, che è stato aperto nel cam-pus dell’UCLA nel 2008, possono essere convertite in sale di terapia intensiva e tutte possono essere commutate in pressione negativa, che impedisce ai germi presenti nell’aria di fuoriuscire dalla stanza. Allo stesso modo, dopo l’epidemia asiatica di sin-drome respiratoria acuta grave (Sars) nel 2003, Singapore e Hong Kong hanno adatta-to i loro ospedali, attrezzandoli e sviluppando protocolli in modo che potessero essere trasformati rapidamente in caso di epidemia.
 
Lo svantaggio di questo approccio è che la malattia può scoppiare lontano dall’ospedale, quindi una soluzione alternativa è co-struire rapidamente una struttura dedicata all’individuazione e al trattamento dei pa-zienti epidemici dove è necessario, come hanno fatto i cinesi durante la Sars, comple-tando lo Xiaotangshan ospedale di Pechino in soli sette/10 giorni. Hanno replicato quell’impresa diverse volte quest’anno, costruendo l’ospedale Huoshenshan di Wuhan in 10 giorni, per esempio.
 
Luca Aldrighi, architetto di RMJM Praga nella città di Ostrava, Repubblica Ceca, preve-de un ibrido padiglione monoblocco. 2Secondo me, il futuro dell'ospedale è concen-trarsi su soluzioni di design sostenibili e socialmente responsabili. Ci sono diversi modi per raggiungere questo obiettivo, ma un modo che si potrebbe immaginare è avere padiglioni circondati da giardini o piazze e collegati nel sottosuolo. In caso di sovraten-sione, i padiglioni potrebbero essere ampliati nello spazio circostante attraverso l’aggiunta di unità modulari”.
 
Gli ospedali non riflettono solo l’evoluzione della medici-na. Sono anche modellati da influenze culturali più ampie. Gli ospedali pubblici, che una volta sembravano simili a carceri o casermoni, ora sembrano più hotel, centri commerciali o aeroporti, riflettendo una cultura più consumistica. L’adattabilità sarà la parola d’ordine nel mondo post-Covid-19. Tuttavia gli eventi dell’intero anno passato hanno anche messo in luce problemi evidenti e in alcuni casi hanno esacerbato le ca-renze esistenti. Chi sono le persone generalmente più colpite dal virus? Quelle che avevano esiti di salute peggiori prima della pandemia, comprese le persone che viveva-no in aree più povere.
 
A seguito del buon record delI’Italia sull’aspettativa di vita, Co-vid-19 ha messo in luce le profonde disuguaglianze che esistono tra i diversi gruppi di popolazione nelle diverse Regioni del nostro Paese. Il Covid-19 ha messo a nudo le de-bolezze di un sistema sanitario e di assistenza sociale che è stato sottofinanziato e tra-scurato per troppo tempo. Il settore ha manifestato all’inizio della pandemia tragiche conseguenze per gli utenti dei servizi agli anziani, alle famiglie e nelle RSA si è riscon-trato un numero inaccettabile di morti.
 

Ciò fornisce ulteriori prove (se ce ne fosse ulteriormente bisogno) che l’assistenza so-ciale ha un disperato bisogno di attenzione, investimenti e riforme per affrontare in modo integrato il tema della non autosufficienza. Anni di scarsa pianificazione della forza lavoro, politiche deboli e responsabilità frammentate hanno portato a una crisi della forza lavoro sia nell’assistenza sanitaria che in quella sociale. Dopo la più lunga stretta di finanziamenti della sua storia, prima della pandemia, a partire dalla crisi fi-nanziaria del 2008, il SSN era già in crisi, avendo esaurito in tutti questi anni la capa-cità di risparmiare dall’interno del sistema e i profondi tagli ai letti e alle strutture hanno precostituito un sistema di liste d’attesa intollerabile, acuendo il solco tra chi poteva rivolgersi al sistema privato e chi attendeva per essere curato nel sistema pubblico.
 
Anche i budget degli Enti regionali e locali avevano a loro volta lasciato in ginocchio il sistema di assistenza avendo l’obbligo del pareggio di bilancio. Ciò ha si-gnificato che il sistema è entrato in crisi pandemica già al limite. Per evitare il sovrac-carico degli ospedali, sono state necessarie lunghe sospensioni/riduzioni nella forni-tura di cure non urgenti, il ricorso a maggiori letti di terapia intensiva, lasciando mol-te persone senza il livello di assistenza o il supporto che normalmente avrebbero po-tuto aspettarsi di ricevere.
 
Oltre all'impatto immediato del Covid-19 sulla salute e l’assistenza, la pandemia ha causato gravi danni alle finanze pubbliche e all’economia in generale. Come afferma il Presidente del Consiglio Mario Draghi, è vero che in que-sto momento “lo Stato deve dare e non prendere”, ma le conseguenze sociali ed eco-nomiche della crisi avranno senza dubbio un impatto sulla salute e sul benessere della popolazione e rischiano di approfondire ulteriormente le disuguaglianze. Il sistema sanitario e assistenziale deve affrontare sfide significative per ripristinare i servizi, non solo negli ospedali, ma anche e soprattutto nelle cure primarie, nella salute mentale, nell'assistenza, per gli anziani e nei servizi a favore della comunità. In primo luogo, a seconda dell’adozione e del successo della vaccinazione, i servizi sanitari e di assisten-za dovranno essere completamente preparati a livello locale, regionale e nazionale per eventuali future ondate di Covid-19 e per la potenziale necessità di ulteriori vac-cinazioni di massa contro nuove varianti.
 
Ciò richiederà che il sistema impari rapida-mente da ciò che non ha funzionato finora per evitare il ripetersi degli errori prece-denti. In secondo luogo, ci sono grandi sfide pratiche per fornire cure di routine, mentre Covid-19 rimane un rischio. Sono già state apportate modifiche per ridurre la diffusione del virus (comprese le aree Covid-free) e i dispositivi di protezione indivi-duale (DPI) potrebbero continuare a essere necessari per il prossimo futuro.
 
Queste considerazioni si devono applicare a tutte le strutture sanitarie e assistenziali, non so-lo agli ospedali. È molto importante riprogettarle insieme agli attori reali ed ai fruitori dei servizi. In terzo luogo, sarà necessario un grande sforzo per affrontare l’arretrato della domanda di cure e ridurre i tempi di attesa. È importante sottolineare che que-sto dipenderà dalla disponibilità di personale per fornire assistenza; non è realistico aspettarsi che il personale esausto passi direttamente dalla risposta alle pressioni del Covid all’attività di routine senza tempo sufficiente per riposarsi e riprendersi. Nonostante siano visibili nei dati nazionali e nelle liste di attesa, le pressioni della domanda, tutto ciò si estenderà anche ai servizi di comunità, alle cure primarie e ai servizi di sa-lute mentale.
 
Questi servizi dovranno affrontare gli effetti sulla salute in corso di Covid-19, compre-se le esigenze di riabilitazione derivanti dalla guarigione dal virus e dai soggiorni prolungati in unità di terapia intensiva, e supportare coloro la cui salute è peggiorata a causa di lacune nelle cure di routine. A Genova, tutti coloro che sono stati salvati in ospedale da Covid, nel range di età tra i 70 e gli 80 anni, e che necessitano a casa di terapie riabilitative motorie e polmonari, non riescono ad essere curati con almeno 2 prestazioni fisioterapiche a settimana, poiché le carenze di personale per la terapia domiciliare sono rilevanti.
 
Se si ricorre al mercato privato, attualmente le prestazioni a domicilio per fisioterapia respiratoria e motoria costano 75 euro all’ora. Inoltre, si prevede un aumento significativo dei bisogni di salute mentale nei prossimi anni a causa della pandemia, in particolare a causa dell’impatto delle restrizioni sociali e del-le misure di blocco, scoprendo che la domanda di servizi di salute mentale per adulti e servizi di salute mentale per bambini e adolescenti potrebbe aumentare rispettivamente dal 40% al 60%.
 
Ciò sottolinea la necessità di una risposta dell’intero sistema che abbracci ospedali per acuti, cure primarie, comunità, salute mentale e servizi di assistenza sociale. Un focus sull’intero sistema richiede anche attenzione alla soste-nibilità del settore del volontariato e della comunità, che offre un supporto fondamentale per la salute e il benessere sia attraverso la fornitura diretta di servizi sanitari che un più ampio supporto agli individui e alle comunità vulnerabili.
 
Anche gli Enti locali sono stati colpiti in modo particolarmente duro dalle conseguen-ze economiche del Covid 19, con molti che hanno subito riduzioni significative delle entrate mentre hanno sperimentato una crescita sostanziale della domanda per il so-stegno ai bisogni dei cittadini.
 
La risposta all’emergenza è stata caratterizzata da una direzione centralizzata molto maggiore all’interno della sanità come era giusto che fosse, durante la pandemia, tut-tavia, i limiti di questo approccio sono stati evidenti in alcuni aspetti della risposta, come lo sviluppo della strategia test-and-trace, in contrasto con il successo del pro-gramma di vaccinazione, che ha attinto agli sforzi dei team clinici locali. e dei diversi gestori pubblici e privati. Le cinque priorità che ho elencato possono fornire una cornice per aiutare a guidare l’approccio al rinnovamento del sistema di protezione sani-tario e sociale del nostro Paese. Basta attingere alle prove e all’esperienza esistenti, nonché agli insegnamenti tratti dalla pandemia per definire le azioni che dovrebbero essere intraprese ora. Mettere la forza lavoro al centro della scena è un imperativo politico, morale, e culturale.
 
Il personale sanitario e di assistenza a tutti i livelli ha dimostrato una notevole capaci-tà di recupero e dedizione per fornire la migliore assistenza possibile ai pazienti e agli utenti del servizio. L’impatto della pandemia sul benessere del personale sia a breve che a lungo termine non deve essere sottovalutato. Ci sono numerose evidenze che le pressioni e le esperienze dell’ultimo anno hanno portato a galla: un aumento dello stress, dell’esaurimento e del burnout. Il settore sanitario è per forza di cose la cate-goria lavorativa più colpita. Maggiormente contagiato da Sars-Cov-2, ovviamente, soprattutto per l’altissimo livello di prossimità con i malati che non sono mai stati la-sciati soli.
 
Ma ha anche pagato un tributo in vite umane non indifferente. La crisi della forza lavoro era il problema più grande che il sistema sanitario doveva affrontare prima dell’emergere di Covid-19 e rimane il problema più grande da affrontare e risolvere.
 
Gli ospedali del SSN, la medicina di territorio i servizi di prevenzione e di salute men-tale, i servizi sociali operavano con oltre 100.000 posti vacanti a tempo pieno e il per-sonale lavorava sotto sforzo con alti livelli di assenze per malattia e stress correlato al lavoro. Le carenze erano ancora maggiori nell’assistenza sociale.
 
Il 1° giugno 2021, come ben rilevato dalla Corte dei conti, nel Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica, sono stati messi in evidenza oltre ai punti di forza, gli aspetti problematici del Servizio sanitario nazionale, attribuibili soprattutto alle scelte operate negli ultimi 10 anni.
 
Per quanto riguarda il personale, le maggiori criticità segnalate dalla Corte sono: il permanere per un lungo periodo di vincoli alla dinamica della spesa per personale e le carenze, specie in alcuni ambiti, di personale specialistico. Come messo in rilievo, a seguito del blocco del turn-over nelle Regioni in Piano di rientro e dalle misure di con-tenimento delle assunzioni adottate anche in altre Regioni, negli ultimi dieci anni il personale a tempo indeterminato del SSN è fortemente diminuito.
 
Al 31 dicembre 2018 era inferiore a quello del 2012 per circa 25.000 lavoratori (circa 41.400 rispetto al 2008). Tra il 2012 e il 2017, il personale (sanitario, tecnico, professionale e ammi-nistrativo) dipendente a tempo indeterminato in servizio presso le Asl, le Aziende Ospedaliere, quelle universitarie e gli IRCCS pubblici è passato da 653 mila a 626 mila con una flessione di poco meno di 27 mila unità (-4%). Nello stesso periodo il ricorso a personale flessibile in crescita di 11.500 unità ha compensato questo calo solo in parte. La drammaticità della crisi sanitaria ha accelerato le dinamiche già messe in atto.
 
Per fronteggiare l’emergenza, sono state utilizzate procedure straordinarie di re-clutamento del personale per il potenziamento, in particolare, delle reti di assistenza territoriale e dei reparti ospedalieri di virologia e pneumologia ed infettivologia, in de-roga alla disciplina vigente. Ciò ha permesso al Servizio sanitario di contrastare la crisi epidemiologica in atto nelle Regioni più colpite fino al termine dello stato di emer-genza (31 luglio, successivamente prorogato al 15 ottobre 2020) e tutt’ora vigente.
 
Ma ora si deve guardare in avanti e procedere sia con misure di stabilizzazione, sia con innovazioni radicali in accordo con le facoltà di medicina e con le Regioni per sta-bilire fabbisogni e contenuti innovativi nella formazione e nell’innovazione dei percorsi di studio e di specializzazione, tenendo conto che la digitalizzazione dei sistemi sanitari procederà con celerità inaspettata. Inoltre, occorrerà mettere mano, non solo all’implementazione della domiciliarità, dei servizi sociosanitari adeguandoci in ter-mini di prestazioni orarie annue almeno agli standard europei, che in media, sono del 13/15% all’anno, ma di farlo attraverso una logica pianificata di integrazione sociosa-nitaria.
 
Non basta come facciamo nel PNRR accontentarsi del 10%. A questo proposito non mi convince la modalità operativa dei 2 Ministeri, quello della salute e quello del lavoro, sulla tematica degli anziani non autosufficienti che stanno operando attraverso 2 differenti Commissioni di studio sul tema. La salute, con la Commissione diretta da Monsignor Paglia che ha steso un documento sulle Rsa che ho avuto modo di apprezzare a dicembre nel convegno nazionale promosso dall’ANASTE, di cui sono stata relatrice sul tema della necessità di modificare la modellistica di RSA esistente nel nostro Paese.
 
Su questo filone si collocano le “Linee di indirizzo generali per la riforma dell’assistenza sanitaria e socio sanitaria dedicata alla popolazione anziana” elabora-te dalla Commissione nazionale voluta dal Ministro Speranza e presieduta da Mons. Vincenzo Paglia: ad esse sono seguiti i contributi dei gestori AGeSPI, ANASTE, ANSI-DIPP, ARIS e UNEBA. Oltre a queste proposte, in questi ultimi 3 mesi ne sono state presentate altre: il Network Non Autosufficienza ha presentato la Proposta Aperta per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza dal titolo “Costruire il futuro dell’assistenza agli anziani non autosufficienti”.
 
La Pontificia Accademia per la Vita, il documento “La vecchiaia: il nostro futuro, la condizione degli anziani dopo la pande-mia”; l’Università Bocconi ha presentato il 3° Rapporto dell’Osservatorio LTC dal tito-lo “Le prospettive per il settore socio-sanitario oltre la pandemia”.
Già dai titoli si può comprendere che il dibattito è aperto e orientato a proporre indi-cazioni per il futuro, secondo diversi punti di vista. Le tematiche comuni trattate nei documenti citati sono:
• la carenza e la disomogeneità dei dati del settore;
• la necessità di coordinare la filiera dei servizi e degli interventi rivolta agli anzia-ni;
• la valorizzazione del ruolo delle famiglie, nelle cure informali e formali;
• una riflessione sulla mission delle strutture residenziali esistenti e sullo sviluppo di altre risposte residenziali;
• le carenze quali – quantitative dell’assistenza domiciliare e le prospettive di ri-forma;
• la formazione degli operatori del settore;
• il riconoscimento del “valore” dell’intero settore.
 
Al contempo il Ministro del lavoro ha recentemente nominato un gruppo di lavoro denominato “Interventi sociali e politiche per la non autosufficienza” che svolgerà attività di esame e approfondimento, propedeutiche alla stesura del Piano sociale nazionale, nonché alla definizione delle linee per il triennio 2022-2024.
Ahimè, la vecchia linea delle rette parallele che non si incontrano mai, alla faccia dell’integrazione sociosanitaria!
 
La pandemia da coronavirus ha spinto ai limiti i sistemi sanitari in molti paesi europei. La Telemedicina è diventata da un giorno all’altro uno strumento salvavita per i sistemi sanitari. Abbiamo visto il valore della telemedicina per risparmiare tempo e denaro. Non possiamo tornare alla situazione precedente una volta che tutto que-sto sarà finito.
 
Bene le tecnologie, ma le risorse umane sono altrettanto se non più determinanti. Infatti, tutti i provvedimenti che abbiamo preso sotto forma di decreti fino alla legge di bilancio 2021 hanno dato in diverse forme la possibilità di assun-zioni. Le Regioni e le Province Autonome vengono così autorizzate ad incrementare le spese per le assunzioni di personale sanitario, socio-sanitario e tecnico. Nel com-plesso, secondo i dati del Ministero della salute, si passa da un numero di 5.179 posti letto di TI (pre-emergenza) a 8.679, con un incremento del 70%.
 
A questi si aggiunge la predisposizione alla terapia intensiva, con la sola implementazione di ventilazione meccanica e monitoraggio, di 2.112 posti letto di terapia semintensiva. Si aggiungono, inoltre, 300 posti letto di terapia intensiva suddivisi in 4 strutture movimentabili, pronte per essere allestite in breve tempo nelle zone ad accresciuto fabbisogno. Questo porta la disponibilità di terapie intensive a 11.091 posti-letto di terapia intensiva, +115% rispetto alla disponibilità in pre-emergenza.
 
Lavorare per sviluppare una strategia credibile per la forza lavoro e garantire una maggiore at-tenzione alla leadership è ora un lavoro ancora più critico e saranno necessari sforzi enormi per affrontare la carenza nel campo dei servizi di assistenza domiciliare e sul territorio.
 
Occorre un cambiamento radicale perché le disuguaglianze sulla salute della popolazione, sono state acuite da Covid-19. Prima della pandemia, i miglioramenti nell’aspettativa di vita si erano quasi arrestati ed erano emerse disuguaglianze sanitarie inaccettabili, tra nord e sud del Paese. Gli uomini che vivono nelle aree meno svantaggiate potrebbero, alla nascita, aspettarsi di vivere 9,4 anni in più ri-spetto a quelli nelle aree più svantaggiate, mentre per le donne la differenza è stata di 7,4 anni.
 
Tra il 2012-14 e il 2015-17, questo divario è aumentato di 0,3 anni per gli uomini e di 0,5 anni per le donne. In particolare, si evidenzia lo svantaggio strut-turale sperimentato da persone provenienti da aree di povertà, aumentate in questi ultimi anni soprattutto nelle periferie urbane e nelle minoranze etniche che hanno avuto un rischio molto maggiore di contrarre e morire di Covid. Le conseguenze economiche e sociali delle misure di contenimento del virus rischiano di aggravare queste disuguaglianze. È tempo di un ripristino delle politiche pubbliche per migliorare la salute della popolazione e affrontare le disuguaglianze profondamente radicate. Ciò include rispondere all’impatto diretto di Covid-19 e raddoppiare gli sforzi per ridurre le disuguaglianze sanitarie in modo più ampio, anche affrontando i fat-tori socioeconomici della salute come l’alloggio, l’istruzione, l’occupazione e l’accesso a cibo sano a prezzi accessibili.
Questo sarà il vero test di quanto sia serio il Governo riguardo al suo programma di inclusione e di uguaglianza.
 
La discussione intorno al blocco dei licenziamenti che ora approda in un decreto di blocco selettivo è una dimostrazione lampante di quanto può essere alto il rischio post-covid di tensioni sociali e di aumento della povertà. È necessaria un’azione sostenuta e coerente sulla prevenzione e la gestione delle disuguaglianze nella salute a tutti i livelli, anche attraverso partenariati territoriali locali, che abbraccino il SSN, il governo locale, le organizzazioni del settore del volontariato e le stesse comunità.
 
Come primo passo, il Governo deve affrontare urgentemente le pressioni sui finanziamenti a breve termine per prevenire un ulteriore deterioramento dell’accesso, per le persone che necessitano di assistenza sociale. Ciò deve essere accompagnato da misure immediate per stabilizzare il fragile mercato dei fornitori, compreso il sostegno a un aumento dell’importo che le autorità locali possono pagare per le cure. Il Governo dovrebbe presentare proposte per investimenti e riforme a più lungo termine come priorità immediata, per creare un sistema più semplice ed equo.
 
Le proposte dovrebbero offrire una tabella di marcia per la riforma della non autosufficienza e impegnarsi a compiere progressi significativi nell’attuazione prima della fine della legislatura per utilizzare al meglio le risorse previste nel PNRR. È impor-tante sottolineare che questo deve riconoscere che i problemi nell’assistenza sociale non riguardano solo il finanziamento: sono necessarie riforme più ampie per supportare una maggiore equità di accesso, migliorare la qualità dei servizi, affrontare la frammentazione tra il SSN e l’assistenza sociale.
 
Il Covid-19 e la necessità di fornire assistenza a distanza fisica hanno provocato uno shock senza precedenti sia per la domanda che per l’offerta di servizi sanitari digitali. I risultati sono stati so-stanziali. Nel giro di poche settimane dall’inizio dell'epidemia, più di tre quarti degli ambulatori medici stavano conducendo alcune consultazioni dei pazienti tramite video e quasi la metà di tutte le consultazioni nel maggio 2020 sono state effettua-te per telefono. Supportati da una piattaforma nazionale, sono aumentati anche gli appuntamenti ambulatoriali ospedalieri remoti. Nella sua storia recente, il SSN non ha mai visto un cambio di canale così rapido e diffuso.
 
Accanto a questo, alcune zone dell’Italia hanno accelerato la diffusione delle tecnologie digitali, come i disposi-tivi tablet, per consentire agli utenti dei servizi di comunicare e accedere sia per consulenza a distanza sia per comunicare con i propri parenti. Questa scala di cambiamento è stata resa possibile dal personale clinico e di supporto che ha cambiato rapidamente il modo di lavorare e ha condiviso l’apprendimento e le buone pratiche lungo il percorso.
 
L’attenzione si è concentrata sulla tecnologia come fattore abilitante per fornire assistenza, non come fine a se stessa. I risultati degli ultimi mesi sono in netto contrasto con il record relativamente scarso del Servizio Sanita-rio Nazionale di adottare tecnologie digitali su larga scala. Gli ostacoli di vecchia data nel panorama della sanità digitale italiana, tra cui un processo decisionale ecces-sivamente centralizzato, investimenti e infrastrutture insufficienti, mancanza di preparazione del personale, requisiti restrittivi di governance delle informazioni e scarsa interoperabilità hanno ostacolato i progressi per troppo tempo.
 
Allo stesso tempo, la misura in cui l’assistenza sanitaria e sociale è stata in grado di capitalizzare le opportunità digitali è stata limitata in passato dalla mancanza di finanziamenti dedicati, a sostegno delle infrastrutture e della leadership sanitaria e sociale a livel-lo locale. Ma ora le risorse nel PNRR ci sono.
 
Guardando al futuro, il compito degli Enti nazionali e dei leader locali è quello di trarre insegnamenti da questa esperienza per apportare modifiche durature alle politiche e alle pratiche per creare un ambiente che supporti maggiormente le in-novazioni della salute digitale che migliorano l’assistenza ai pazienti.
 
È importante sottolineare che l’eredità digitale di Covid-19 deve essere durevole: deve essere costruita sul consenso pubblico; lavorare per il più ampio spettro possibile di utenti dei servizi; supportare il personale sanitario nei loro ruoli e includere un quadro proporzionato di garanzie. È necessaria una rapida valutazione degli approcci e delle misure adottate durante la pandemia per informare il futuro cambiamento digitale.
 
Le infrastrutture e gli strumenti digitali devono essere costruiti con trasparen-za e coinvolgimento da parte del pubblico e del personale sanitario e sociale. Dati i precedenti colpi alla fiducia, dovuti a carenze di alto profilo in questo settore e le preoccupazioni sulla condivisione dei dati con società indipendenti durante la pandemia, è necessario un approccio basato sulle migliori pratiche esistenti, come il cosviluppo e i processi di coinvolgimento deliberativo con i soggetti utilizzatori a livello di servizio sia ospedaliero che territoriale.
 
L’emergenza Covid-19 ha portato a un’impennata della solidarietà e dell’attivismo della comunità, comprese centinaia di migliaia di persone che hanno offerto il loro tempo e il loro sostegno attraverso i gruppi locali di mutuo soccorso. Ciò ha sottolineato il ruolo vitale delle comunità locali nel sostenere la salute e il benessere.
 
Inoltre, esistono prove evidenti dai disastri in tutto il mondo che la resilienza della comunità è la chiave del processo di recupero e che un coinvolgimento significativo della comunità è una parte essenziale degli sforzi di recupero e di successo. Incanalare l’energia della comunità per promuovere una nuova relazione con i servizi pubblici è stata a lungo un’aspirazione del terzo settore nel nostro Paese.
 
Tuttavia, mentre alcuni luoghi hanno fatto passi da gigante, il cambiamento generale è stato limitato. Sulla scia di Covid-19, c'è un’opportunità per rimodellare veramente il rapporto tra i servizi pubblici e le comunità che servono, promuovendo culture in cui i servizi pubblici cercano di costruire sui punti di forza e sui beni delle comunità per migliorare i risultati.
 
Sulla base dell’esperienza di recupero da precedenti disastri globali, il “ripristino della comunità” o piuttosto “il ripristino guidato dalla comunità” sarà essenziale, poiché richiede investimenti nella costruzione della resilienza della comunità e sup-porto per approcci guidati dalla comunità. Cambiare il modo in cui i servizi sanitari e di cura lavorano con le persone e le comunità non potrà che essere una parte di questo processo. È un modo diverso di lavorare che riconosce il ruolo che le persone possono svolgere nel migliorare la propria salute e le supporta nel farlo.
 
I sistemi sanitari e assistenziali locali dovrebbero adottare misure per salvaguardare il ruolo delle organizzazioni di volontariato e della comunità come partner a lungo termine nella promozione della salute e del benessere. Ciò richiederà che i servizi pubblici collaborino e forniscano supporto ai leader e alle organizzazioni della comunità locale. Le prove indicano che le organizzazioni di volontariato e comunitarie possono svolgere un ruolo fondamentale nel sostenere gli sforzi di recupero e costruire la resilienza della comunità, ma molte sono state colpite finanziariamente dalla pandemia. Insidie da evitare nell’approccio alla ripresa e al rinnovamento.
 
Poiché i leader a livello locale, regionale e nazionale rivolgono la loro attenzione al recupero e al rinnovamento, i metodi che sceglieranno saranno molto importanti. L’esperienza passata indica una serie di approcci che sarebbe meglio evitare, in cui l'equilibrio tra costi e benefici è sfavorevole. Tentativi eccessivamente ambiziosi di riforma strutturale a livello di sistema, appaiono utopici in questo contesto cultura-le e politico.
 
La storia del SSN è disseminata di piani di riforma che hanno sovrasti-mato i benefici e sottovalutato i costi ed i processi di attuazione e modificazione culturale che presuppongono. La verità è che il sistema non può permettersi grandi sconvolgimenti date le pressioni a cui è attualmente sottoposto. Sarà essenziale evitare di distrarre i servizi sanitari e assistenziali dall’affrontare la crisi in atto; sarebbero preferibili modifiche mirate a sostegno dei servizi più in sofferenza: ospe-dali, medicina territoriale, servizi di prevenzione rispetto a uno sconvolgimento totale delle strutture locali.
 
Il SSN opera all'interno di un quadro di standard di prestazioni operative nazionali (l’assistenza sociale no, in misura molto minore). Potrebbe esserci ora la tentazione di inasprire il regime di gestione delle prestazioni che accompagna questi standard, in particolare nel tentativo di ridurre i tempi di attesa. Ma tentare di gestire le prestazioni dall’alto verso il basso di obiettivi non conseguibili rischia l’alienazione piuttosto che la reattività. Concentrarsi sugli ospedali non vuol dire trascurare altre parti del sistema.
 
L’impatto molto visibile di Covid-19 sulla capacità dei letti acuti rischia di rafforzare l'impostazione predefinita delle risposte incentrate sull’ospedale a problemi a livello di sistema. Dunque, la medicina generale, i dipartimenti di prevenzione, i servizi domiciliari e di riabilitazione sono altrettanto fondamentali per garantire un sistema funzionante in grado di ripristinare la fornitura delle prestazioni e rispondere non solo alle possibili future ondate della pandemia ma fornire le priorità sopra indicate.
 
Guardando al futuro, c'è il rischio che i leader nazionali sbaglino a mantenere il potere a livello centrale, piuttosto che fornire risorse, supporto e autonomia ai sistemi locali per apportare miglioramenti e cambiamenti lavorando con le comunità locali.
È fondamentale evitare un gioco di scarico delle responsabilità. I leader della salute e dell'assistenza farebbero bene ad abbracciare con pragmatismo e razionalità un’etica dell’apprendimento nelle fasi di costruzione delle risposte. Non si tratta solo di imparare dai successi e dai fallimenti in relazione a Covid-19, ma dall’esperienza passata per apportare cambiamenti in sistemi complessi.
 
Onorare i sacrifici fatti dal personale sanitario mettendo il benessere della forza lavoro in cima all’agenda, concentrarsi incessantemente sulle disuguaglianze per trasformare ogni parte d’Italia in favore di una salute migliore e più equa per tutti richiederà un’azione coordinata a livello nazionale, regionale e locale. Dato il contesto economico più ampio, sarebbe ingenuo non riconoscere le decisioni molto difficili e i compromessi sulla spesa pubblica che ci attendono. Tuttavia, se il Governo vuole mantenere le sue promesse sulla priorità della salute e dell’assistenza, sarà necessario un accordo oltre il PNRR, di finanziamento post-Covid-19, portando investimenti nella forza lavoro sanitaria, nell’assistenza sociale e nella sanità pubblica, dove anni di austerità hanno desertificato la materia prima fondamentale: le risorse umane.
 
La storia del SSN è disseminata di tentativi di riforma che hanno sovrastimato i benefici e sottovalutato la capacità attuativa del sistema, spesso dominato da interessi contrapposti, ma trattandosi di salute, non possiamo permetterci più di fallire. Perciò sono fermamente convinta che non sarà una riforma palingenetica del settore a modificare le cose, quanto un più sano spirito pragmatico, anche settoriale, che però non sottovaluti la necessità di una visione paradigmatica nuova che è necessaria perché l’Ospedale non potrà essere più quello di prima; che una nuova medicina di comunità abbisogna di ripensare salute- ambiente e stili di vita in un trinomio inscindibile, se non si vuole rimanere sconvolti da pandemie come questa.
 
Occorre concentrarsi sugli ospedali in questo momento e di ciò sono grata all’amico Cavicchi che spesso parte come un panzer apripista, perché il dibattito, le idee possano alimentarsi con il contributo di tutti, per cercare di incidere su coloro che ai vari livelli di responsabilità hanno il compito di decidere per costruire un SSN più resiliente ai bisogni di salute del terzo millennio. Non dobbiamo tuttavia caricare sull’ospedale problemi a livello di sistema.
 
Poco più di due anni fa, dopo circa 15 anni, il nostro SSN si era dotato dei nuovi LEA delineando le sue ambizioni strategiche per il prossimo decennio. A quel punto, nessuno avrebbe potuto prevedere lo shock epidemico che il sistema sanitario ha dovuto affrontare.
 
È giunto il momento di rinnovare le priorità alla luce di ciò che abbiamo vissuto abbracciando l’apprendimento ovunque si trovi e cogliendo le opportunità per creare un cambiamento positivo a lungo termine. Il nuovo Governo ha deciso di rendere il SSN una priorità chiave, promettendo di risolvere alcuni dei suoi grandi problemi entro il 2026, per dare a ogni persona la dignità e la sicurezza che merita e per una sua maggiore equità in ogni parte del Paese.
 
Mantenere questi impegni sulla scia della pandemia globale di Covid-19 richiederà tenacia, cambiamenti e innovazioni per ricostruire servizi pubblici che possano lavorare a stretto contatto con le comunità locali per non farsi più cogliere impreparati. Ci sono implicazioni finanziarie per alcune delle azioni che abbiamo definito? Si, ma c’è il PNRR, la legge di bilancio che si andrà a compilare per il prossimo triennio, ci sono risorse più ampie a livello europeo anche dal programma salute 20/24 oltreché dal fondo sociale europeo.
 
Fare progressi richiederà soprattutto coraggio politico, non ultimo per portare avanti una riforma dei punti critici del SSN, integrato ad una riforma della non autosufficienza non più procrastinabile.
 
Il governo e il Parlamento, data la sua significativa maggioranza, sono nella condizione per farlo a patto di non evitare decisioni politiche difficili e di farlo con grande capacità di rinnovamento.
 
A me pare che il Presidente del Consiglio, il Ministro della salute ed il Parlamento siano indirizzati a voler far presto e mi auguro anche bene. Il prezioso lavoro e dibattito che QS è riuscito ad aprire su temi cruciali del nostro SSN può essere utile e stimolante a che il dibattito pubblico e le conseguenti decisioni si avvalgano del contributo di tutti. Il mio inguaribile ottimismo della volontà mi fa ben sperare.
 
Grazia Labate
Ricercatrice in economia sanitaria già sottosegretaria alla sanità
 
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06 luglio 2021
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