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Licenziato per aver rifiutato di assistere una donna durante probabile travaglio abortivo. Ma come è andata veramente? Ecco la nostra ricostruzione di quanto accaduto all’ospedale di Giugliano (Napoli)

Nel luglio scorso una donna alla 18ᵃ settimana di gravidanza arriva all'ospedale San Giuliano di Giugliano accusando forti dolori. La donna, a quanto sembra, aveva assunto farmaci per indurre il travaglio abortivo a seguito della decisone di interrompere la gravidanza a fini terapeutici. In ospedale troverà un ginecologo (che poi si scoprirà essere obiettore) che si rifiuta di assisterla e che chiede sia chiamato ad intervenire il collega che avrebbe prescritto i farmaci e che avrebbe  dovuto effettuare l'aborto terapeutico programmato per l'indomani. Alla fine il collega arriva ma segnala il tutto alla Asl che, dopo gli accertamenti del caso, licenzia il primo ginecologo. Ma qualcosa non torna...Prima di tutto perché la donna era a casa e non in ospedale?

24 NOV - La Asl lo licenzia in tronco dopo che si era rifiutato di visitare ed assistere una donna alla 18a settimana di gravidanza arrivata d'urgenza in ospedale accusando forti dolori probabilmente conseguenti all’assunzione di farmaci presi per indurre il travaglio abortivo a seguito della decisone di interrompere la gravidanza a  fini terapeutici. È accaduto all'ospedale San Giuliano di Giugliano in provincia di Napoli. La vicenda risale allo scorso luglio, ma i dettagli sono stati resi noti pochi giorni fa, dopo che la commissione, preposta a verificare cosa sia accaduto dopo la segnalazione del personale del reparto, ha finito il suo lavoro e i vertici della Asl hanno firmato il licenziamento del medico.
 
La vicenda è finita su tutti i giornali, tuttavia le informazioni circolate sono apparse vaghe o imprecise. Alcuni parlavano di aborto spontaneo, altri di aborto terapeutico o farmacologico. Né era chiaro il ruolo del secondo medico intervenuto ad aiutare la donna in ospedale dopo essere stato allertato telefonicamente dall'infermiera e dall'ostetrica del reparto (mentre lui, il medico, non era di turno né reperibile), o le motivazioni addotte dal ginecologo di turno per giustificare la sua scelta di non assistere la donna (ha detto di essere obiettore o no?) e poi soprattutto, perché la donna era a casa e non in ospedale se, come sembra, aveva assunto farmaci per indurre il travaglio abortivo?.
 
Quesiti a cui non fornisce risposte definitive neanche la nota diramata dalla Asl Napoli 2 in cui si afferma: “In merito al caso del Ginecologo dell’ospedale di Giugliano licenziato senza preavviso lo scorso 16 novembre dall’ASL Napoli 2 Nord, l’Azienda precisa che la ragione del provvedimento è connessa al rifiuto del sanitario di intervenire su una paziente arrivata nella notte del 1° luglio presso l’ospedale di Giugliano in emergenza ed a rischio di vita. Il procedimento disciplinare è stato adottato a seguito dell’accurato lavoro effettuato dalla Commissione Disciplinare dell’Azienda che, nel corso dell’istruttoria e delle audizioni succedutesi in questi mesi, non ha mai ritenuto essere dirimente la scelta del sanitario di essere obiettore di coscienza. Le condizioni della donna, infatti - prosegue la nota della Asl -, erano tali da porla in imminente pericolo di vita mentre il feto non faceva registrare alcuna attività cardiaca. A conferma di ciò, il medico sanzionato nel corso delle sedute della Commissione Disciplinare non ha mai addotto a propria difesa la scelta di essere un obiettore di coscienza. L’Azienda Sanitaria sta valutando di inviare la documentazione alle autorità giudiziarie e all’Ordine dei Medici affinché possano verificare la necessità di effettuare le verifiche di propria competenza”.
 
Per questo, ritardando nel dare la notizia, abbiamo provato a chiarire meglio come fosse andata, cercando di dare una risposta ai nostri dubbi. Ma non tutti sono stati chiariti.
 
Intanto partiamo da come dovrebbero essere andate le cose nella notte tra il 30 giugno e il 1° luglio scorso. Alla donna - secondo quanto ricostruito in sede disciplinare – erano stati somministrati farmaci (da un altro ginecologo della Asl dipendente dello stesso ospedale) per indurre il travaglio abortivo a seguito della decisone di interrompere la gravidanza a  fini terapeutici.
 
Ma la donna non resta in ospedale e probabilmente (su questo non abbiamo informazioni certe ma l’ipotesi ci è stata indicata come possibile dalla direttrice sanitaria) firma per tornare a casa e attendere a domicilio l’evolversi della situazione.
 
Nel corso della notte però la donna si sente male e torna in ospedale dove vi giunge già in travaglio e in fase di espulsione del feto nel cuore della notte alle ore 2,45 del 1° luglio scorso. A questo punto viene accompagnata immediatamente in reparto, come accade per tutti gli accessi al pronto soccorso ostetrico.
 
Ad accogliere la paziente, secondo la ricostruzione agli atti, sono un’ostetrica e un’infermiera di guardia. Queste ultime si rendono conto della gravità della situazione e della necessità di un intervento di urgenza e avvertono pertanto il ginecologo di turno quella notte. Quest’ultimo, appreso che si tratta di un caso connesso con un aborto terapeutico avviato da un suo collega (in quel turno assente), senza visitare la paziente, avrebbe chiesto che ad occuparsi del caso fosse appunto quel collega opponendo il fatto di essere obiettore di coscienza (circostanza, quest’ultima, che in un secondo momento il ginecologo sembrerebbe aver negato). A nulla valgono le insistenze dell’ostetrica che rappresenta l’urgenza e gravità del caso.
 
Alle 3,12 l’ostetrica telefona all’altro medico, non di turno né reperibile, il quale prima ribadisce la responsabilità del collega di turno e poi decide comunque di intervenire arrivando in ospedale dopo circa 10 minuti. Qui, insieme all’anestesista e in narcosi completa, effettua l’intervento ritenuto non più procrastinabile. Risolto il caso il medico segnala i fatti alla direzione aziendale in una circostanziata ricostruzione entrando nei dettagli di quanto accaduto e rappresentando i rischi che quella donna aveva corso per la mancata assistenza del medico di turno.
 
La Asl risponde con il deferimento del medico inadempiente ai suoi doveri al Consiglio di disciplina. Questo esaminati gli atti ed esperite le testimonianze del personale di turno decide per la proposta della massima sanzione disciplinare, ossia il licenziamento senza preavviso, proposta che viene accolta dal direttore generale che il 16 novembre scorso firma la delibera del licenziamento.
 
“Il medico in sede disciplinare - spiega a Quotidiano Sanità il direttore sanitario aziendale Virginia Scafarto - si è difeso cambiando in corso d’opera la propria versione, prima accennando al fatto di essere obiettore di coscienza e poi dicendo di non essere stato avvertito dagli altri sanitari di turno. Circostanza in conflitto con quanto emerso dalle altre testimonianze”.
 
Secondo la ricostruzione della storia clinica emerge inoltre che l’espulsione del feto era già in fase avanzata quando la donna è giunta in ospedale tant’è che quando è giunto il secondo medico il feto era già all’esterno del corpo della donna e privo di battito cardiaco.
 
Ma come mai la signora non era in rimasta in ospedale? "Abbiamo acquisito la cartella clinica - conclude Scafarto - per accertare anche questi aspetti che hanno preceduto l'arrivo in ospedale della paziente che potrebbe aver firmato per attendere a casa che i farmaci facessero effetto per evitare di aspettare in un ambiente dove altre donne sono in travaglio per una nascita e non dover condividere una decisione pesante dal punto di vista emotivo".
 
A questo punto, quindi, la vicenda, al di là della problematica disciplinare del licenziamento, presenta a nostro avviso anche altri aspetti sui quali sarebbe necessario fare più chiarezza. Prima di tuttochiarire se sia stata una scelta appropriata quella di acconsentire alla richiesta di dimissione dal ricovero della donna (sempre che sia andata così) in considerazione della delicatezza della situazione e dei rischi evidenti in caso di somministrazione di farmaci per indurre il travaglio abortivo. E poi una riflessione a margine. Sempre che sia andata come sembra, e cioè che la donna abbia scelto di andare a casa, non dovrebbero esistere spazi separati in grado di garantire la privacy?
 
Intanto anche il medico licenziato ha sporto denuncia all’autorità giudiziaria. Sarà dunque un giudice ad accendere i riflettori su quanto accaduto. Come è noto in base all’articolo 9 della legge 194 del 1978 i medici possono rifiutarsi di effettuare una interruzione di gravidanza o di somministrare farmaci con tali effetti se in contrasto con i loro principi etici ma ciò non li esenta dall’intervenire a tutela della paziente laddove questa si trovi in un imminente pericolo di vita. Tra l’altro è fatto obbligo al medico di segnalare la propria scelta etica all’Asl e all’Ordine di appartenenza.
 
L’Ordine dei medici di Napoli, intanto, ha avviato le procedure per un’azione disciplinare nei confronti del ginecologo licenziato che non avrebbe offerto cure adeguate alla paziente in grave stato di salute e in aborto in corso.
 
“Abbiamo inviato all’azienda sanitaria - spiega all’Aska il presidente Silvestro Scotti la richiesta per la trasmissione degli atti al disciplinare. Verbali che avremo nei prossimi giorni e che ci permetteranno di avere un quadro più completo. Nel frattempo ci è giunta voce che a breve potrebbe essere avviata un’indagine penale da parte della Procura. Fatto che sospenderebbe il nostro procedimento”.
 
Entrando nel merito della vicenda del professionista licenziato Scotti ha poi aggiunto: “A noi non è pervenuta nessuna comunicazione in merito così come non abbiamo avuto notizie di quello che è accaduto lo scorso luglio. Sono passati mesi ma siamo venuti a conoscenza dei fatti solo dopo che era stato completato l’iter. Qui - conclude Scotti - si sta mettendo in discussione la professionalità del collega che secondo quanto riferito da un’ostetrica e un altro medico, non si sarebbe adoperato per salvare la vita a una paziente che aveva già semi espulso il feto. Per nessun motivo, obiettore o meno, un medico può sottrarsi al dovere di prestare cure. Di questo dovremo occuparsi non appena l’iter giudiziario ce lo consentirà”.
 
Ettore Mautone e Lucia Conti

24 novembre 2018
© Riproduzione riservata

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