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Come evitare che anche sul Pnrr si faccia solo “bla, bla, bla”

Ci sta provando la Camera del lavoro della Cgil di Avellino che ha proposto una sua piattaforma partendo dalla convizione che la costruzione della salute non si fa con una Regione paternalista che ci mette a disposizione “solo” dei servizi ma si fa con una comunità che attraverso i suoi vari rappresentanti negozia con la Regione le politiche necessarie a creare salute avvalendosi ovviamente di servizi pubblici ma anche di tutte le altre risorse disponibili nel proprio territorio

08 NOV - Il concetto di confederazione (come dimostra il prefisso “con”) vuol dire “collegare” “unire” e “partecipare”. Che, rispetto ai problemi di applicazione della missione 6, relativa alla sanità del PNRR, ci si debba organizzare, prima come pensiero, e poi come azione, in “modo confederale”, per un epistemologo vuol dire semplicemente che, a fronte delle notevoli complessità imposte dalla pandemia, e alle quali la missione 6 prova a rispondere:
• ci si deve organizzare a nostra volta come una complessità,
• che la complessità non è riducibile.
 
La Camera del lavoro di Avellino della CGIL sabato scorso ha convocato a Solofra in un cinema i propri delegati cioè tutte le diverse categorie di lavoratori (dai metalmeccanici ai dipendenti pubblici), ma anche i sindaci del proprio territorio, diversi esperti, per discutere definire e lanciare la propria piattaforma sulla missione 6, cioè per rispondere in modo confederale alla sfida della complessità.
 
Se la sarebbe potuta cavare come fanno tutti delegando “agli addetti ai lavori” cioè affrontando in modo settoriale le questioni che si sono aperte con la pandemia, ma non l’ha fatto, perché?
 
Vorrei spiegare questo “perché”, ma con un preciso intento polemico che è quello di prendere le distanze, anche io come Greta Thunberg, dal “bla bla bla” cioè dalle semplificazioni e dalle banalizzazioni che sul PNRR si stanno stratificando.
 
Con la missione 6 ci giochiamo una partita che se non va per il verso giusto retroagirà inevitabilmente come un bumerang contro la sanità pubblica finendo di massacrarla.
 
La salute non si tutela ma si costruisce
La piattaforma della Camera del lavoro di Avellino parte da una reinterpretazione politica del concetto di tutela contenuto nell’art 32.
Se vogliamo difendere davvero la salute il modo migliore è negoziare le condizioni politiche scientifiche e tecniche per costruirla.
 
La costruzione della salute non si fa con una Regione paternalista che ci mette a disposizione “solo” dei servizi, (quando se ne ricorda e se nel bilancio avanza qualche spicciolo), ma si fa con una comunità che attraverso i suoi vari rappresentanti negozia con la Regione le politiche necessarie a creare salute avvalendosi ovviamente di servizi pubblici ma anche di tutte le altre risorse disponibili nel proprio territorio.
 
La salute, quindi, per la Camera del lavoro di Avellino prima di essere una questione tecnica è una questione politica che pone una primaria questione di “democrazia negoziale” nel senso che, attraverso il negoziato sociale, si decide come fare salute, come costruirla nella comunità, quali interventi sono necessari, di quali strumenti abbiamo bisogno, quali approcci e quali metodologie.
 
Non si può costruire il diritto alla salute se i titolari del diritto non sono riconosciuti dalla regione come i suoi primi costruttori.
Il cittadino nelle sue varie accezioni è a priori la prima garanzia di salute.
 
Comunità e comuni
Il primo costruttore di diritti, per la Camera del lavoro di Avellino, è la “comunità” fatta da cittadini assunti in tutte le loro accezioni sociali e in tutte le età, sapendo che, al di la della sua classica definizione sociologica, proprio come ci ha insegnato la pandemia essa coincide di fatto in primo luogo con i comuni, quindi con i sindaci assunti, insieme al sindacato, quali principali sponsor della salute individuale e collettiva. Il contratto di sponsorizzazione della salute è un contratto sociale sottoscritto e condiviso dalla comunità con i propri comuni.
 
La Camera del lavoro di Avellino, ai fini di offrire alla comunità una istituzione pubblica di riferimento, cioè uno sponsor pubblico, ha deciso di porre alla regione Campania il problema politico della riabilitazione dei comuni. Fino ad ora non mi risulta che sia stato fatto da altri,
 
I comuni a favore della crescita dei poteri alle Regioni sono stati estromessi, nel 1992, dalle funzioni di gestione della sanità.
 
Oggi con i problemi posti dalla pandemia non si tratta di ridiscutere le scelte istituzionali del '92 (sono discorsi che eventualmente si fanno a ben altri livelli) ma di concordare con la Regione di delegare i comuni, quindi i sindaci, a svolgere tutte le funzioni relative alla costruzione della salute primaria perché:
• oggi è irrealistico fare salute primaria fuori dalla comunità e dal proprio territorio (ambiente e economia compresi),
• la Regione come istituzione è oggettivamente troppo lontana dalla comunità.
 
La delega ai comuni che la regione dovrà concedere vale solo per la costruzione della salute primaria, dovrà essere organizzata assistendo i comuni con precisi strumenti, con precisi servizi, con un preciso sistema informativo.
 
Oggi i comuni non sono in grado a condizioni finanziarie invarianti di occuparsi della salute dei propri cittadini e né è ragionevole chiedere loro di fare salute con la sola forza della volontà.
 
Oggi tuttavia, fuori dalla comunità, non è pensabile minimamente praticare la teoria del one health meno che mai quella della salute in tutte le politiche.
 
La grande dicotomia tra ambiente e salute che oggi caratterizza le nostre politiche regionali, si può ricomporre a partire dalla comunità. A livello territoriale dovranno essere fortemente integrati i dipartimenti di prevenzione e le agenzie per l’ambiente. Ma a livello di comunità dovranno essere previsti e organizzati precisi report sui bisogni di salute della propria comunità che dovranno essere sottoposti alla regione per indirizzarne gli interventi e eventualmente individuare delle figure di delegati territoriali alla salute di comunità ce riferiscono ai sindaci.
 
La piattaforma
La Camera del lavoro di Avellino, ovviamente ha predisposto una piattaforma che certamente riconosce priorità assoluta ai temi della salute e della prevenzione, ma che nello stesso tempo, non ignora a proposito di missione 6 i grandi problemi del proprio sistema sanitario pubblico che a partire dai distretti e dagli ospedali tradiscono implicazioni sociali a volte drammatiche. Drammatico ad esempio è il rapporto tra privato e pubblico.
 
Per la piattaforma della Camera del lavoro di Avellino, ciò che servirebbe alla comunità dell’Irpinia è:
• più sanità pubblica (rivedere il rapporto privato/pubblico, rivedere le esternalizzazioni, ecc.);
 
• riconcepire il distretto e la sua organizzazione (non si tratta solo di potenziarlo con le case di comunità con gli ospedali di comunità) a partire da un accordo di sviluppo delle cure primarie con i medici di medicina generale;
 
• definire una idea di ospedale adeguato giudicando inadeguato la scelta della missione 6 di ribadire il DM 70. È ora di dire basta alla concezione di ospedale minimo e di dira basta alla riproposizione di nuove forme di deospedalizzazione;
 
• ridefinire l’idea di governance dell’azienda per permettere tanto agli operatori che ai cittadini di partecipare alla gestione pubblica della sanità. La comunità deve essere il principale rappresentante della domanda di salute e in quanto tale il principale interlocutore dell’azienda. Nella comunità rientra quella degli operatori della sanità;
 
• rimettere al centro le questioni del lavoro professionale facendo del lavoro professionale il motore del cambiamento del sistema quindi stimolare e rendere omogenei i vari contratti integrativi in maniera da garantire l’applicazione omogenea delle norme contrattuali;
 
• rivedere i programmi di formazione di tutti gli operatori per orientarli alle nuove complessità da affrontare;
 
• rinnovare le tecnologie ma ottimizzando il rapporto tecnologia e professioni.
 
Entrare in gioco
Personalmente penso che, la Camera del lavoro di Avellino, in perfetta sintonia con la CGIL della Campania, abbia fatto bene prima di tutto ad entrare in gioco. Che Dio l’aiuti. Se i territori e le comunità non definiranno per tempo le loro piattaforme e i loro progetti, il rischio per il territorio sarà quello di subire le decisioni delle regioni, i loro criteri spartitori, le scelte di una tecnocrazia incapace di confrontarsi con la complessità, quindi di buttare i soldi dalla finestra continuando a foraggiare il privato.
 
Naturalmente non è facile per niente entrare in gioco e portare avanti un negoziato con le regioni, costruire alleanze con gli altri sindacati, fare unità, ma le circostanze sono tali che non si capirebbe perché non bisognerebbe farlo.
 
La salute una volta (anni '60/'70) si diceva che non si negoziava ma nel senso che non poteva essere monetizzabile, oggi bisogna dire con forza che la salute si negozia perché si tratta di contrattare con i titolari dei diritti le condizioni per costruirla.
 
Conclusioni
So che la Camera del lavoro di Avellino si adopererà perché la sua piattaforma diventi unitaria rispetto alle altre confederazioni ma anche rispetto ai sindacati di settore. E mi auguro che lo diventi. Trovo una scelta politica intelligente invitare i comuni ad essere gli sponsor della salute e trovo che rivendicare una vera e propria “democrazia negoziale”, quindi in una nuova relazione tra comunità e istituzioni, tra comunità e politica sia un pensiero vincente.
A De Luca, cioè al governatore della Campania,  dico “non farti scappare l’occasione” che ti viene offerta.
Comunque andranno le cose, alla camera del lavoro di Avellino, “chapeau”. Collegare, unire e negoziare. Questa è la sfida.

Ivan Cavicchi

08 novembre 2021
© Riproduzione riservata

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