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La riforma in Friuli Venezia Giulia e l’ansia del “fare”

19 GEN - Gentile direttore,
nei capitoli iniziali  del romanzo "Roma" di Emile Zola,  è  possibile trovare delle risposte, anche se parziali, a quanto sta accadendo globalmente. Molteplici, infatti, sono i concetti, approfonditi dallo scrittore francese, che richiamano l’attuale situazione mondiale.Ad iniziare dal pericolo corrente di smantellamento dello Stato Sociale quale risposta alla disastrosa crisi economica in corso.
 
E, a tal proposito, viene da chiedersi: si tratta di un ritorno al passato, con il fine di sopravvivere? O si tratta, forse, del riacutizzarsi di vecchi egoismi, che traggono la loro linfa vitale dalla differenza tra ricchi e poveri, tra sfruttatori e sfruttati, tra chi ha e chi vorrebbe avere?
 
Qualunque sia la risposta, è inevitabile constatare quanto la scarsità culturale e morale del nostro apparato politico (e, più in generale, burocratico) rendano impraticabile l’interpretazione di un ruolo attivo da parte dei professionisti della salute, quelli che il Dottor Nino Cartabellotta (Presidente e Direttore scientifico della Fondazione GIMBE), con una interessante metafora, definisce spettatori innocenti e, io aggiungo, conniventi.
 
Ne è dimostrazione l’aspro conflitto che vede coinvolti Stato e Regioni che, al di là degli annunci sulla intoccabilità dell'art. 32 della Costituzione,  è foriero di una profonda revisione dei concetti di equità ed universalità.
 
In Friuli Venezia Giulia, regione che rappresenta un laboratorio politico in materia di sanità, stiamo attraversando momenti di grande difficoltà, nel fermo tentativo di adoperarsi per assicurare una sanità pubblica di livello, con risorse molto scarse, per dimostrare che si può fare (ma non si può!), mentre stanno prendendo sempre più piede iniziative private, fino ad ora sempre state marginali nella nostra Regione.
 
Personalmente, non voglio condannare integralmente la Riforma Sanitaria; diversi, infatti, sono i punti che mi trovano concorde, ad iniziare dalla necessità di un profondo cambiamento dell'organizzazione delle cure primarie. In particolare, sono un sostenitore della medicina di iniziativa. Concordo sul fatto  che i medici di famiglia non sono tutti equiparabili e, a tal proposito, sono convinto che la formazione andrebbe rivista, in un’ottica di maggior omogeneità ed esaustività. Inoltre, molte delle novità, previste nella riforma  delle cure primarie, sembrano pensatenell'ottica di un medico di famiglia dipendente  (ed io dico, ben venga!), ma a basso costo.
 
Insomma, si è cercato di conciliare giuste esigenze di cambiamento, anche culturalmente difficili, con una scarsa sensibilizzazione e con un minimo  investimento (a mio avviso, con disinvestimento) economico, creando  scenari di sotto-occupazione  medica e di scarsa qualità e quantità dei servizi erogati; e, così, la politica, nascondendosi dietro gli artifizi  semantici e dialettici del FARE  a tutti i costi, ha sacrificato il fare le cose giuste  e, in alcuni casi, il principio di equità.
 
In Friuli Venezia Giulia, ad esempio, si è proceduto a riformare le strutture ospedaliere, senza prima preparare il territorio a questo cambiamento epocale; un passaggio che, a mio avviso, doveva essere effettuato in senso contrario. Ed, invece, il territorio,  che sarebbe dovuto essere il punto di partenza del cambiamento, si trova attualmente a vivere una situazione nettamente peggiore rispetto a quella di un anno  fa, facendo pagare ai cittadini il peso di questa riorganizzazione. Quest’ultima, infatti, non può essere portata avanti senza investimenti seri  in termini di formazione, 
comunicazione, infrastrutture, di personale sanitario (si pensi solamente a quanti giovani medici vivano, da anni, di contratti a tempo determinato).
 
Si tratta di una situazione difficile ed indifendibile. Per questo, auspico una sanità migliore e sostenibile, contrassegnata da un abbattimento dei costi ma, simultaneamente, senza la perdita degli eccezionali livelli di qualità che la caratterizzano. Al momento, purtroppo, resto però perplesso davanti a scelte politiche, di dubbia utilità, poco trasparenti  e che non sempre  capisco.
 
Concludo con l’immagine sportiva del “surplace”, di cui riporto la definizione tratta da Wikipedia: “il surplace (dal francese sur place, "sul posto") è una tecnica, che permette di rimanere fermi in equilibrio sulla bicicletta, in attesa del momento migliore per attaccare e sorprendere l'avversario”. Un’immagine che, a mio avviso, ben si addice alla sanità attuale, dove Stato e Regioni stanno giocando una partita politica sulla " pelle " dei cittadini . 
Dr. Mario Da Porto
Membro effettivo  comitato aziendale AAS4 Friuli centrale
Membro di diritto UDMG Udine 

19 gennaio 2016
© Riproduzione riservata

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