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Veneto. Stop ai trasferimenti per anzianità: i disabili potranno restare nel loro ambiente anche dopo i 65 anni

Un provvedimento della Giunta prevede che quando i disabili invecchiano potranno rimanere nelle strutture che li ospitano: solo se le loro condizioni psicofisiche non saranno più compatibili con l’assistenza offerta dalla comunità alloggio o dalla struttura ospitante verranno accolti da una residenza per anziani non autosufficienti.


19 FEB - “Vogliamo superare la vecchia regola che stabiliva che al compimento del 65° anno di età la persona disabile dovesse essere trasferita in una struttura per anziani. Non ci sembrava ragionevole allontanare dal loro contesto di vita persone disabili che hanno ancora discrete potenzialità di autonomia e di relazione, né sovraccaricare i centri per non autosufficienti dell’incarico di accogliere persone che hanno sì bisogno di assistenza, ma manifestano bisogni e attitudini ben diverse da quelle di un ultraottantenne affetto da un mix di patologie croniche”.

Così l’assessore al sociale della Regione Veneto Manuela Lanzarin ha spiegato le ragioni di un provvedimento adottato dalla Giunta che cambia le regole dell’assistenza per i disabili anziani.

Il provvedimento, che verrà sperimentato per un anno, stabilisce che quando i disabili invecchiano potranno rimanere nelle strutture che li ospitano: solo se le loro condizioni psicofisiche non saranno più compatibili con l’assistenza offerta dalla comunità alloggio o dalla struttura ospitante, verranno accolti da una residenza per anziani non autosufficienti.

Nei fatti, dunque, la Regione crea un doppio canale, che sarà supportato da una valutazione multispecialistica e multidisciplinare per le persone disabili in prossimità del loro 65° anno, in modo da stabilire quale sia la struttura o il servizio più idoneo per loro, sulla base dei loro bisogni e potenzialità.

Il provvedimento interessa quasi mille disabili over 65, dei quali un centinaio assistiti nei centri diurni,  590  nelle residenze protette  del Veneto e 239 a domicilio, con l’assegno di cura domiciliare.

Per ognuno di loro l’Unità di valutazione multidimensionale distrettuale (UVMD)  andrà a verificare quale possa essere la soluzione ottimale(se la prosecuzione nella struttura che già li ospita, oppure la casa di riposo) nel rispetto di un progetto personalizzato di cura, senza aggravi economici per le famiglie o i comuni. “Ci sembra una scelta di civiltà non spezzare arbitrariamente legami e reti sociali che si sono create negli anni”, aggiunge Lanzarin. “Nel contempo, aprendo questo duplice percorso, evitiamo di accomunare tipologie diversi di assistiti nel medesimo contesto, solo in virtù del criterio anagrafico dell’invecchiamento. Il principio-guida che abbiamo adottato è quello dell’accomodamento ragionevole in funzione dell’età’”.

La platea delle persone potenzialmente interessate dalla sperimentazione è di almeno 2 mila persone, considerando il numero delle persone disabili tra i 55 e i 65 anni attualmente accolte in comunità alloggio, residenze o nuclei protetti, centri diurni e progetti di assistenza domiciliare.

“In prospettiva, la sperimentazione a cui diamo avvio – anticipa l’assessore - potrà rendere le comunità alloggio e le strutture per disabili centri di riferimento per i progetti del ‘dopo di noi’, cioè di quel percorso di presa in carico totale delle persone disabili, quando genitori e parenti vengono a mancare”.

19 febbraio 2018
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