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Pfas. I medici per l’ambiente replicano alla Regione Veneto: “Dopo 6 anni ancora troppe persone esposte”

Prosegue la querelle tra i medici dell'Isde e la Regione. “A distanza di 6 anni, buona parte della popolazione nelle zone maggiormente contaminate è ancora esposta a concentrazioni significative e potenzialmente tossiche di queste sostanze presenti nell’acqua potabile, non essendo questa adeguatamente filtrata”

di Vincenzo Cordiano
25 GEN - Gentile Direttore,
il comitato direttivo di Isde  Veneto, a nome del quale scrivo, le chiede di pubblicare le seguenti osservazioni sulle “precisazioni” dell’ufficio stampa della giunta regionale del Veneto, contenute nell’articolo del 17/01/2010 dal titolo  “PFAS. Per i medici ambientali in Veneto uno tra le più gravi emergenze per salute ambiente. Botta e  risposta con la Regione”. [1]
 
Premesso che non è nostra abitudine polemizzare con chiunque, né tantomeno con la Regione Veneto, intendiamo ribadire le nostre posizioni e le nostre richieste su alcuni punti che consideriamo critici ai fini della corretta valutazione da parte dei suoi lettori  del disastro ambientale e sanitario causato dalla pluridecennale immissione incontrollata nell’ambiente delle PFAS. Tale immissione, è necessario ricordarlo, secondo l’azienda incriminata è sempre stata autorizzata dalla Regione Veneto e dalle amministrazioni politiche e sanitarie locali succedutesi nel corso degli anni.
 
Nella conferenza stampa tenuta il 16 gennaio scorso presso la Camera dei Deputati [2], né nel nostro position paper o altro documento ufficiale,  ISDE ha mai accusato la Regione Veneto di “non aver raccolto e messo a disposizione dati scientifici”.
 
Per quanto riguarda gli studi compiuti dalla regione Veneto nella zona contaminata da PFAS, la critica è, invece,  di non averli pubblicati su riviste scientifiche per-reviewed, ma solo sul sito istituzionale della Regione stessa e soltanto in lingua italiana. Tale  richiesta è stata avanzata, prima che da noi, dal professor Tony Fletcher e dagli altri consulenti della Procura di Vicenza, tutti dell’Istituto superiore di sanità, nel processo in corso alla Miteni SpA, la multinazionale accusata di aver provocato il disastro ambientale in Veneto.
 
Il professor Tony Fletcher, ricordiamo,  fu proposto dalla nostra società scientifica per prima  alla regione del Veneto come consulente indipendente per la gestione del disastro ambientale da PFAS. Fletcher e gli altri consulenti nel rapporto per la procura di Vicenza così si esprimono: “è della massima urgenza avviare un appropriato progetto epidemiologico” dal momento che “l’evidenza epidemiologica sull’episodio di contaminazione da PFAS nella Regione Veneto, basata sui sistemi informativi sanitari utilizzati, e oggetto di pubblicazione in una rivista scientifica peer-reviewed in un solo caso (il riferimento è al nostro studio ISDE-ENEA)[3]non è adeguata per inferire rapporti causali tra esposizione a PFAS nell’acqua potabile ed effetti dannosi  sulla salute”.
 
E i consulenti d’ufficio della procura di Vicenza, rispondendo ad uno dei quesiti posti dal giudice concludono: “Per la valutazione dell’entità effettiva degli effetti della esposizione a PFAS è raccomandato un adeguato studio epidemiologico sulla popolazione del Veneto esposta, in aggiunta alla sorveglianza sanitaria (in corso sotto il coordinamento della Regione del Veneto)”.
 
La richiesta inoltre è stata reiterata dalla dottoressa Eugenia Dogliotti, direttore del dipartimento ambiente e salute dell'Istituto superiore di sanità,   la quale nel corso della sua audizione in Parlamento il 17 luglio 2019 affermò[4]: ”non è stato mai disegnato uno studio epidemiologico non di tipo ecologico-descrittivo, quello che hanno fatto fino adesso… la ricerca scientifica… potrebbe veramente ottenere dei risultati molto importanti. È l'unico caso, io direi, in cui c'è un marcatore di dosi interna inequivocabile.” E alla richiesta di chiarimenti su cosa impedisca di condurre un siffatto studio la dottoressa Dogliotti rispose: ”Lo impedisce il fatto che non è mai partito, per esempio, uno studio di coorte residenziale. Noi l'abbiamo proposto nel 2017. Non è mai partito. Abbiamo avuto diverse interrogazioni parlamentari su questo punto. Si tratta di uno studio di coorte residenziale che associa il marcatore di dose interna e l'esposizione ambientale con l'effetto sanitario.”
 
E,  sempre allo stesso parlamentare che chiedeva se dovesse  essere  la regione Veneto a  deciderlo, la dottoressa Dogliotti rispose: “Nel 2017, abbiamo partecipato a un workshop che doveva disegnare questo studio. Ha partecipato anche la IARC, l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, e anche Tony Fletcher, il coordinatore dello studio del C8. Siamo andati abbastanza avanti con la programmazione del disegno dello studio fino a che è stato tutto interrotto”.
 
Sempre nel corso della stessa audizione, un altro parlamentare ricordò come la Regione Veneto con delibera di giunta regionale n. 661 del 17 maggio 2016 avesse “…deliberato l'affidamento dell'incarico all'Istituto superiore di sanità della realizzazione di uno studio epidemiologico osservazionale di coorte e al servizio epidemiologico regionale di uno studio epidemiologico retrospettivo sulla popolazione esposta ai PFAS” e come  quella delibera fosse stata disattesa. Pertanto, ISDE reitera ancora una volta, utilizzando le parole della dottoressa Dogliotti, la richiesta di uno studio “non descrittivo, ma su una coorte residenziale, per cui si possa associare per ogni residente l'esposizione esterna, la dose interna e l’outcome”.
 
È vero che il registro tumori del Veneto ha condotto uno studio retrospettivo sull’incidenza dei tumori nella zona ad alta contaminazione che, al pari degli altri, non è stato sottoposto al vaglio della comunità scientifica internazionale.
 
Questo studio è stato oggetto di critiche   da autorevoli studiosi nel corso di un convegno scientifico tenuto presso l’ordine dei medici di Vicenza nell’ottobre 2017, per la scarsa numerosità del campione esaminato, il periodo troppo breve dello studio e gli intervalli di confidenza troppo ampi, che, comunque  non permettono di escludere un’aumentata incidenza di alcuni tumori. Inoltre, i risultati di questo studio non concordano con quelli di un altro condotto dal servizio epidemiologico regionale del Veneto, che negli anni 1997-2014  ha osservato un aumento dell’86% delle orchiectomie per cancro al testicolo nel comune di Lonigo in provincia di Vicenza, il Comune i cui residenti hanno la più elevata concentrazione media di PFOA nel sangue. Ricordiamo che il PFOA è la sola molecola, fra le oltre 4700 PFAS note, ad essere stata classificata come possibile cancerogena, e che il cancro al testicolo è uno dei due tipi di tumori, l’altro essendo il cancro del rene, a essere  stato  associato all’esposizione a PFAS. Nessuna delle istituzioni coinvolte si è mai espressa su tale discordanza.
 
ISDE sostiene  ancora una volta la necessità  che siano effettuati studi adeguati anche su neonati e bambini, sulle donne gravide e sugli anziani. In particolare, ISDE ritiene urgente l’avvio  dello studio epidemiologico di approfondimento degli esiti-materno fetali, come auspicato dagli stessi autori del Registro Nascite – Coordinamento Malattie Rare, coordinati dalla professoressa Paola Facchin.
 
Secondo i dati contenuti nel Registro, si è verificato  un preoccupante aumento degli outcome materno-fetali avversi, aumento ancora persistente nell’area contaminata, nonostante i provvedimenti attuati dalle istituzioni. I risultati di questi studi, più volte promessi da funzionari della Regione, sarebbero utili alla comunità scientifica “per inferire rapporti causali tra esposizione a PFAS nell’acqua potabile ed effetti dannosi  sulla salute “e ai cittadini che volessero far valere le loro ragioni nelle aule dei tribunali.
 
Quelli che l’ufficio stampa della giunta regionale del Veneto definisce per la prima volta “Rapporti Epidemiologici” sono semplicemente “Bollettini” contenenti resoconti molto utili per comprendere la gravità del disastro ambientale e sanitario in atto, ma inutilizzabili a fini di ricerche epidemiologiche. Noi, rivendichiamo di essere stati i primi, già nel settembre 2013, ad aver richiesto il disegno e la conduzione di studi epidemiologici di qualità e potenza statistica elevate, analoghi a quelli condotti sulla popolazione dell’Ohio contaminata dalla DuPont. Al contrario di quanto avvenuto finora in Veneto, i risultati degli studi compiuti negli USA sono stati  tutti pubblicati su riviste internazionali peer-reviewed.
 
ISDE non ha mai accusato le istituzioni di non aver raccolto dati scientifici sulla presenza delle PFAS negli alimenti. La richiesta avanzata da noi e da altre associazioni è, in realtà,  di pubblicare anche  i dati relativi alla georeferenziazione dei campioni esaminati, in modo che i consumatori possano conoscere la zona di provenienza degli alimenti vegetali e animali acquistati, e che siano pubblicati tutti i dati, anche quelli relativi all’uva e al vino.
 
Non corrisponde al vero l’affermazione dell’ufficio stampa della giunta regionale del Veneto che nella regione sia stato fissato un limite zero per le PFAS nelle acque potabili. In realtà il limite regionale è di 90 ng/litro per la somma di PFOA e PFOS e di 300 ng/litro per le altre PFAS cercate (una dozzina sulle 4700 totali).
 
I lavori per la posa in atto dei nuovi acquedotti procedono con enorme ritardo, tanto che la stessa giunta regionale del Veneto ha deciso recentemente di prorogare i termini della costruzione di tali infrastrutture.
 
A distanza di 6 anni, buona parte della popolazione nelle zone maggiormente contaminate è ancora esposta a concentrazioni significative e potenzialmente tossiche di queste sostanze presenti nell’acqua potabile, non essendo questa adeguatamente filtrata. Nel 1976, in seguito ad un analogo episodio di contaminazione delle  stesse falde acquifere da parte della stessa ditta, allora denominata RIMAR (Ricerche Marzotto),  i nuovi acquedotti furono costruiti in sei mesi. l’erogazione dell’acqua potabile fu sospesa   la popolazione fu rifornita con autobotti.
 
Il  position paper di ISDE Veneto sulle PFAS, approvato dal comitato scientifico nazionale della nostra è chiaramente ispirato al caso Veneto,  ma si applica nelle sue conclusioni e richieste a tutto il Paese, data la natura globale di questi contaminanti persistenti, tossici e bioaccumulanti negli organismi superiori.
 
Vincenzo Cordiano
Presidente ISDE Veneto

Riferimenti
1. Pfas. Per i medici ambientali in Veneto “una tra le più gravi emergenze per salute e ambiente”. Botta e risposta con la Regione - Quotidiano Sanità
2. Pfas, presentazione position paper Isde alla Camera dei Deputati 
3. Mastrantonio M, Bai E, Uccelli R, Cordiano V, Screpanti A, Crosignani P. Drinking water contamination from perfluoroalkyl substances (PFAS): an ecological mortality study in the Veneto Region, Italy. Eur J Public Health
4. Audizione del direttore del dipartimento ambiente e salute dell’Istituto superiore di sanità, Eugenia Dogliotti. Seduta n. 36 di Mercoledì 17 luglio 2019

25 gennaio 2020
© Riproduzione riservata

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