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Odontoiatria. La giurisprudenza creativa del Tar Veneto

di Renato Mele
02 OTT - Gentile direttore,
il Tar veneto ha detto la sua con la recente sentenza 822. “Le attività riconducibili alle cure canalari, alle devitalizzazioni, alle estrazioni dentarie ed agli interventi di piccola chirurgia ambulatoriale (es. otturazione di un dente) non possono che essere considerate invasive e pericolose per la salute o sicurezza del paziente e quindi richiedono una specifica autorizzazione” da parte dell’Azienda sanitaria locale per il tramite del Comune.
 
Ha salvato da obblighi autorizzativi la sola igiene orale. Inoltre ha affermato che spetta alla regione individuare i requisiti per il rilascio dell’autorizzazione: la legge 22 veneta definisce invasive e/o comportanti rischi per il paziente ai sensi della legge 502 tutte le pratiche effettuate in strutture che svolgono assistenza ambulatoriale e una delibera successiva ci mette i locali dove il dentista eroga prestazioni odontostomatologiche.
 
Il sillogismo è servito: le regioni sono libere di stabilire se il dentista vada o no autorizzato, lo dice la legge nazionale (anche se non è proprio così)! Non è tutto. Poiché il ricorrente fa chirurgia invasiva, per il fatto stesso di definirsi medico chirurgo, afferma il giudice del Tar, la sua attività va sempre autorizzata. E non con il silenzio-assenso, escluso per simili situazioni dalla legge sugli atti amministrativi 241/90, ma con richiesta e assenso scritto!
 
Non è la prima volta che il TAR veneto, unico nel panorama italiano, esprime questo giudizio. Ce ne fu uno di tenore simile nel 2015 (la 730) e l’avvocato Stefanelli espresse non poche perplessità, ricordando anche che comunque non fanno giurisprudenza. E disse giustamente anche che “…la valutazione sulla complessità delle prestazioni odontoiatriche è puramente clinica e non può essere affidata ad un magistrato…”. Per fortuna sono ben più numerosi i casi in tutta Italia in cui la magistratura ordinaria ha disposto diversamente e con argomenti ben più solidi.
 
In questo caso, invece, siamo veramente alla giurisprudenza creativa, con argomentazioni che cozzano violentemente con il buon senso e quindi presumo godranno di poca credibilità nei prossimi giudizi. E per fortuna, perché altrimenti ci potrebbero essere gravi conseguenze per tutti noi. L’affermazione che la semplice scritta sulla targa “medico chirurgo” è sinonimo di pratiche invasive è la perfetta rappresentazione di ignoranza della medicina. Ma è anche l’anticamera di esose richieste amministrative nei confronti di tutti i colleghi non odontoiatri che non sono ad esse sottoposti e che potrebbero incolparci di aver contribuito a diffondere questa estensione impropria dell’obbligo.
 
Per contro, i laureati in odontoiatria che offrono analoghe prestazioni sarebbero dispensati dall’iter autorizzativo, visto che non hanno la targa di medico chirurgo? E le igieniste, spesso considerate avversarie invece che collaboratrici, non avrebbero alcuna incombenza, visto che praticano attività “circoscritta alla sola igiene orale”, al contrario degli odontoiatri? Per non parlare dei problemi medico-legali che potrebbero sorgere ove il paziente mettesse in correlazione suoi guai sopravvenuti a presunte attività “invasive”, quali sono state definite otturazioni e cure canalari.
 
Al di là di considerazioni che non tengono conto di dati scientifici (e anche di dati statistici), la sentenza 822 trova nel suo finale il massimo dell'assurdo quando dice che appare giustificato il diniego all’autorizzazione dell’attività di odontoiatra adottato dal Comune perché il collega si rifiutava di chiederla.
 
Dottor Renato Mele
Odontoiatra libero professionista

02 ottobre 2016
© Riproduzione riservata

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