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Cure domiciliari Covid. Il Consiglio di Stato chiude la partita e dà ragione al Ministero della Salute


Il Consiglio di Stato, dopo aver sospeso lo scorso 19 gennaio con un decreto monocratico la sentenza del Tar Lazio che aveva annullato la circolare ministeriale, pubblica oggi la sentenza con la quale viene definitivamente respinto il ricorso presentato da alcuni medici promotori di cure domiciliari contro il Covid. Le indicazioni terapeutiche pubblicate dal Ministero della Salute "non contengono prescrizioni vincolanti per i medici e non hanno un effetto precettivo cogente". LA SENTENZA

09 FEB - La circolare del Ministero della Salute in merito alla gestione domiciliare dei pazienti Covid non limita la libertà del medico. A ribadirlo è il Consiglio di Stato che, dopo aver sospeso lo scorso 19 gennaio con un decreto monocratico la sentenza del Tar Lazio che aveva annullato la circolare ministeriale, pubblica oggi la sentenza con la quale viene definitivamente respinto il ricorso presentato da alcuni medici promotori di cure domiciliari contro il Covid.
 
Nella sentenza si spiega come la circolare ministeriale del 26 aprile 2021 si limiti a raccogliere "le indicazioni degli organismi internazionali, i pronunciamenti delle autorità regolatorie e gli orientamenti di buona pratica clinica asseverati dagli studi nazionali ed internazionali, al fine di fornire a tutti gli operatori interessati un quadro sinottico, aggiornato ed autorevole, di riferimento". La sentenza del Tar Lazio ha quindi "travisato la reale portata della circolare ministeriale e delle richiamate raccomandazioni dell’Aifa, che non contengono prescrizioni vincolanti per i medici e non hanno un effetto precettivo cogente".
 
Si spiega infatti che la circolare ministeriale "non impone divieti o limitazioni all’utilizzo di farmaci, bensì si limita ad indicare, con raccomandazioni e linee di indirizzo basate sulle migliori evidenze di letteratura disponibili, i vari percorsi terapeutici, a seconda del ricorrere di specifiche condizioni. La circolare poi consiglia – ma, si ribadisce, di certo non impone – di non utilizzare" determinati farmaci per trattare il Covid a domicilio. Non è mancata un'ulteriore marcata critica alla sentenza del Tar impugnata che, spiega il Consiglio di Stato, "è pervenuta – in modo illogico e contraddittorio rispetto alla premessa del proprio ragionamento – all’opposta conclusione secondo cui il contenuto della nota ministeriale, imponendo ai medici puntuali e vincolanti prescrizioni scelte terapeutiche, si porrebbe in contrasto con l’attività professionale, così come demandata al medico nei termini indicata dalla scienza e dalla deontologia professionale".
 
In questo modo il Tribunale ha trascurato di considerare ancora una volta che le Linee guida "contengono mere raccomandazioni e non prescrizioni cogenti e si collocano, sul piano giuridico, a livello di semplici indicazioni orientative, per i medici di medicina generale, in quanto parametri di riferimento circa le esperienze in atto nei metodi terapeutici a livello internazionale. Ben è libero il singolo medico, nell’esercizio della propria autonomia professionale, ma anche nella consapevolezza della propria responsabilità, di prescrivere i farmaci che ritenga più appropriati alla specificità del caso, in rapporto al singolo paziente, sulla base delle evidenze scientifiche acquisite".
 
Le raccomandazioni contenute nelle Linee guida in ambito sanitario – si pensi alla legge Gelli – rispondono a livello internazionale e nazionale "all’esigenza di individuare una strategia terapeutica comune e condivisa, che consenta al medico di fare proprie le acquisizioni scientifiche e le esperienze cliniche diffuse e condivise, che hanno dimostrato un profilo di efficacia e sicurezza largamente acclarato a livello scientifico nella cura di una patologia, e sono cresciuti di pari passo, come bene è stato osservato, con l’affermarsi della medicina basata sull’evidenza (c.d. evidence based medicine), ma non esimono il medico, anzitutto, dal dovere di costruire una terapia condivisa e ritagliata sulle esigenze del singolo paziente, anche adottando terapie non indicate nelle linee guida o nei protocolli, purché – lo si dirà tra breve – sicure ed efficaci. Quest’ordine di idee viene anche espresso, sul piano tecnico, dal concetto di refutabilità delle linee guida in ambito medico, da intendersi nel senso di non necessaria applicabilità rispetto allo specifico caso clinico per le peculiarità di questo, ed è ovvio che questo concetto, che sul piano giuridico si traduce nella non vincolatività dei protocolli stessi, non può e non deve essere confuso con quello, di cui meglio si dirà, della confutabilità dei protocolli stessi", si legge nella sentenza.
 
"In ciò si manifesta appunto la fondamentale differenza, non colta dal primo giudice, tra le regole deontiche, cogenti sul piano giuridico, e le regole tecniche (o anancastiche), come quelle in esame, dettate con carattere riepilogativo di una certa esperienza, nel passato, e orientativo di un certo comportamento, nel futuro, le quali ultime sono appunto refutabili o superabili dal medico, nel doveroso esercizio della propria autonomia professionale, perché si basano su ragioni determinabili e intersoggettivamente valide per essere costruite sull’esperienza più qualificata, che può essere superata, aggiornata e persino smentita dalle peculiarità del quadro clinico, essendo la giustificazione pratica su cui si fonda la regola pratica sottoponibile, come noto, a controllo empirico", si spiega ancora.
 
Quanto ai possibili risvolti sul piano giudiziario in caso di mancata adesione alle indicazioni contenute nella circolare ministeriale, la sentenza spiega come "lo stesso art. 5, comma 1, della l. n. 24 del 2017 (legge Gelli) prevede che il medico si attenga ad essi, salvo la specificità del caso concreto e il successivo art. 6 ammette l’esclusione della punibilità nel caso in cui l’evento lesivo o mortale in danno del paziente si sia verificato a causa di imperizia del medico quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida, purché queste risultino adeguate alle specificità del caso concreto, ciò che ben si comprende ed appare del resto necessario, e doveroso per il medico, a tutela del singolo paziente quale persona, se si tiene conto di quanto sin qui si è chiarito".
 
Nella sentenza si richiama inoltre il fatto che anche la giurisprudenza della Corte di legittimità "è chiara nell’affermare che il rispetto delle linee guida non può essere univocamente assunto quale parametro di riferimento della legittimità e di valutazione della condotta del medico e nulla può aggiungere o togliere al diritto del malato di ottenere le prestazioni mediche più appropriate né all’autonomia ed alla responsabilità del medico nella cura del paziente e, pertanto, non può dirsi esclusa la responsabilità colposa del medico in riguardo all’evento lesivo occorso al paziente per il solo fatto che abbia rispettato le linee guida, comunque elaborate, avendo il dovere di curare utilizzando i presidi diagnostici e terapeutici di cui al tempo la scienza medica dispone (v., ex plurimis, Cass. pen., sez. IV, 30 settembre 2021, n. 37617)".
 
Tutto questo si traduce quindi nel fatto che il singolo medico, nel prescrivere un farmaco, possa discostarsi dalle Linee guida, senza incorrere in responsabilità (anzitutto penale, come si è visto supra, rammentando gli orientamenti della Cassazione in materia), "purché esistano solide o, quantomeno, rassicuranti prove scientifiche di sicurezza ed efficacia del farmaco prescritto, sulla base dei dati scientifici, pur ancora parziali o incompleti, ai quali possa ricondurre razionalmente il proprio convincimento prescrittivo rispetto alla singolarità del caso clinico".
 
"La prescrizione del farmaco anche nell’attuale emergenza epidemiologica, e tanto più nell’ovvia assenza di prassi consolidate da anni per la solo recente insorgenza della malattia, deve fondarsi su un serio approccio scientifico e non può affidarsi ad improvvisazioni del momento, ad intuizioni casuali o, peggio, ad una aneddotica insuscettibile di verifica e controllo da parte della comunità scientifica e, dunque, a valutazioni foriere di rischi mai valutati prima rispetto all’esistenza di un solo ipotizzato, o auspicato, beneficio - spiega il Consiglio di Stato -. La prescrizione di farmaci non previsti o, addirittura, non raccomandati dalle Linee guida non può dunque fondarsi su un’opinione personale del medico, priva di basi scientifiche e di evidenze cliniche, o su suggestioni e improvvisazioni del momento, alimentati da disinformazione o, addirittura, da un atteggiamento di sospetto nei confronti delle cure “ufficiali” in quelle che sono state definite le contemporanee societés de la défiance, le società della sfiducia nella scienza". E questo perché, come già chiarito dal Consiglio di Stato, "la libertà della scienza non vuol dire anarchia del sapere applicato dal medico al paziente".
 
Giovanni Rodriquez

09 febbraio 2022
© Riproduzione riservata
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