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Responsabilità professionale. Troise (Anaao): “Governo e Parlamento non hanno più alibi”

di Costantino Troise

Svanito l’impegno assunto dal ministro Lorenzin ad utilizzare la legge finanziaria quale strumento di accelerazione, come aveva fatto lo scorso anno per le competenze infermieristiche con il famigerato comma 566, ci attendiamo da Governo e Parlamento un impegno temporale preciso, analogo a quello assunto per la legge sui diritti civili

08 SET - Gentile Direttore,
nel momento in cui la legge sulla responsabilità professionale inizia (speriamo sia la volta buona!!) il suo iter parlamentare, come un bambino che comincia a gattonare a 2 anni, non appaia fuori luogo riepilogare le posizioni che, in merito, l’Anaao Assomed, insieme con le altre organizzazioni sindacali dei Medici e della dirigenza sanitaria, sostiene da tempi non sospetti, fino a farne un punto fermo di ogni rivendicazione.
 
La parola d’ordine “vogliamo essere trattati come i giudici”, che comincia a risuonare anche dalle pagine di QS, coglie un aspetto centrale della questione, non solo perché il diritto dei medici a curare con serenità non è inferiore a quello dei magistrati a giudicare con serenità, ma anche perché si tratta di professioni chiamate a garantire la esigibilità di diritti dei cittadini costituzionalmente tutelati. Entrambe, in sostanza, caratterizzate da una attività, alla quale non è possibile sottrarsi, che ha in sé valori e finalità sociali. Difficile spiegare, ed accettare, la disparità di trattamento rispetto allo stesso problema.
 
La patologia della situazione italiana non è data tanto dal numero di sinistri denunciati, che andrebbe rapportato alla quantità di prestazioni annualmente erogate, comunque paragonabile a quello della Germania,  quanto da altri fattori che provo ad elencare:
 
1 - il numero elevato di denunce che arrivano in tribunale, anche sotto il profilo penale. Non dimentichiamo che l’Italia è, insieme con Messico e Polonia, un Paese colpevolmente privo di un inquadramento specifico della colpa sanitaria che tenga conto delle finalità sociali, ed umanitarie, dell’atto medico.
 
2 - il name, blade e shame come unica via di ristoro di eventi indesiderati, comunque non sempre riconducibili alla categoria dell’errore o della colpa, essendo spesso non prevedibili e non prevenibili, con l’aggravante di un by pass mediatico che trasforma l’indagato in imputato e condannato prima che entri nelle aule dei tribunali, facendogli scontare una pena senza la sentenza (che non di rado è di assoluzione).
 
 
3 - il livello dei risarcimenti che, in una spirale viziosa, alimenta comportamenti opportunistici di monetizzazione del dolore, favorito,a differenza di quanto accade in Europa, dalla mancanza di tetti e/o tabelle che consente alla discrezionalità dei giudici la moltiplicazione per 10 del valore del danno iatrogeno rispetto a quelli analoghi ma di diversa etiologia.
 
4 - il fine pena mai per i reati sanitari, che sono, di fatto, gli unici per i quali non esiste la prescrizione .
 
 
5 - la rivalsa piena a carico dei dipendenti in caso di colpa grave.
 
6 - la assenza della politica che ha lasciato campo aperto alla magistratura ed al suo animus adiuvandi che, negli ultimi 20 anni, ha costruito regole, nel vuoto delle leggi, tutte a sfavore dei medici, fino a creare la responsabilità contrattuale da contatto.
 
 
7 - il paradosso di una legislazione che obbliga i medici ad assicurarsi ma non le compagnie di assicurazione a stipulare le polizze, se non a costi esosi che il Governo si guarda bene dal calmierare.
 
8 - la assenza di politiche di prevenzione del rischio che non siano inficiate dalla ossessione della riduzione dei costi.
 
 
Occorre avere il coraggio di passare, come in Francia e Scandinavia, dove i costi amministrativi per gestire un sinistro sono in media pari a 700 euro e la assicurazione del medico costa 70 euro al mese, ad un sistema no fault che indennizza il danno a prescindere dalla individuazione di un colpevole. E trovare modalità di composizione del contenzioso in corsia. Sia per questioni di costi diretti (ormai vicini al miliardo all’anno) ed indiretti (incalcolabili, al di là della stima fantasiosa dei 15 mld legati alla medicina difensiva), sia perché si avvicina a grandi passi la medicina omissiva che costringerà i cittadini a pagare, e pagare caro, anche il coraggio ed il rischio dell’operatore.
 
La riforma che la categoria attende attraversa, sostanzialmente, queste linee e deve mirare a riportare il rapporto medico-paziente in un ambito di alleanza, e non di diffidenza conflittuale, consapevole del fatto che in medicina il rischio di eventi indesiderati non è eliminabile ma solo riducibile. Anche attraverso la necessaria attenzione ai contesti organizzativi, responsabili di circa l’80% degli eventi avversi, specie in tempi di deregulation nella gestione delle risorse umane.
 
Svanito l’impegno assunto dal ministro Lorenzin ad utilizzare la legge finanziaria quale strumento di accelerazione, come aveva fatto lo scorso anno per le competenze infermieristiche con il famigerato comma 566, ci attendiamo da Governo e Parlamento un impegno temporale preciso, analogo a quello assunto per la legge sui diritti civili.
 
Perché il medico oggi è più solo, schiacciato tra codici diversi e spesso conflittuali, e l’atto medico più fragile. Ed il suo ruolo e la sua passione civile potrebbero venire silenziati da una marea di “basta”, che contribuirebbe a minare, al pari dei fattori economici, la sostenibilità di un servizio sanitario pubblico e nazionale. Il problema della responsabilità professionale esige un nuovo equilibrio ed una soluzione soddisfacente per tutti gli attori coinvolti, garantendo ai cittadini un indennizzo equo in tempi rapidi, aumentando la sicurezza delle cure, restituendo ai professionisti quella serenità che è un prerequisito per svolgere al meglio un mestiere difficile.
 
Costantino Troise
Segretario Nazionale Anaao Assomed

08 settembre 2015
© Riproduzione riservata

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