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1 maggio. Per gli operatori della sanità una festa dei lavoratori amara: “C’è poco da festeggiare, non chiamateci eroi e ridateci invece i nostri diritti”


Per il presidente della Fnomceo, Anelli i medici da eroi della pandemia sono diventati vittime di gogne mediatiche, di aggressioni e del loro stesso lavoro con turni massacranti e diritti contrattuali negati. “I lavoratori del comparto sanità, sia pubblici che privati, hanno pagato il conto della crisi, tra precariato dilagante e tagli camuffati ai fondi contrattuali” il j’accuse del segretario generale della Fials Carbone, che sarà domani in piazza Plebiscito a Napoli

30 APR - Turni massacranti, diritti contrattuali negati o fatti apparire come concessioni o privilegi, e un precariato dilagante. C’è poco da festeggiare per i lavoratori della sanità: il loro 1 maggio non assume i contorni di una festa: da eroi della pandemia sono diventati vittime di gogne mediatiche, di aggressioni e del loro stesso lavoro.
 
“Un primo maggio amaro” l’ha così definito Filippo Anelli presidente della Fnomceo. Sulla stessa linea Giuseppe Carbone, segretario generale della Fials: “Se il primo maggio è la festa del lavoro, c'è davvero poco da festeggiare con un milione di occupati in meno rispetto a prima della pandemia e la crisi economica che ha approfondito le povertà già esistenti”.
 
“Non ci è mai piaciuta la narrazione dei medici eroi – ha spiegato Anelli– anche se molti colleghi hanno dimostrato di esserlo davvero, durante la pandemia. Non ci piace, perché fallace: da un eroe ci si aspetta che sia invincibile, immortale, e questo diventa quasi un pretesto per chiedergli l’impossibile, sino a pretendere che rinunci ai suoi diritti di uomo, di cittadino, di lavoratore. Al diritto alla salute, alla sicurezza, alla vita, persino; a quello del rispetto delle norme contrattuali e a una giusta remunerazione; e, ultimo ma non per importanza, a quello alla serenità e alla dignità”.
 
“È per questo che non possiamo rimanere indifferenti di fronte ai diritti negati – argomenta -. Di fronte ai turni massacranti, agli straordinari non retribuiti, alle ferie non concesse, alle maternità procrastinate sine die, alle remunerazioni non commisurate al lavoro. Alle carenze di personale, che costringono ad esempio gli stessi anestesisti ad assistere, nelle rianimazioni, i malati di Covid e, nel contempo, i pazienti che si sottopongono a interventi chirurgici. Alle carenze nella sicurezza, che è diritto fondamentale di ogni lavoratore e presupposto della sicurezza delle cure”.
 
Anelli cita quindi attacchi mediatici avvenuti in questi giorni, rimproveri ai medici che non visitano i pazienti Covid perché non sono messi in condizioni di sicurezza: “Il Giuramento di Ippocrate ha grandi significati, ma purtroppo non è un dispositivo individuale di protezione: non si può chiedere, come atto dovuto, a un medico di mettere a rischio la sua vita solo perché le istituzioni non hanno previsto protocolli e sistemi organizzativi per proteggerli. Pochi giorni fa, a Bari, un collega - che non ha voluto poi denunciare il fatto - è stato minacciato con un coltello, da un paziente convinto che non volesse vaccinarlo. Il collega, come molti di noi, era rimasto senza vaccini, che arrivano a singhiozzo e in quantità limitate”.
 
“E le istituzioni rispondono, anziché con la solidarietà e con atti concreti, con indagini e ispezioni che paiono più dimostrative che efficaci. Tutto questo è ingiusto, è inaccettabile: chiediamo rispetto – aggiunge Anelli – rispetto per i 358 colleghi che hanno perso la vita; per tutti quelli che si sono contagiati; per tutti i 455mila medici e odontoiatri che non si non si sono tirati indietro prima, di fronte a un virus sconosciuto, e che non si tirano indietro ora, di fronte a una campagna vaccinale senza precedenti.E allora l’augurio è che, dalle Istituzioni, arrivino questi segni tangibili di vicinanza. Che sia garantita la sicurezza sul lavoro: perché un medico stanco, spaventato, sottoposto a pressioni di ogni tipo non riesce ad assicurare prestazioni al top. Che, per lo stesso motivo, sia restituita serenità ai professionisti. Per questo Primo Maggio chiediamo una sola cosa: non chiamateci eroi; ridateci i nostri diritti”.
 
Va giù duro anche Giuseppe Carbone, segretario generale della Fials, che domani mattina sarà in piazza del Plebiscito a Napoli per un event organizzato dalla Confsal (Confederazione Generale Sindacati Autonomi Lavoratori) dal titolo “Giornata del Lavoro per la Ripresa e la Rinascita”.
“Se il primo maggio è la festa del lavoro – ha dichiarato – c'è davvero poco da festeggiare con un milione di occupati in meno rispetto a prima della pandemia e la crisi economica che ha approfondito le povertà già esistenti. Anche i lavoratori del comparto sanità, sia pubblici che privati – ha aggiunto – hanno pagato il conto della crisi, tra precariato dilagante e tagli camuffati ai fondi contrattuali. Troppo spesso incerti sul loro futuro e ancora trattati come prestatori d'opera 'usa e getta'. Durante questo interminabile anno di emergenza, il sindacato ha assistito a situazioni limite, dove i diritti di coloro che tutti hanno definito eroi sono stati più volte calpestati e vilipesi. Ma è giunta l'ora di un segnale forte con un rinnovo contrattuale che riconosca loro professionalità, competenze e relativi sviluppi di carriera in linea con gli altri paesi europei. Ad attenderlo 550mila operatori sanitari stremati da 14 mesi di Covid”.
 
Carboni ricorda chi gli operatori sanitari non hanno avuto un momento di tregua da oltre un anno “vivendo un quotidiano drammatico in strutture per la maggior parte sotto organico e dovendo supplire in prima persona a carenze organizzativo-gestionali pregresse”. Si tratta di categorie di lavoratori con turnistica h24, sette giorni su sette, sempre in prima linea. L'emergenza li ha travolti, all'inizio sequestrando persino la loro vita personale e mettendone a repentaglio la vita, ma ancora oggi li tiene sotto pressione. È al loro alto senso del dovere, portato alle estreme conseguenze dalla condizione di esposizione al virus, che dedichiamo questa giornata - conclude Carbone - non dimenticando gli applausi tributati dai balconi, né i loro volti sfigurati dalle mascherine. Sempre memori degli oltre 110mila sanitari contagiati e delle centinaia di vittime lasciate sul campo”.

30 aprile 2021
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