“Nel corso dell’emergenza Covid il Lazio è stato visto come un modello a livello nazionale ma anche a livello europeo. È un modello che intendo riproporre in tutti i settori della vita amministrativa regionale”.
Alessio D’Amato, assessore regionale uscente e candidato di centrosinistra e Terzo Polo alla presidenza della Regione Lazio, ha vissuto in prima fila la lunga stagione del Covid e soprattutto i primi difficili momenti di gestione della pandemia e rivendica con forza la bontà della gestione nel Lazio. Dall’altro lato sa che per vincere la sfida elettorale i cittadini si aspettano risposte sui temi attualmente più urgenti della sanità, a cominciare dalle liste di attesa dove D’Amato pensa a una strategia su tre livelli: riforma della sanità territoriale, diagnosi di primo livello in farmacia o dai medici di famiglia e rinnovo del parco tecnologico per la diagnostica. La sua gestione è stata caratterizzata dalla fine del commissariamento e dunque anche dallo stop al blocco del turn over, ma la carenza di personale continua ad essere una spina del fianco per la sanità laziale.
Assessore, qual è la sua ricetta per diminuire i tempi di attesa per le prestazioni?
La carenza di professionisti è uno dei grandi nodi da risolvere. Cosa si può fare nel breve periodo?
Il Lazio negli ultimi anni ha reclutato oltre seimila unità di personale e secondo i dati di Banca d’Italia è la Regione italiana che ha reclutato di più, quasi il doppio della media nazionale. C’è da dire che noi veniamo da una lunga stagione di blocco del turnover che è una delle misure contenute nel commissariamento. Dobbiamo proseguire questo reclutamento e rafforzare la componente infermieristica, la figura dell’infermiere sarà centrale in tutte le attività che riguarderanno la rete di prossimità e l’assistenza domiciliare integrata.
Anche nel Lazio purtroppo ogni giorno è un bollettino di guerra con tanti operatori sanitari aggrediti…
Abbiamo vissuto un lungo periodo in cui lo Stato è regredito rispetto ai presidi all’interno delle strutture sanitarie. Questo è stato negativo. C’è adesso un impegno del ministro dell’Interno Piantedosi a insediare i presidi di pubblica sicurezza all’interno degli ospedali, questo è un fatto importante. Quello che dico è che però dev’essere fatto h24, attualmente l’impegno assunto dal governo è fino alle 20 di sera. Sappiamo che soprattutto di notte avvengono episodi incresciosi in particolare verso il personale medico infermieristico.
Case e Ospedali di Comunità, in molti stanno suggerendo che senza ulteriori risorse sarà una partenza difficile…
La Missione 6 del PNRR deve andare in porto. Sono risorse importanti, nel Lazio circa 800 milioni che non possono essere utilizzata per altre cose, andrebbero perse. Bisogna investire sul personale medico, specialistico e infermieristico. Ecco perché va rimosso il tetto di spesa fissato al 2004. Ma soprattutto bisogna aumentare il Fondo sanitario nazionale che non corrisponde al fabbisogno soprattutto se vogliamo sviluppare una rete di prossimità importante. Per questa operazione nei prossimi cinque anni mancano all’appello 30 miliardi e queste risorse vanno trovate. Si possono anche trovare altre risorse, comprese quelle del MES che è una ulteriore misura europea per rafforzare la rete di prossimità. Altrimenti l’unica alternativa rimarrà sempre l’ospedale.
Lei è stato assessore negli anni difficili del Covid. Qual è stato il rapporto con tutto il personale sanitario della Regione?
Il rapporto è stato intenso, quotidiano e questo ci ha consentito di fare squadra e di ottenere risultati positivi. Il Lazio è stato visto come un modello a livello nazionale ma anche a livello europeo. È un modello che intendo riproporre in tutti i settori della vita amministrativa regionale. Il bilancio è positivo: siamo usciti da una lunga stagione di commissariamento e di blocco del turn over. Il centrodestra ci aveva lasciato 49 ospedali cartolarizzati e oggi quel patrimonio è ritornato in possesso delle aziende sanitarie ed è di nuovo pubblico.
Cesare Buquicchio