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Osteopatia. Riconosciamola, prima di tutto a garanzia dei cittadini

di Federico C. Franscini

15 MAR - Gentile Direttore,
l'Associazione Professionale degli Osteopati (Apo), come già dimostrato dall'incontro di Milano del 16 gennaio 2016, "Osteopatia: quale futuro per la regolamentazione?”, è concorde con il riconoscimento dell'Osteopatia come professione sanitaria. E' giusto che le attività sanitarie richiedano che l'accreditamento delle nuove professioni della salute si fondi sull'accertamento di requisiti oggettivi. Ed è altrettanto condivisibile che il dibattito tra vecchie e nuove professioni non sia ideologico, né orientato al mero interesse di bottega. Per questi motivi, noi siamo per sostenere l'attuale legislatore nel difficile percorso del riconoscimento delle nuove professioni sanitarie.

L'esigenza di regolamentazione nasce dalla necessità di tutelare i cittadini che sempre più numerosi scelgono l'Osteopatia come sistema di cura.
Non possiamo infatti accettare che la salvaguardia sanitaria delle persone sia subordinata ad una disputa tra categorie o affidata a leggi edulcorate che, come accaduto ad esempio per i Chiropratici, definiscano in termini vaghi un'attività, senza determinare alcun riscontro operativo e una reale ricaduta sociale del provvedimento.

L'Osteopatia oggi, professione esistente ma non riconosciuta, si è integrata con le altre professioni sanitarie pur restando ai margini del sistema sanitario. Per queste ragioni il DDL Sanità rappresenta l'occasione per definire Albi moderni, a cui trovino accesso solo i professionisti con requisiti chiari e tracciabili.

Il riferimento è tanto alle vecchie quanto alle nuove professioni, specie se definite nel dettaglio dall'Organizzazione Mondiale della Sanità e a cui fanno già riferimento legislazioni europee complesse (non ci riferiamo alla Spagna, ma alla Francia, alla Svizzera, alla Gran Bretagna, al Portogallo, etc. ).
Nel merito delle qualifiche professionali che possano determinare l'accesso agli Ordini di nuova concezione, noi richiediamo che vengano considerate non solo le certificazioni delle competenze conferite da percorsi di studio autorizzati, ma anche la documentazione del reale esercizio dell'attività, l’aggiornamento continuo anche retroattivo, la disponibilità e l'esperienza per le mansioni interprofessionali.

Specie per quanto riguarda l’Osteopatia, ma non solo, pensiamo a Ordini che non diventino "caste", ma che garantiscano i cittadini prima ancora dei propri Associati; che dispongano di uno "sportello per gli utenti" e che pretendano dai Soci il rispetto assoluto di codici deontologici all'altezza, oltre alla limpida osservanza di leggi, statuti e regolamenti. Misure di vigilanza e intervento sull'operato degli Ordini dovrebbero essere messe in atto dallo Stato con tali finalità.

Tutte le rappresentanze organizzate si chiedano quindi cosa possano fare per la collettività, e di conseguenza per la propria categoria, prima di invocare provvedimenti a favore di sé stessi o contro qualcun altro. Si rendano cioè credibili istituzionalmente col loro lavoro, a partire dalla garanzia dei requisiti effettivi degli associati con metodo di assoluta trasparenza. Anche i diritti acquisiti, infatti, non possono considerarsi tali per l'eternità.
Se partiamo da questi presupposti, viene meno la ragione alla base dei conflitti e delle tante contrapposizioni alle quali, purtroppo, stiamo assistendo in questi giorni.

In particolare, per quanto riguarda la professione degli Osteopati, è nell'interesse dei pazienti, degli Operatori della salute e soprattutto di loro stessi che vengano abilitati solo i professionisti in grado di documentare alti requisiti, quali ad esempio:
a) attestazione di una formazione sotto controllo istituzionale in Italia o all'estero;
b) tracciabilità fiscale dell'attività pregressa in termini esclusivi o predominanti rispetto altre competenze c) attività scientifica e clinica interdisciplinare asseverata
d) aggiornamento continuo tanto per i dipendenti quanto per i liberi professionisti.

Ferma restando l'acclarata credibilità della professione, l'alto gradimento della popolazione e i riscontri favorevoli documentati, chi ha paura di collaborare con questi Osteopati? Non certo i Medici che hanno stabilito cooperazioni proficue con gli stessi. E, riteniamo, nemmeno i Fisioterapisti, che hanno diverse competenze e a cui gli Osteopati per primi hanno mai negato il diritto di qualificarsi ulteriormente in caso di orientamento verso questa seconda professione.

Per concludere, siamo convinti che le parole chiave per la migliore sanità debbano essere: Qualità, trasparenza e cooperazione. Al riguardo, gli Osteopati esclusivi dell’Associazione Professionale contano sull'attenzione, sullo spessore politico e sull'impegno complesso dell'attuale legislatore. Essi si battono per un provvedimento adeguato all’interesse dei cittadini prima che per loro stessi, consapevoli dei rischi nel difendere la disciplina in cui credono, anziché cercare scorciatoie di comodo o soluzioni di basso profilo. Ne rappresenta prova il fatto che essi abbiano immediatamente preso le distanze da coloro che tentarono di accreditare l'Osteopatia come "professione del benessere" (ex legge 4/2013).

Che le Istituzioni, quindi, sappiano riconoscere gli interlocutori più credibili nell’interesse collettivo.

Il riconoscimento della nostra professione, a nostro avviso è cosa indispensabile per un integrazione dell'Osteopatia all'interno delle professioni sanitarie, non per noi, ma per le persone che sempre più frequentemente si rivolgono a noi per le loro problematiche di salute.

Federico C. Franscini– Osteopata D.O.
Vicepresidente Associazione Professionale degli Osteopati


15 marzo 2016
© Riproduzione riservata

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