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I mandarini della sanità

19 APR - Gentile Direttore,
c’è un modo di esercitare il ruolo di funzionari ad alto livello della sanità italiana sia a livello centrale che regionale che deve essere messo in discussione al più presto perché incompatibile con il processo di accelerazione che la riorganizzazione della nostra sanità deve in tempi rapidi pianificare e realizzare anche alla luce del Recovery Plan.
 
Questo tema è emerso al tempo delle critiche dell’allora Viceministro della Salute  Pierpaolo Sileri (oggi sottosegretario, sempre alla Salute) a proposito della non operatività del Piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale fermo di fatto per oltre un decennio alla versione del 2006, versione ancora reperibile nel sito del Ministero della Salute.
 
E’ stato lo stesso Sileri a parlare di mandarini della sanità, una espressione estremamente efficace nel dipingere un modo di esercitare il ruolo funzionariale ispirato al rispetto della forma ed al mantenimento del ruolo. Perché, si sa, i Ministri e gli Assessori passano, ma i funzionari restano o almeno provano a restare. E spesso ci riescono perché chi esercita un ruolo di governo politico ha bisogno di chi conosce le regole ed i riti della pubblica amministrazione. Purtroppo quando questa conoscenza non si accompagna ad una capacità progettuale che va al di là del richiamo degli atti e delle norme il sistema si ferma.
 
Se uno legge i documenti programmatici del Ministero e della Regioni (sicuramente della mia, la Regione Marche) si fa l’idea di un sistema sanitario che in un modo coerente e progressivo persegue i suoi obiettivi. Cosa purtroppo molto spesso non vera. Una testimonianza esemplare di questo dissociazione tra la realtà dei documenti e quella dei servizi così come sono concretamente programmati e gestiti viene dal recente  atto di indirizzo 2021 del Ministro della Salute, puntualmente segnalato qui su QS, un atto che declina il programma del Dicastero  per quest’anno.
 
Questo documento descrive il rapporto Stato-Regioni su alcune questioni fondamentali come l’applicazione del DM 70/2015sul riordino della rete ospedaliera e dell’emergenza territoriale e la risposta culturale ed organizzativa alla sfida alla cronicità, temi rilanciati nelle loro centralità anche dalla pandemia.
 
Sul DM 70 l’atto di indirizzo afferma che nel lungo percorso che sta conducendo alla sua attuazione, “la cooperazione attivata con le Regioniha permesso di condividere gli obiettivi fondamentali del processo diimplementazione delle reti ospedaliere e tempo-dipendenti secondo il modello dei nodi hube spoke, nella consapevolezza di voler garantire, superando la frammentarietà erogativa, unapiù elevata qualità degli esiti e una maggiore sicurezza delle cure.”
 
Andando avanti si parla di “attento confronto realizzatosi con le Direzioni Regionali” e poi della necessità di proseguire “l’attenta attività di monitoraggio sulle azioni intraprese dalle
Regioni per il riassetto strutturale e la riqualificazione della rete ospedaliera attraverso
un’analisi puntuale degli interventi realizzati per il raggiungimento degli obiettivi stabiliti nel
documento stesso di programmazione della rete ospedaliera e attraverso un controllo
costante dei principali indicatori del DM 70.”
 
Ma in realtà cosa è successo alle reti ospedaliere regionali? Prendiamo la Regione  Marche, realtà che conosco molto bene. Le Marche hanno fatto una verifica dello stato di attuazione del DM 70 nel novembre del 2018 con una determina che viene quicommentata, delibera che documentava di fatto un esubero di ospedali di primo livello e rimandava la classificazione degli ospedali in base ai criteri del DM a dopo l’approvazione del Piano.
 
Il Piano Socio-Sanitario 2020-2022delle Marche è stato approvato nel febbraio 2020 e riporta letteralmente il contenuto del DM con alcune interpretazioni inaccettabili (come la previsione di un ospedale di primo livello distribuito su tre sedi che vanno dalla costa al confine interno della Regione).
 
Nel frattempo è cambiata nel settembre 2020 la Giunta, dopo la vittoria del centro-destra che ha interrotto una gestione pluridecennale della Regione da parte del centro-sinistra.  Nuova Giunta che non sa (o fa finta di non sapere) cosa sia il DM 70 e parla attraverso le parole dell’Assessore con delega alla sanitàdicendo di voler “funzionalizzare la rete dei piccoli ospedali territoriali e potenziare quelli per acuti DEA di primo livello”. Il tutto è avvenuto ed avviene  mentre il Ministero parla di collaborazione, confronto e controllo con le Regioni.
 
Ma analoghe considerazioni si possono fare anche per il Piano Nazionale della Cronicità, che -ricordiamolo – risale al 2016. Anche qui il documento ministeriale non fa emergere alcuna criticità e si limita di fatto a segnalare che “proseguiranno le azioni di supporto alle regioni previste dal progetto denominato “Pon Gov cronicità - Sostenere la sfida alla cronicità con il supporto dell’ICT” (a valere sulla programmazione 2014-2020 dei Fondi Strutturali Europei) che muove dalla strategia della sfida alla cronicità”.
 
Peccato che nella stragrande maggioranza delle Regioni (di nuovo faccio l’esempio delle Marche) il Piano Nazionale della Cronicità sia fermo alla delibera con cui si è provveduto al suo recepimento.
 
Nel dicembre del 2017 venne istituita una Cabina di Regiaper monitorarne la attuazione, ma poi non se ne è saputo nulla, né della cabina di Regia né del Piano. Certamente nelle Marche nulla o quasi è stato fatto.
 
In sintesi, c’è la sanità pubblica degli atti e quella dei fatti, e cioè delle azioni e delle scelte. Negli atti le reti ospedaliere e i piani della cronicità continuano ad essere oggetto di attenzione, ma nei fatti sono sicuramente molto indietro. In questo modo le Regioni (perché certamente le considerazioni che ho fatto non valgono solo per le Marche) si troveranno a disporre dei finanziamenti in arrivo attraverso i vari canali in assenza di un processo di riqualificazione del sistema che ne valorizzi l’impatto. Risorse nuove per modelli vecchi.
 
In questa dissociazione gioca un ruolo importante quella cultura da “mandarini” che vive negli apparati centrali e regionali. Ovviamente qui non sono in discussione i funzionari in quanto tali (peraltro molti di loro di grande esperienza e competenza), ma il modo in cui il loro ruolo trova espressione. Sileri se ne è accorto a suo tempo per il Piano Pandemico, ma quello non era un “cigno nero” isolato.
 
Claudio Maria Maffei
Coordinatore scientifico Chronic-On

19 aprile 2021
© Riproduzione riservata

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