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Tumore ovarico. Dal Regina Elena una nuova strategia per inibire la progressione metastatica


I ricercatori dell'istituto oncologico romano hanno individuato un’interazione molecolare di tre proteine che, insieme, promuovono le metastasi. Grazie a questo nuovo studio, finanziato da Airc e pubblicato oggi su Pnas, è stata messa a punto una nuova strategia per inibire la progressione metastatica. LO STUDIO.

09 FEB - La presenza concomitante di tre proteine in donne con tumore ovarico è associata a un tumore più aggressivo. Le tre proteine sono i recettori dell’endotelina, la -arrestina e hMena. A rivelarlo è uno studio interdisciplinare dell’Istituto Regina Elena, coordinato da Laura Rosanò in collaborazione con Anna Bagnato, del laboratorio di Modelli preclinici e nuovi agenti terapeutici. I risultati sono pubblicati su Pnas e la ricerca è stata condotta grazie al sostegno di Airc.
 
Le metastasi tumorali rappresentano una delle cause più frequenti di mortalità nelle donne con carcinoma ovarico. Comprendere le ragioni della diffusione metastatica è una delle sfide più importanti che la ricerca sul cancro tenta di affrontare. Una cellula tumorale per diventare metastatica deve invadere il tessuto circostante, modificando innanzitutto il proprio citoscheletro, ossia quel complesso di filamenti proteici che ne costituiscono l’impalcatura e controllano forma e funzione. La cellula invasiva si fa strada creando delle tracce nel tessuto circostante e lo fa grazie a delle protrusioni chiamate invadopodi.
 
Questo studio dimostra che il recettore per l’endotelina, in associazione con la proteina-arrestina, guida la formazione di invadopodi maturi sia nel tempo sia nello spazio. Inoltre dal lavoro emerge che la proteina del citoscheletro hMena è un elemento chiave di questi processi, dato che agisce legando il recettore dell’endotelina e la arrestina, e crea così un’ interazione sinergica mai studiata prima nei tumori. In particolare i ricercatori hanno dimostrato che l’espressione concomitante delle tre proteine nei tessuti tumorali delle pazienti con cancro dell’ovaio è associata a un decorso peggiore della malattia.

I ricercatori del Regina Elena hanno dimostrato che la presenza di una variante proteica di hMena, identificata anni fa da Francesca Di Modugno nel gruppo diretto da Paola Nisticò, non solo caratterizza cellule di carcinoma ovarico con capacità invasive, ma è cruciale nella formazione degli invadopodi e quindi di metastasi. È l’interazione del recettore dell’endotelina con questa forma invasiva di hMena ad attivare una rete di segnali intracellulari che facilitano l’infiltrazione nei tessuti e nei vasi sanguigni, dando origine al processo metastatico.

“Identificare i potenziali nodi di vulnerabilità creati da interazioni tra le proteine coinvolte in questi processi – ha detto Laura Rosanò – è fondamentale non solo per capire come le cellule tumorali diventano più aggressive, ma anche per utilizzarli come bersagli molecolari al fine di bloccare il processo metastatico”.
 
“L’endotelina-1 – ha precisato Anna Bagnato – si lega ai recettori espressi dalle cellule sia di carcinoma ovarico sia del microambiente tumorale circostante, e promuove così la disseminazione metastatica: questi risultati aprono la strada a nuovi approcci terapeutici. Esiste già un antagonista dei recettori dell’endotelina, il macitentan, approvato per indicazioni non oncologiche, che potrebbe essere sperimentato nei carcinomi sierosi dell’ovaio che esprimono elevate concentrazioni del recettore”.

“Sono molto contento che la sinergia tra i vari gruppi di ricerca traslazionale dell’Istituto Regina Elena – ha concluso Gennaro Ciliberto, direttore Scientifico Ire – abbia permesso di rivelare nuove vulnerabilità dei tumori ovarici che potranno essere attaccate da approcci terapeutici innovativi”.

09 febbraio 2018
© Riproduzione riservata

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