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Scompenso cardiaco: anche il sistema immunitario è un possibile target terapeutico

di Maria Rita Montebelli

I pazienti con scompenso cardiaco sono più ‘infiammati’ dei soggetti sani. L’osservazione scaturisce da un piccolo studio olandese e potrebbe avere ricadute molto importanti per il trattamento di questa condizione, sempre più prevalente e con poche strategie terapeutiche a disposizione.

24 APR - La risposta immunitaria del paziente potrebbe giocare un ruolo anche nel proteggerlo dalla comparsa e dalla progressione dello scompenso cardiaco. Lo rivela una ricerca presentata da un gruppo di ricercatori olandesi al congresso Frontiers in CardioVascular Biology (FCVB) 2018.
 
“Siamo andati a valutare il ruolo delle risposte immunitarie nei soggetti con scompenso cardiaco terminale – afferma Patricia van den Hoogen, University Medical Centre Utrecht / Netherlands Heart Institute in Utrecht - Un campo questo finora inesplorato che potrebbe rivelare nuovi target terapeutici”.
 
Lo studio è andato a valutare se i soggetti con scompenso cardiaco terminale mostrassero segni di infiammazione. E’ noto che dopo un infarto, le cellule infiammatorie eliminano cellule morte e altri eventuali detriti, come parte della normale risposta immunitaria ad un danno.
Danneggiando il muscolo cardiaco, l’infarto (o più infarti ripetuti) può condurre nel corso degli anni allo scompenso, che può evolvere fino allo stadio terminale, per il quale l’unica terapia è rappresentata dal trapianto di cuore.
 
Lo studio olandese ha coinvolto 20 pazienti con scompenso ‘end-stage’ causato da un infarto (10 soggetti) o da una cardiomiopatia dilatativa (10 soggetti) e 3 controlli sani. In tutti è stata ricercata la presenza di anticorpi o di cellule dell’immunità nel tessuto cardiaco e nel plasma; i campioni biologici sono stati quindi cimentati con diversi epitopi per cercare di trovare i target di questi anticorpi.
 
Rispetto ai controlli sani, i soggetti con scompenso cardiaco terminale presentavano una maggiore concentrazione di anticorpi sia a livello plasmatico che tessutale; in particolare, la concentrazione anticorpale è risultata più elevata nei pazienti con cardiopatia ischemica che in quelli con cardiomiopatia dilatativa.
 
Anche la concentrazione delle cellule dell’immunità (cellule B, T, macrofagi) è risultata nettamente più elevata nel tessuto cardiaco dei soggetti scompensati che nei controlli sani. A livello plasmatico, i soggetti con scompenso presentano cellule B diverse da quelle del gruppo di controllo; in particolare gli scompensati hanno una maggiore concentrazione di cellule B produttrici di anticorpi e un minor numero di cellule B regolatorie, che hanno un ruolo immunosoppressivo.
Lo screening degli epitopi, effettuato allo scopo di individuare i target anticorpali, è ancora in corso.
 
“Nei pazienti con scompenso cardiaco terminale  - sottolinea la van den Hoogen – abbiamo osservato un maggior grado di infiammazione rispetto ai controlli sani. I soggetti scompensati presentano un maggior livello di anticorpi e un maggior numero di cellule produttrici di anticorpi. Ciò significa che in questi pazienti la risposta infiammatoria è attivata e potrebbe giocare un ruolo nello scompenso. Il nostro studio ha preso in esami pazienti ‘end-stage’; abbiamo intenzione ora di andare a valutare se anche nelle fasi iniziali dello scompenso sia evidenziabile una risposta infiammatoria e se questa tenda a farsi più pronunciata man mano che lo scompenso progredisce. Qualora questo venisse confermato, potrebbe aprire la strada a nuove strategie terapeutiche volte a prevenire lo sviluppo o la progressione dello scompenso, attraverso la modulazione della risposta immunitaria.  Se si riuscissero infine ad individuare i target di questi anticorpi, attraverso lo screening degli epitopi, si potrebbero realizzare dei trattamenti su misura”.
Maria Rita Montebelli

24 aprile 2018
© Riproduzione riservata

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