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Allarme Iss: aumentata di 10 volte in un anno la resistenza di K. Pneumoniae agli antibiotici     


Il battere provoca infezioni del tratto urinario ed è particolarmente diffuso nei reparti di terapia intensiva, dove è talvolta letale. L’antibiotico resistenza è però decuplicata. La situazione della tolleranza ai farmaci sempre più preoccupante, soprattutto in Italia.

06 GIU - Se l’antibioticoresistenza è un problema che preoccupa tutto il mondo – tanto che l’Oms continua a definirla una delle più grandi minacce alla salute umana – in Italia dovrebbe preoccupare ancora di più. Il nostro paese non solo è uno di quelli che nel contesto Europeo ha la più alta tolleranza a questo tipo di farmaci, ma gli ultimi dati dell’ISS rivelano un dato forse ancor più preoccupante: la resistenza agli antibiotici, che fa sì che i farmaci non siano più efficaci, sta aumentando nel nostro paese. In particolare la percentuale di ceppi di Klebsiella pneumoniae resistente ai carbapenemi, una classe di antibiotici che è sempre stata considerata come "salva vita" nelle infezioni gravi da microrganismi particolarmente forti, è aumentata di 10 volte in un solo anno, dal 2009 al 2010. E dai primi dati del 2011 sembra la corsa non accenni a fermarsi.
 
Secondo la rete di sorveglianza AR-ISS coordinata dal Dipartimento Malattie Infettive Parassitarie e Immunomediate (MIPI) e dal CNESPS, infatti, in Italia la frequenza di K. pneumoniae resistenti ai carbapenemi nelle sepsi è passata dall’1.6% del 2009 al 16% del 2010 e i dati relativi al 2011 indicano un aumento ulteriore.
Un problema serio, dato che la mancanza di antibiotici efficaci può avere conseguenze non solo sul trattamento delle infezioni ma su tutta la medicina moderna. "La resistenza ai carbapenemi è nella grande maggioranza dei casi dovuta alla presenza di un enzima (la carbapenemasi) che è in grado di distruggere gli antibiotici della classe dei beta-lattamici inclusi i carbapenemi: pertanto il microrganismo diviene resistente anche a questi antibiotici di ultima risorsa", ha spiegato Annalisa Pantosti, direttore del reparto Malattie batteriche, respiratorie e sistemiche del MIPI.
Nello scorso anno, aveva già destato molto allarme la emergenza della carbapenemasi chiamata NDM-1 (per new Delhi metallo-beta-lattamasi) che dal subcontinente indiano si era diffusa in vari paesi europei, compresa l’Italia, sebbene nel nostro paese i casi siano in genere di importazione e finora a diffusione limitata. "Le infezioni dovute a K. pneumoniae resistente ai carbapenemi – ha continuato Pantosti - colpiscono soprattutto pazienti critici in reparti di terapia intensiva, ma anche pazienti in reparti medici o chirurgici. Le infezioni sono difficilmente trattabili e sono gravate da un’alta letalità". I ceppi di K. pneumoniae resistente ai carbapenemi, infatti, sono facilmente trasmissibili all’interno degli ospedali e delle altre strutture sanitarie (come nelle lungo-degenze e nelle case di riposo) perchè colonizzano abbondantemente il tratto gastro-enterico.

Come già detto, nel contesto Europeo l’Italia è uno dei paesi con più alta antibiotico-resistenza. La frequenza di Staphylococcus aureus resistente alla meticillina, per esempio, è intorno al 40%, contro una media europea del 17%. Negli ultimi anni ha destato particolare preoccupazione la comparsa di batteri Gram-negativi multi-resistenti, specialmente di specie che producono beta-lattamasi a spettro esteso (ESBL). Nel resto d’ Europa, con l’eccezione significativa della Grecia e di Cipro e, in maniera minore, dell’Ungheria, la frequenza di K. pneumoniae resistente ai carbapenemi è inferiore al 2%.
In Italia la carbapenemasi più frequente è chiamata KPC (per Klebsiella pneumoniae carbapenemasi); questo è l’enzima più frequente anche in altri paesi europei (Grecia) e in Israele.
Per questo e per tutti i motivi precedentemente elencati – spiegano gli esperti – istituire rapidamente misure di controllo efficaci per prevenire o limitare la loro diffusione tra i pazienti dovrebbe essere un’attività da affrontare con massima priorità. “In questo momento per la nostra sanità pubblica è così”, fanno sapere dall’Iss. “Solo così potremo evitare che questo tipo di infezioni difficilmente trattabili divenga endemico nelle strutture sanitarie del nostro Paese”.

06 giugno 2012
© Riproduzione riservata

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