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Il Pd, la sanità e il coraggio di “non” cambiare idea

di Cesare Fassari

Il programma sanità del Pd non è né un libro dei sogni ma nemmeno una retromarcia sui principi e gli assetti del Servizio sanitario nazionale universalistico, equo e solidale nato nel 1978. La conferma di un welfare pubblico (sanità compresa) rappresenta oggi la scelta più riformista che si possa fare

29 GEN - E’ tempo di programmi (e promesse) elettorali. Per la sanità è stato presentato oggi quello del Partito Democratico. Quanti si aspettavano “clamorose” svolte per il nostro Ssn saranno probabilmente rimasti delusi.
Il programma del Pd non è né un libro dei sogni ma nemmeno una retromarcia sui principi e gli assetti del Servizio sanitario nazionale universalistico, equo e solidale nato nel 1978 e poi plasmato dai diversi interventi legislativi intervenuti successivamente, i quali non hanno però intaccato la sostanza di sistema di cura e assistenza a tutti i cittadini, finanziato con la fiscalità generale nel segno di quel “diritto fondamentale alla salute” iscritto all’art. 32 della Costituzione.
 
Dopo pile di articoli, dichiarazioni e documenti di varia natura e di varia provenienza inneggianti però tutti alla necessità di “cambiare” assetto e status del Ssn, fondamentalmente perché esso non sarebbe più “sostenibile”, la scelta del Pd di restare fermo nella convinzione che il nostro è il miglior sistema possibile, anche dal punto di vista del costo-beneficio per il cittadino e per le casse dello Stato, rappresenta di per sé una notizia.
Questo vuol dire che va tutto lasciato com’è? No, e il Pd avanza diverse proposte concrete per raddrizzare alcune delle più macroscopiche inefficienze e carenze del sistema, alle quali, è ovvio, potremmo aggiungerne senz’altro altre ugualmente necessarie.
 
Ma non è questo l’oggetto di queste brevi note. Il punto che vorrei sottolineare è che una grande forza politica, candidata a guidare il Paese per i prossimi cinque anni, ha fatto una precisa e netta scelta di campo: la sanità pubblica non si tocca, anzi, va rafforzata e valorizzata anche come grande volano di sviluppo per il Paese.
Per me, che ho sostenuto queste tesi da sempre, è una buona notizia. E per questo, anche se non richiesto e dovuto, voglio spendere qualche parola in difesa preventiva verso chi dirà che, ancora una volta, il Pd si presenta come partito della conservazione contro il cambiamento.
 
Riaffermare che una grande riforma come quella sanitaria (una delle poche degne di questo nome introdotte nel nostro Paese) sia tuttora valida nei suo cardini fondamentali (dati economici e risultati di salute alla mano), è di per sé elemento sufficiente per essere “declassati” a conservatori? Penso proprio di no. A meno di non testare il grado di innovazione di una forza politica nella capacità di seguire la moda del momento. Ed oggi la moda del momento in sanità è quella che fa perno sulla sua presunta “insostenibilità”. A prescindere dai dati di spesa (restiamo il Paese che spende meno tra i grandi partner europei) e di efficacia (restiamo il Paese con i più alti livelli di performance sanitaria sulla popolazione in termini di mortalità e morbilità per le più grandi malattie).
Contrastare questa moda non vuol dire essere conservatori. Vuol dire essere coerenti con i principi e le prospettive di una scelta tuttora attualissima e profondamente civile come quella rappresentata dalla legge 833. E basta questo per poter affermare che chi resta in quel solco resta un riformatore della società e di questo Paese.
 
Anche perché riformare la sanità, se prendiamo onestamente atto dei dati positivi complessivi del sistema, sta oggi proprio nella capacità di non farsi travolgere da quelle che restano oggettive carenza minoritarie, limitate negli ambiti e nella geografia. E quindi essere riformatori in sanità sta nell’operare scelte in grado di correggere errori e inefficienze con mano e mente ferme. Senza per questo essere costretti a nuove avventure che sappiamo da dove nascono (spinta al mercato e al dimagrimento del welfare pubblico) ma non sappiamo dove potrebbero condurci. Soprattutto oggi, in presenza di una crisi economica strutturale dell’occidente.
 
In questo quadro la conferma di un welfare pubblico (sanità compresa) rappresenta la scelta più riformista che si possa fare, anche come potenziale volano della ripresa economica.
Quindi ben venga questo coraggio di “non cambiare”, quando cambiare ha tutti i connotati di un salto al buio.
 
Cesare Fassari
 

29 gennaio 2013
© Riproduzione riservata


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