La fine del welfare state? Per Cameron è il momento della “filantropia”
di Ivan Cavicchi
Il premier britannico si presenterà al prossimo appuntamento del G8 con una sua proposta per ridimensionare definitivamente la concezione del welfare state e far posto a quella che lui chiama filantropia. Con il massiccio ricorso a fondi a impatto sociale. Come risponderà il governo Letta?
10 GIU - Cameron porterà alla prossima riunione del G 8 che si terrà il 17 giugno in Inghilterra un proposta, da trasformare in impegno europeo, che ridimensioni radicalmente la concezione del welfare state. Si tratta in pratica di dimezzare il ruolo dello “Stato” per far posto a quella che lui non chiama “
filantropia” cioè il ricorso a “
fondi a impatto sociale” che deriverebbero dalle grandi accumulazioni di profitto. Gli
Uman Impact Fund sarebbero gestiti secondo criteri di redditività e basati sull’investimento in imprese ad alto impatto sociale.
Questa nuova alleanza tra solidarietà e filantropia sarebbe garantita dalle grandi fondazioni che già sono state coinvolte da Cameron nel suo progetto (Fondazione Bill Gates e Rockefeller, Human Fondation ecc). Mentre nel mondo la filantropia vanta notevoli quantità di risorse, in Italia mancano dati certi sul volume dei fondi destinati ad essa destinati : meno di 1 miliardo di dollari, secondo il Global Index of Philanthropy, più del doppio, 3 miliardi di euro, secondo l'ultimo rapporto Istat. Sappiamo tuttavia che il terzo settore, in Italia, muove 67 miliardi di euro (4,3% del Pil), ma anche che solo il 17,4% delle organizzazioni non profit si affidano al
fundraising privato. Secondo alcuni(Iris network) sarebbero più di 88 mila le aziende che, in Italia, avrebbero le caratteristiche per diventare imprese sociali. Le parole chiave di questo nuovo ircocervo sono tutte in inglese:
"socialbusiness", "
venture philanthropy", ”
impactinvesting”, “
good society” , “
giving and innovating”.L’imbarazzo è convincere chi come noi ha una Costituzione basata sui diritti, che non si tratta ne di carità ne di beneficenza ma di “
una nuova cultura del giving” che in luogo del welfare classico promuova innovazione, equità sociale. La sanità, quindi tra “
corporate philanthropy” e “
good society” .
Sarebbe sciocco da parte mia fare la solita levata di scudi a difesa del sistema pubblico universalistico e dico da subito che ben venga la filantropia se ci aiutasse a finanziare e a non surrogare l’universalismo del diritto alla salute . La “
cultura del giving” dovrebbe però accordarsi con quella del diritto.
Ma alcune considerazioni si impongono:
la pretesa di Cameron di livellare i tanti sistemi di tutela sanitaria europei oltretutto obbligandoli a riferirsi alla beneficenza la vedo implausibile per tante ragioni compresa quella che dietro i tanti sistemi di tutela vi sono storie molto complesse che coinvolgono sistemi di contrattazioni e sistemi vari di solidarietà e mutualità, non facilmente unificabili al ribasso .A me pare che Cameron cerchi un alibi per spiegare agli inglesi la controriforma che sta tentando di attuare in sanità nel suo paese e che certamente è dewelfarizzante;
la filantropia può avere un ruolo in quei paesi dove non c’è l’universalismo, dove la salute non è un diritto, dove la tutela non è garantita dalla fiscalità, ma in quei paesi come il nostro dove l’art 32 garantisce ad ogni cittadino lo stesso diritto alla salute è uno scambio senza senso. Perché mai dovremmo scambiare l’elemosina con il diritto?
Molto meglio la carità di Emergency che usa la filantropia per raccogliere fondi e restituire alla gente ciò che lo Stato non da più cioè per restituire comunque diritti
Il vero pericolo che vedo è che l’iniziativa di Cameron indipendentemente dalla sua praticabilità sia usata come giustificazione da chi in Italia vuole sostituire la sanità pubblica con il sistema multipilastro, cioè i teorici dell’universalismo selettivo, del “non si può dare tutto a tutti”. In Italia il governo Letta sulla sanità continua ad essere misterioso non ha ancora chiarito la questione della quantificazione del fondo sanitario nazionale e della fine dei tagli lineari, vi sono governatori, come Rossi, che temono “
pugnalate alle spalle del ssn” cioè misure di destrutturazione del sistema magari attraverso le sanità integrative. Staremo a vedere.
Qualche hanno fa (chiamo Fassari come testimonio) in una occasione congressuale da lui coordinata, dissi “il novecento è finito…si è aperta la fase del post welfarismo” e da allora nei miei lavori ho iniziato ad usare frequentemente questa espressione. Molti pensarono che esagerassi anche se cercavo semplicemente di dare un nome a dei mutamenti che sono in corso da svariati decenni e che a dir il vero sono sotto il naso di noi tutti. Il post welfarismo oggi ci propone la filantropia, il neomutualismo e la privatizzazione e in Italia si avvale dello strumento principale del definanziamento della sanità pubblica che spinge le persone fuori dall’area dei diritti.
Come rispondiamo al post welfarismo? Come risponderà il governo Letta? E le storiche forze welfariste come il PD? Vi sono due modi di intendere qualcosa di “
post”: di una cosa che viene dopo un’altra prendendone il posto cioè negandola; di una cosa che viene riformata per ricontestualizzarla rilanciandone gli ideali. Io preferisco la seconda perché è concretamente perseguibile. Nel caso sia possibile perseguire questa seconda strada ma non la si voglia fare, in questo caso l’operazione sarebbe ideologica e niente avrebbe a che fare con i problemi della sanità.
Ivan Cavicchi
10 giugno 2013
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