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Il dibattito sulle Asl. Il problema non sono le persone, ma il sistema 

di Costantino Troise

Lungi da me pensare che la governance sia la causa di tutti i mali del nostro SSN, ma certamente rappresenta un nodo da sciogliere per evitare di finire strozzati. Misurare è condizione necessaria per governare sistemi complessi. Ma non sufficiente. Contano certo le competenze e le motivazioni dei singoli, ma determinante è il contesto ambientale e politico in cui si opera

02 LUG - Egregio dott. Chillelli,
profitto anche io della ospitalità di Cesare Fassari per ringraziarLa degli auguri e per sgombrare il campo dal sospetto di avere voluto attaccare le persone dei Direttori Generali, molti dei quali, certo, svolgono con dedizione e competenza la loro funzione. Il nodo, però, non è questo ed ho l’impressione che il suo intervento in qualche modo lo abbia eluso (leggi l'intervento di Chilelli).

Il processo di aziendalizzazione avviato nel 1992, non senza ambiguità sia semantiche che sostanziali, è stato inteso soprattutto come recupero della dimensione economica insita nelle prestazioni sanitarie. Le Aziende Sanitarie oggi appaiono tendenzialmente indifferenti al loro finalismo istituzionale, scarsamente orientate verso la dimensione dell’’efficacia, senza la quale in sanità non c’è efficienza che tenga, e della appropriatezza, scontando la marginalità della componente professionale medica, privata di un coinvolgimento nei percorsi gestionali. Ha prevalso, cioè, nel corso degli anni, l’interpretazione di chi ha pensato solo a riportare in pareggio i bilanci, mentre nell’impianto organizzativo e funzionale si sono evidenziati elementi discutibili o largamente insufficienti, a cominciare dall’assetto direzionale. Il Direttore generale, scelto ad insindacabile giudizio del Presidente o della Giunta regionale, è responsabile, di fatto, della strategia aziendale e di tutte le funzioni successive di organizzazione, gestione e verifica. Unico padrone di persone e cose, tuttologo. Compito francamente improbo. E se ne vedono, infatti, i risultati in molte realtà.

L’anomalia del modello aziendale è palese. Chiudere i bilanci quanto più possibile vicino al pareggio è apparso il mandato principale. Tagliare tutto quello che costa, compresi i diritti, il verbo di una cultura gestionale dell’efficienza che riduce i medici ed i dirigenti sanitari a macchine esperte ma banali, relegate a mettere la faccia davanti ai cittadini di fronte alla forbice tra crescita della domanda di salute e riduzione delle risorse. Facile capro espiatorio avviato alla delegittimazione sociale.

Lungi da me pensare che la governance sia la causa di tutti i mali del nostro SSN, ma certamente rappresenta un nodo da sciogliere per evitare di finire strozzati. Misurare è condizione necessaria per governare sistemi complessi. Ma non sufficiente. Contano certo le competenze e le motivazioni dei singoli, ma determinante è il contesto ambientale e politico in cui si opera. Credo difficile negare che in gran parte del Paese, per essere cauti, le esigenze della politica hanno prodotto una catena di poteri e di comando che, specie nei confronti del management tecnico professionale intermedio, ha evitato il riconoscimento del merito e delle competenze. Fino a non applicare la normativa che ricorda o a renderla “alquanto anestetizzata da regole e punteggi”, decise, però, dalle Regioni o, addirittura, dalle singole aziende, che “non premiano la capacità professionale”.

Il punto che il suo intervento non confuta è il radicamento di una visione della governance in cui la catena di comando non si perita di entrare nel core delle pratiche professionali e nella selezione del merito e delle competenze

“La discrezionalità connessa al principio del rapporto fiduciario, la natura monocratica del management aziendale, la subalternità dell’autonomia tecnico-professionale alle ragioni della gestione economicistica, la marginalizzazione di logiche e valori professionali”. Questo è il pensiero dominante, quasi una ossessione, che è fortemente strutturato e tenacemente protetto nella architettura normativa dell'azienda sanitaria, e della Regione, a prescindere dal colore politico. E questo è anche il motivo per cui non basterà elevare la asticella delle competenze attraverso albi nazionali o regionali, annunciati con enfasi sproporzionata. Inutile ricordare Tomasi da Lampedusa.

I problemi della sanità italiana oggi sembrano individuati nel costo della famosa siringa, da standardizzare, e nel costo dei medici, da saldare al massimo ribasso attraverso inaccettabili inquadramenti contrattuali o da cui liberarsi attraverso masochistici processi di rottamazione. Mentre rimane evidente, a mio parere, la necessità di un sostanziale cambio di paradigma culturale, politico e sociale che produca un nuovo modello di governance a management diffuso, “in condizione di assolvere al meglio ai compiti cui deve rispondere” ed alla propria responsabilità sociale, che riconosca che la efficienza e la ottimizzazione dei costi scaturiscono dalla applicazione di conoscenze e valori di diretta derivazione clinica. Anche attraverso una idea di governo fondata sulla centralità del ruolo delle professioni all’interno delle Aziende Sanitarie, nel rispetto certo delle compatibilità economico finanziarie, che recluti tutti i professionisti, medici e non, all’ obiettivo di invertire le curve di caduta della qualità e del consenso sociale e della contestuale crescita dei costi. La complessità del mondo sanitario non può essere governata con i soli strumenti della cultura aziendale, anche ove questi venissero utilizzati al meglio.

La dirigenza sanitaria, che certo non è esente da colpe, non è una pura entità metafisica cui negare anche il diritto di discutere le condizioni del proprio lavoro. Essa vuole essere protagonista del cambiamento, “autrice di salute” per dirla con Ivan Cavicchi, che non accetta di essere ridotta a sole mansioni esecutive nella logica dì non disturbare il manovratore. Senza fare leva su contenuti e motivazioni professionali sarà difficile trovare legittimazione e compatibilità alle stesse politiche sanitarie, ed i medici devono potere continuare ad essere garanti della qualità e della appropriatezza delle prestazioni erogate ai cittadini attraverso la conoscenza delle ragioni e delle forme in cui la competenza clinica si intreccia con le logiche della economia.

Il futuro della sanità pubblica e la sua sostenibilità si giocano anche su questa idea di dirigenza professionale e di governance del sistema.

Costantino Troise
Segretario nazionale Anaao Assomed


02 luglio 2014
© Riproduzione riservata


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