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È giunto il momento di abolire il TSO?

di Gerardo Favaretto

30 MAG -

Gentile Direttore,
succede che nelle occasioni di fatti drammatici che riguardano persone od operatori dell’ambito della salute mentale vi sia un interesse, anche se evanescente, come segnala Andrea Angelozzi nella sua lettera a QS di qualche giorno fa, per lo stato dell’assistenza psichiatrica.

Chi interviene, come faccio io ora, prende atto dello stato di un dibattito e sottolinea quelli che sono gli aspetti critici o deficitari dal punto di vista delle risorse, delle normative e della prevenzione della violenza. Fatti tragici ed incresciosi sollevano il tema del pregiudizio creando prontamente due schieramenti: chi lo ribadisce come il grande problema che condiziona la rappresentazione della malattia mentale intesa esclusivamente in termini stigmatizzanti come “pericolosa” e ritiene prioritaria la rimozione di ogni pregiudizio verso chi, invece, dice che la pericolosità è un problema concreto e che le normative non sono adeguate, specie per gli autori di reato, a prevenirne gli effetti nefasti.

Credo che una riflessione su questi temi sia sempre utile, si parla ancora troppo poco di salute mentale di assistenza psichiatrica e, soprattutto, come è emerso dal dibattito “Forum sulla 180 “ su Quotidiano Sanità, non si è ancora trovata la giusta lucidità per capire quali sono i punti fondamentali sui quali è necessario intervenire non solo dal punto di vista normativo ma di innovazione delle pratiche istituzionali.

Questa lucidità purtroppo non sembra caratterizzare né le riflessioni che hanno l’obbiettivo di difendere certe categorie (gli operatori o, in altri casi gli utenti, vittime di situazioni di violenza) né si giova di una ricerca scientifica sistematica intorno alla gestione del tema della pericolosità soprattutto se applicato al contesto dell’assistenza come viene erogata nel nostro paese.

Credo che non sia stata sufficientemente valutata una delle caratteristiche della 180 (e della 833) che ha sostanzialmente affermato due principi: la necessità di non ricoverare più in ospedale psichiatrico, e su questo ovviamente non c’è discussione, ma anche che, pur formalmente superando il concetto di pericolosità, spetta in pratica alla psichiatria proporre e attuare quegli interventi coatti che si rendono necessari nelle condizioni definite dalla legge ovvero la presenza di una necessità di trattamento ospedaliero, il rifiuto delle cure da parte del paziente, la mancanza di alternative.

Nella formulazione di questa triade di condizioni la pericolosità non è citata ma il TSO ha assunto, negli anni, il ruolo di un intervento coercitivo in situazioni del quale agenzie sociali (magistratura, comuni , forze dell’ordine , le stesse famiglie etc. ) fanno richiesta per risolvere situazioni a volte autenticamente tragiche , violente definite “anormali” ma di difficile inquadramento dal punto di vista psicopatologico.

Come a dire che il mandato sociale nei confronti della psichiatria, pur essendo apparentemente sparito il concetto di pericolosità (ma non per la magistratura), ribadisce la responsabilità dei Servizi nell’ intervenire in situazioni nelle quali emergenze e problemi comportamentali si associano a una assenza di consenso .

Una riflessione storica su come fu scritta e pensata la 180 forse potrebbe far comprendere come gli estensori materiali del testo (non certo Basaglia che impropriamente si vide attribuita la paternità di quella legge) immaginarono un dispositivo che doveva risolvere il precedente “pericoloso a sé e agli altri .. “, ma gli anni hanno dimostrato che non ci sono riusciti.

Da allora sono nate e cresciute polemiche sia da parte di chi ha visto i Servizi e la Psichiatria come dei violenti persecutori e abusanti dei diritti individuali sia, al contrario, di chi li ha visti come dei burocratici sofisti che, sulla base di ragionamenti inutili si sottraggono alle loro responsabilità.

Eppure, questo tema meriterebbe tutta l’attenzione e l’intelligenza dovuta a un tema complesso e profondamente legato al clima sociale dei diversi periodi storici.

Oggi, in pratica, senza voler semplificare si pongono due questioni sostanziali: la prima normare un trattamento per le emergenze compresa una loro definizione; la seconda definire strategie per gli interventi senza consenso.

Alla revisione della legge possono contribuire oltre a una attenta analisi e riflessione sul TSO e su come viene utilizzato in modo così difforme fra le diverse regioni (si veda il rapporto sui flussi informativi della salute mentale) anche una elaborazione sull’esperienza , sui vantaggi e sui limiti della figura dell’amministratore di sostegno e sulle esperienze internazionali che hanno risolto il problema del trattamento senza consenso e delle emergenze in modo diverso da quello del nostro paese.

E’ difficile sostenere, per esempio, che la gestione dei comportamenti violenti, delle minacce etc. non sia un ambito nel quale le forze dell’ordine devono avere un ruolo più chiaro come più chiaro deve essere il ruolo della Psichiatria, come hanno sostenuto in molti in questo dibattito, nel certificare la presenza di necessità di cure.

Così come è difficile negare la necessità di un maggior ruolo dei giudici nel definire, con interventi personali sui singoli individui, dei patti che concernono la loro dimensione sociale senza che questo sia confuso, a priori, con un intervento sanitario come succede nel TSO. In altre parole va cercato un ruolo dei Servizi più appropriato, va valorizzato il ruolo dei giudici quando si parla di libertà personale, perché non può mai essere che sia uno psichiatra a decidere, a priori, sulla libertà dell’individuo. Si pensi a cosa sarebbe successo se, durante la pandemia fosse stato delegato ai medici infettivologi l’onere di obbligare le persone a vaccinarsi o a curarsi.

A 45 anni di distanza, quindi potrebbe esser indispensabile sostituire il TSO con percorsi e modalità più articolate, efficienti e attente alla complessità che gli interventi senza consenso. Dopo di che, forse, sarà ancora più semplice decidere quali saranno gli interventi adeguati per gli autori di reato specialmente se i Servizi per la salute Mentale, intesi in senso estensivo (minori, disabili, DSM , dipendenze ) potranno disporre di quelle risorse che oggi non hanno. Ma anche questo è un argomento che, alla fine, non sembra essere mai preso seriamente in considerazione.


Gerardo Favaretto
Psichiatra, già direttore del Dipartimento di Salute Mentale Aulss 2 Marca Trevigiana
Docente di Psichiatria Corso di laurea in Medicina Università di Padova



30 maggio 2023
© Riproduzione riservata

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