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Se la barca della medicina di urgenza scuffia

di Luigi Di Candido

01 GIU -

Gentile Direttore,
dal 26 al 27 maggio, ad Assisi, si è svolto il Terzo Congresso delle Scuole di Specializzazione in Medicina di Emergenza Urgenza durante il quale un oratore ha proiettato una slide che mostrava una barca a vela, in balia ai marosi, che riportava tre frasi: il pessimista si lamenta del vento, l'ottimista aspetta che il vento cambi, l'urgentista aggiusta le vele (in carattere maiuscolo e colore rosso).

Appare ovvio che ad un giovane urgentista si gonfi il petto di orgoglio di appartenenza; siamo i migliori! Penserà: come noi nessuno! Siamo i navigatori più capaci! Basta cazzare o lascare fiocco e randa, che ci vuole…

Ho quindi letto il programma del convegno che affrontava argomenti per la verità ottimi ed interessantissimi, con relatori di grande qualità ma, con grande sorpresa, non ho trovato una sola sessione dedicata alla gestione dei rischi, alla formazione sulle Non Technical Skills in attività produttive più simili a sistemi Very Unsafe o Adapative piuttosto che di tipo H.R.O. o Safe.

Questi argomenti, considerati imprescindibili nei sistemi ad alta affidabilità, e sicuri, come in aeronautica (settore maestro anche per la sanità), stupisce davvero, che non vengano affrontati in alcun modo, soprattutto in sistemi a più bassa affidabilità come la Medicina d’Urgenza. Ciò è davvero imperdonabile ai giorni nostri, in così grande ritardo rispetto ai sistemi sanitari più avanzati.

Si preferisce la più economica retorica spiccia della superiorità ontologica della Medicina d’Emergenza Urgenza (MEU), del “siamo i più forti”, “i più bravi”, per creare acritici pasdaran della MEU con sole competenze dure (troppe), molto dannato multitasking, tanto task shifting spesso autoprodotto o supinamente accettato, maggiori probabilità d’errore e precoce burn out all’orizzonte.

Ed infatti è sufficiente guardare blog e pagine sui principali social gestiti direttamente, o indirettamente, dai maître à penser della MEU nazionali per rendersene conto.

Sarebbe ormai ora che qualcuno spiegasse ai giovani eroi involontari ed ai molto inconsapevoli navigatori nella tempesta, che un buon maestro, un buon comandante, un buon marinaio, dovrebbe insegnare agli aspiranti navigatori gli elementi utili per non naufragare e per ben condurre la barca, con la maggiore sicurezza possibile, nei sistemi a bassa affidabilità come ad esempio l’aumento delle competenze morbide, l’acquisizione di una buona situational swareness, dei concetti di decision making e go/no-go, di C.R.M., dell’importanza della simulazione, e del padroneggiamento delle abilità di rescue.

Perché tormentine e mani di terzaroli a parte, bisogna spiegare ai navigatori che, forse, sarebbe prudente non prendere affatto il mare in certe situazioni e con certi mezzi, uscire dal porto, poiché, nella tempesta, altro che aggiustare le vele, è assai più probabile che il boma ti spacchi la testa, che tu finisca in mare e che la barca scuffi ed affondi.

Siate seri, per carità, la retorica non risolve nulla se poi, invece, vi interessa solo coprire i turni, in bocca al lupo e che Poseidone ci accordi la sua divina benevolenza.

Ignoranti quem portum petat nullus suus ventus est.

Dr. Luigi Di Candido

Dirigente Medico
Coordinamento regionale Puglia - I.N.S.H.



01 giugno 2023
© Riproduzione riservata

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