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La salute mentale e la termodinamica

di Andrea Angelozzi

05 LUG - Gentile Direttore,
quello che si può dedurre dalle vicende della salute mentale è che apre una contraddizione nella termodinamica. Se da una parte ogni crisi viene rapidamente riassorbita riportando l’entropia a zero, in ossequio al terzo principio, dall’altra questa riequilibrio nasconde solo un costante, crescente squilibrio.

Il primo meccanismo è esterno e prende forma nei rapporti con le istituzioni ed il SSN, seguendo in questo un copione molto collaudato.

La crisi inizia con un qualche evento che riguarda pazienti psichiatrici, che turba l’opinione pubblica e ottiene risalto nei giornali, come nel caso della reazione emotiva in risposta all’omicidio di Barbara Capovani. Alla fine è comunque paradossalmente il tanto combattuto stigma a promuovere crisi e riflessioni. A livello locale (i miei riferimenti sono comunque il Veneto) ho presente anche la inquietudine seguita alla diffusione di dati molto problematici delle risorse e delle attività, specie nella parte che evidenziava la situazione differente nelle diverse ASL, a suggerire che anche il timore di non poter avere trattamenti e una mancanza di equità fra i cittadini (specie quelli coinvolti personalmente o per un familiare) sono fattori motivanti importanti per generare crisi.

I meccanismi di riassorbimento dell’entropia sono ormai ripetitivi. Iniziano con una presa di posizione pubblica solidale con impegni da parte di politici ed amministratori che si sviluppa poi su due strade possibili. In genere porta alla creazione di un qualche tavolo di lavoro che deve riprendere in mano i problemi noti da sempre, sviluppando un qualche documento; questo poi si lega alla seconda strada, la formulazione di atti programmatori a molta visibilità ma a basso impatto, e soprattutto a nullo ulteriore impegno di risorse. Per fare questo sono strumenti perfetti la elaborazione di linee di indirizzo o protocolli su collaborazioni o altro, che, in genere senza indicare dati, letteratura aggiornata ed un qualche pensiero di insieme, indicano qualcosa che si potrebbe fare, ma senza reali modifiche dell’esistente e soprattutto senza indicare con quali strumenti. Si può anche lavorare (parlo del Veneto) per mesi in tavoli di lavoro in preparazione di una Conferenza Regionale, in vista di un nuovo Progetto obiettivo, ma alla quale però poi non consegue nulla, anche perché il progetto di massima è già stato fatto un anno prima.

La conclusione alla fine, in ogni caso, è l’assoluta invarianza e peraltro non potrebbe essere diversamente, dal momento che l’aspetto centrale, che però non deve essere detto, è che non è possibile introdurre modifiche, perché non ci sono risorse con cui poterle gestire e non ci sono le idee che dovrebbero guidarle.

Il riequilibrio dell’entropia avviene cercando anche di evitare ogni possibile conflitto che possa vagamente riacutizzare la crisi.

Questo emerge anche nel linguaggio dei politici ed amministratori che ricalca totalmente quello degli operatori e delle associazioni: l’attenzione alla persona, i programmi individualizzati, la recovery e l’empowerment, andare incontro ai bisogni, il rafforzamento delle strutture, la sicurezza ed la piena attuazionedella Legge di Riforma, sono i temi che ricorrono costanti, dando la sensazione che vi sia una piena reciproca comprensione ed una unità di intenti. Ma è solo la sensazione perché sono termini che finiscono per essere slegati da qualunque effettiva gestione che li renda reali e soprattutto perchè, in realtà, la distanza fra chi lavora in prima linea e chi dovrebbe dettare le linee gestionale non è mai stata così abissale.

Forse anche per questo si cerca una possibile partecipazione nei vari tavoli, che però si mostra illusoria se si accetta di rendersi conto che le decisioni importanti sono state già prese, e soprattutto non c’è nulla di nuovo su cui decidere. Alla fine l’unico risultato che ottiene chi partecipa ai tavoli è proprio quello di partecipare ai tavoli, e di poter dire a sé stessi e a chi si rappresenta che “ci si sta lavorando” e sicuramente si otterrà un qualche cambiamento in un domani che però è sempre domani. Ma questo basta ad estinguere l’idea di rifiutare questo tipo di partecipazione e di costruire una qualche opposizione per la quale è veramente difficile pensare una forma. Alla fine, gli stessi partecipanti ai tavoli spesso sono dipendenti del SSN e quindi a volte limitati nel diritto di critica, spesso sono universitari e quindi a volte al di fuori delle questioni che attanagliano i servizi, spesso sono associazioni, e quindi talvolta più prese dalle loro vicende che dall’orizzonte generale. E poi la scarsità dei dati messi a disposizione e la povertà delle risorse rende difficile una reale progettazione di cambiamento..

Alla fine non succede nulla ma le difficoltà per gli operatori ed i servizi sono le stesse se non peggio.

Anche perché il terzo principio della termodinamica non funziona all’interno dei servizi. Lo spegnersi della crisi nel rapporto con le istituzioni, senza offrire alcuna reale trasformazione positivo, nei pazienti si chiama cronicizzazione. Ma la vita, a differenza della istituzione, non aiuta il torpore. Non impedisce cioè il risvegliarsi dei problemi, le difficoltà a gestire le situazioni, il logoramento degli operatori che rimangono e la fuga degli altri che riescono a trovare altri orizzonti (lo stesso si potrebbe dire dei pazienti …), il lento consumare le famiglie.

Alla fine la salute mentale, se non ha risolto il terzo principio della termodinamica, ha però inventato il moto perpetuo. O meglio, quei giocattoli scientifici che cercano di simularlo, con un movimento costante, ripetitivo e talvolta inutile, che si mantiene su un minimo di energia che però inevitabilmente diminuisce fino a fermarsi. Per essere però ogni tanto riavviato, nello stesso identico modo e con lo stesso destino, dai fatti di cronaca e dai titoli dei giornali.

Andrea Angelozzi
Psichiatra

05 luglio 2023
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