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E se i Medici di Medicina Generale diventassero dipendenti da loro stessi?  

di Marco Magri

12 FEB - Gentile Direttore,
sulla possibile riforma della Medicina Generale si è ormai scritto e detto di tutto ed il contrario di tutto. Si sono ipotizzate diverse soluzioni, spesso elaborate secondo la visuale di questa o quella categoria professionale. Diversi sono stati gli argomenti. Il rapporto di fiducia è importante, ma purtroppo oggi il problema non è la “fiducia” ma la “fortuna” di avere ancora un medico a cui fare riferimento. Inoltre mostra i suoi limiti la forma di remunerazione “storica” basata solo sulla quota capitaria, quando invece si dovrebbe riconoscere e incentivare chi si impegna per fornire servizi migliori ai propri assistiti (non è forse questa una differenza tra un libero professionista ed un dipendente?).

In generale, pur con diverse sfumature ed accenti, su di una cosa concordano tutti: la necessità di riformare una sanità sul territorio che fa fatica a reggere all'aumento della domanda di salute sia qualitativa che quantitativa.

In questa discussione, centrale è l’argomento della dipendenza. Però un aspetto è stato forse poco sviluppato: dipendenza, ma da chi?

Il “management sanitario pubblico” ha sempre avuto una forte declinazione ospedaliera. L’opportunità legata alla reintroduzione dei Distretti (da cui dipendono per es. le Case delle Comunità) è stata vanificata in molto casi dalla scelta nei ruoli apicali di “funzionari” invece di “manager”.

Non a caso continuiamo a parlare della Casa della Comunità come di contenitori dove mettendo insieme diversi professionisti e servizi (ma gli MMG devono fare solo gli inquilini?), si possa riuscire, quasi magicamente, a risolvere tutti problemi, senza pensare concretamente a strumenti di governance, a dirigenti – manager capaci di relazionarsi con i diversi professionisti e soprattutto capaci di costruire realtà nuove e adatte ai tempi.

Concentrare i servizi in un solo luogo, può essere forse un esercizio utile nelle grandi città, ma perdente nelle zone remote, dove ha valore il concetto di “Comunità” e ha maggiore significato una presenza sanitaria capillare supportata dalla tecnologia (telemedicina).

Però fra tutte le soluzioni ipotizzate ce n’è una poco esplorata: ma se i Medici di Famiglia diventassero dipendenti …da loro stessi?

Sempre più in questi anni la Medicina generale ha sentito forte la necessità di “aggregazione” per rispondere al meglio ai bisogni dei propri pazienti. Questo ha fatto si che prendessero sempre più spazio le diverse forme aggregative-associative, come le medicine di gruppo, le Aggregazioni Funzionali Territoriali, fino alle Cooperative composte da MMG, che hanno anche una forma giuridica. Tutte con una loro struttura, organizzazione e, al loro interno, livelli differenti di responsabilità.

Iniziando anche in maniera sperimentale, si potrebbe ipotizzare che in zone omogenee del territorio, la gestione delle Cure Primarie venga affidata a queste forme associative-aggregative. Ovviamente con una definizione chiara degli obiettivi di salute da raggiungere (misurabili con degli indici e non solo di tipo prestazionale) con standard di cura da assicurare (e relative forme di controllo anche sull’appropriatezza) ma con una autonomia gestionale ed economica. Si potrebbe così ipotizzare una forma di “autogestione” con una forte responsabilizzazione della parte medica.

Una soluzione che va nella direzione opposta a quella della dipendenza, ma in grado di dare un contenuto nuovo alla professione che è quello della responsabilità a 360 gradi della gestione della salute dei propri assistiti in tutte le sue fasi: dalla prevenzione alla gestione delle fasi acute.

Questa “nuova modalità” apre spiragli anche nella integrazione sociosanitaria (per es con gli enti locali) o nelle relazioni con l’ospedale e nella telemedicina. Gli obiettivi da raggiungere (ed il relativo riconoscimento) sarebbero il faro per utilizzare al meglio ed in maniera responsabile le risorse messe a disposizione. Il tutto con regole che possano evitare cattive distorsioni di questa autonomia (le possibili derive visti gli alti interessi in gioco sono dietro l’angolo).

Una risposta forte ed originale (non provocatoria ma sfidante) verso un ruolo più innovativo del Medico di Medicina Generale, che avrebbe bisogno di essere elaborata (nuove regole, competenze, formazione).

Un percorso che potrebbe richiedere tempo (ma non più dei tanti altri proposti), ma con l’opportunità per i MMG di essere nello stesso tempo “professionisti” e medici di “prossimità” della persona, creando una terza opzione come alternativa a probabili compromessi al ribasso.

La “dipendenza da loro stessi” con forte livello di responsabilizzazione, potrebbe anche fornire nuove motivazioni per le giovani leve ad intraprendere una professione più stimolante, che vede il medico non trincerato nel proprio ambulatorio, ma protagonista a tutto tondo nell’individuare e accompagnare i migliori percorsi di salute dei propri pazienti.

Marco Magri
Medico

12 febbraio 2025
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