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La migrazione sanitaria: i servizi di Telemedicina potrebbero far lievitare l’indice di fuga

di Antonio Salvatore 

14 FEB - Gentile Direttore,
che il sistema sanitario italiano sia affetto da numerose criticità, è un fatto incontrovertibile. Ma è altrettanto pacifica la circostanza che tali criticità hanno radici profonde, e che a problemi complessi non esistono soluzioni semplici. Soprattutto quando, a causa di commissariamenti e piani di rientro (necessari per evitare l’implosione del bel Paese), dal 2013 al 2023, il sistema salute italiano è stato privato di 74 ospedali (da 1.070 a 996), 93 ambulatori (da 9.214 a 9.121), di 10.560 posti letto (da 226.387 a 215.827) e di 7.220 medici di famiglia (da 45.203 a 37.983).

Problemi del passato ai quali si sta cercando di fornire soluzioni, dovendo ristrutturare - in modo organico - un sistema obsoleto, con l’affanno delle tempistiche imposte dal PNRR.

E’ il caso dello status giuridico dei medici di medicina generale (da liberi professionisti operanti in convenzione con il SSN a dipendenti del SSN), al centro del dibattito politico, attese le implicazioni sulla tenuta dei conti pubblici e del sistema previdenziale, nonché del “preistorico” tema delle liste d’attesa, la cui piattaforma nazionale consentirà – si spera - di mettere a nudo anche fenomeni poco commendevoli; dulcis in fundo, il tema dei temi: la migrazione sanitaria e le sue implicazioni socio-economiche.

Un tema sul quale è stata più volte evidenziata l’esigenza di dover operare un’analisi accorta del fenomeno, allo scopo di intercettare le cause fisiologiche e patologiche dello stesso.

Giova dir subito che il fenomeno migratorio movimenta risorse dirette per circa 4,5 mld di euro l’anno. Nel 2023, la migrazione sanitaria è costata 4,55 mld di euro rispetto ai 4,31 del 2022 (+ 240 mln di euro). I ricoveri rappresentano il 69% del totale (il 32% presso strutture pubbliche e il 37% presso strutture private), segue la specialistica con il 17% e la farmaceutica con il 10%.

Dal 2019 al 2023, il costo della migrazione sanitaria è lievitato da 4,41 mld di euro a 4,55 (+ 3%), a causa dell’aumento della spesa farmaceutica (cresciuta del 33%) e della specialistica (+ 6%), mentre la spesa per ricoveri è calata da 3.175 mln di euro a 3.134 mln di euro.



Inoltre, giova ricordare che, dei ricoveri ospedalieri, il 20% è apparente o casuale, il 42% è di alta complessità e il 38% è di bassa complessità o addirittura potenzialmente inappropriato. Il 74% dei ricoveri ad alta complessità è di appannaggio del sistema privato accreditato.

Le malattie e i disturbi dell’apparato muscolo scheletrico sono al primo posto, quanto ai ricoveri di pazienti provenienti da altre regioni. Nello specifico, l’attrazione trova la sua causa (quella sana) nella capacità di offerta di servizi integrati (logistici, chirurgici e riabilitativi) dei sistemi sanitari del centro-nord, con particolare riguardo al sistema privato-accreditato.



Giova ricordare che la “migrazione sanitaria” è presente in Italia (in virtù del diritto di libera scelta) e negli altri Paesi UE. Tuttavia, il nostro Paese, per il suo assetto istituzionale, presenta specificità, che lo rendono unico, che le analisi non possono assolutamente trascurare.

La migrazione sanitaria genera, infatti, una vera e propria “transumanza di ricchezza” dalle regioni meno robuste (sotto il profilo organizzativo e finanziario) verso quelle solide.

La Campania, regione che storicamente presenta il maggior saldo negativo di migrazione sanitaria, dal 2019 al 2024, in sede di riparto, ha perso circa 1,6 mld di euro a causa dei saldi migratori.

Un dato che, ove non analizzato con la dovuta attenzione, potrebbe indurre ad errate conclusioni.

Dall’analisi dei dati della migrazione sanitaria ospedaliera, per patologie muscolo-scheletriche, si evince (vedi tabella allegata) che, a fronte di un fabbisogno nazionale di tali prestazioni (536.075), l’indice di fuga medio è del 15,4%. Si va dal 41% della Basilicata al 6% della PA di Bolzano.

La Campania è al 15,6%, con 6.319 ricoveri in fuga su un totale di 40.406 di fabbisogno regionale del 2023 (Fonte: portale statistico AGENAS).

L’Emilia Romagna, regina per saldi migratori, presenta anch’essa un significativo indice di fuga, pari all’11,6% del suo fabbisogno regionale (4.798 prestazioni su 41.210 di fabbisogno). Tuttavia, la stessa ha l’indice di attrazione (36,3%) più alto d’Italia, seguita dal Molise (31%) che, invece, è al secondo posto per indice di fuga (37,1%).

Insomma, sulla migrazione si gioca una partita ben più complessa di quella che appare, sulla quale occorre intervenire con strumenti regolatori, anche alla luce della imminente attivazione dei sistemi di sanità digitale e, nello specifico, dei servizi di telemedicina.

Giova ricordare che la telemedicina, quale “economia delle distanze”, consente l’erogazione delle prestazioni afferenti alla macro area della specialistica ambulatoriale a distanza e che l’incremento della spesa in migrazione sta riguardando anche – e soprattutto – le prestazioni di specialistica.

E’ dunque prevedibile che l’attivazione dei servizi di telemedicina potrebbe ulteriormente dare impulso all’attrazione di pazienti fuori regione in migrazione attiva, venendo meno le “barriere” del loro spostamento fisico.

Pertanto, è opportuno che il decisore politico attenzioni il fenomeno, anche per quel che concerne il sistema di remunerazione, onde evitare, per quanto possibile, fenomeni opportunistici e distorsivi.

Antonio Salvatore
Direttore del Dipartimento Salute di ANCI Campania
Vice presidente della Fondazione Triassi per il management sanitario

14 febbraio 2025
© Riproduzione riservata

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