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Le microplastiche aggravano l’antibiotico resistenza   

di Massimiliano Cinque

20 MAR - Gentile Direttore,
dopo la pubblicazione shock di The Lancet, che prevede un numero incalcolabile di decessi causati dall'antibiotico-resistenza nel prossimo futuro, le strategie per contrastare e arginare questo fenomeno si sono fortunatamente moltiplicate.

L’Agenzia del Farmaco ha sviluppato un’app per sensibilizzare sia i medici – talvolta eccessivamente inclini a prescrivere antibiotici anche quando non strettamente necessari – sia i cittadini, spesso ignari delle conseguenze di un uso improprio di questi farmaci. Nel frattempo, Cittadinanzattiva ha presentato il manifesto "Antimicrobico-resistenza: insieme ai pazienti per conoscerla e contrastarla", con l’obiettivo di informare e responsabilizzare quella parte della popolazione che ancora utilizza gli antibiotici per trattare patologie di origine virale, ignorandone l’inefficacia in tali casi.

Anche la ricerca scientifica continua ad avanzare per individuare nuove strategie e sviluppare farmaci innovativi. Tuttavia, spesso emergono ostacoli inaspettati che ne complicano il percorso.

Uno studio condotto dai ricercatori della Boston University ha rivelato un fattore preoccupante: le microplastiche possono favorire l’insorgenza di un’ulteriore resistenza agli antibiotici nei batteri. In particolare, i test hanno mostrato che i ceppi di Escherichia coli esposti alle microplastiche sviluppano resistenza a più antibiotici con una rapidità allarmante.

Il meccanismo alla base di questo fenomeno è legato alla capacità dei batteri di formare comunità protettive chiamate biofilm. Quando i microrganismi si depositano su una superficie, creano infatti strutture che li difendono dalle minacce esterne. Tuttavia, il contatto con le microplastiche sembra rendere questi biofilm molto più spessi e resistenti, paragonabili a un edificio con un isolamento rinforzato, rendendo così gli antibiotici meno efficaci. Ancora più preoccupante è il fatto che, anche dopo la rimozione delle microplastiche, i batteri continuano a mantenere una forte resistenza.

Gli scienziati ipotizzano che il polistirene sia particolarmente favorevole a questo processo, più di altre plastiche o del vetro, a causa delle sue proprietà superficiali, come l’idrofobicità e le interazioni elettrostatiche, che facilitano l’adesione microbica e lo scambio genetico tra i batteri.

L’impatto delle microplastiche sulla salute umana è già un tema di grande preoccupazione. Studi precedenti hanno dimostrato che nei topi possono causare coaguli di sangue, infiammazioni e alterazioni metaboliche. Inoltre, ricerche della Penn State University hanno evidenziato che i frammenti di microplastiche possono agire come agenti di nucleazione del ghiaccio, influenzando la formazione delle nuvole e alterando l’atmosfera.

Questa situazione diventa ancora più critica nelle aree densamente popolate, dove le condizioni igienico-sanitarie sono precarie e l’inquinamento ambientale – aggravato dall’accumulo di rifiuti e dall’aumento delle concentrazioni di microplastiche – è fuori controllo. In contesti in cui l’accesso alle cure e ai farmaci è limitato, il rischio di una diffusione ancora più ampia dell’antibiotico-resistenza potrebbe spingere intere popolazioni verso un baratro sanitario.

Pertanto, si auspica che, con l’avanzare della ricerca e l’espansione verso nuovi ambiti di studio, tutti gli attori coinvolti – dai ricercatori agli ingegneri, dal personale sanitario fino ai decisori finali – adottino un approccio a 360 gradi, valutando attentamente ogni scenario. Solo così sarà possibile garantire la tutela della salute e il miglioramento del benessere per l’intera popolazione mondiale.

Massimiliano Cinque
Dottore in Farmacia

20 marzo 2025
© Riproduzione riservata

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